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PSICO > Disturbi d'ansia, panico, fobie > vincere l'ansia


Inviato da: miki_70 il Domenica, 02-Gen-2011, 21:46
PANICO E ALTRI DISTURBI

Come liberarsi del disturbo con la Terapia Cognitivo Comportamentale di Terza Generazione.

Pietro Spagnulo


Questo libro si basa su un programma avnzato per il trattamento del Disturbo di Panico e non solo per tutti i diturbi mentali è molto utile.

Si chiama ACT che vuol dire Acceptance and Commitment Therapy ed è l'ultima frontiera della ben nota terapia cognitivo comportamentale.
Nella precedente edizione di questo libro sono stato molto attento ad esporre i principi dell'ACT e della TCC. In questa edizione ho deciso invece di concentrarmi sulle cose da fare. Se il lettore ha interesse ad approfondire gli aspetti scentifici degli argomenti qui trattati, ha a disposizione una quantità considerevole di testi di altissimo livello. Ma si tratta di un campo specialistico. Qui è sufficiente dire che l'ACT, insieme alla Mindfulness hanno fatto avanzare la TCC di un altro importante passo.
E' la cosidetta terza onda della TCC.
Gli elementi di novità riguarda il modo di affrontare la tematica dei pensieri e delle convinzioni e la capacità di riconoscere il lavorio della mente in quanto tale. Da un punto di vista pratico, è il mezzo più brillante per apprendere ad uscire dalle trappole della mente e rimettersi in viaggio nel proprio percorso vitale.
Ma veniamo al tema specifico di questo libro: Il Panico.
Dopo dodici anni di lavoro intensivo con il disturbo di panico, credo di aver seguito alcune centinaia di persone che ne soffrivano in modo più o meno grave.
La scena è sempre la stessa.
All'inizio è tutto un disastro, la vita sembra essere composta esclusivamente da momenti d'allarme o di rinuncia rassicurante, il panico è una sciagura, e tutta l'attenzione sembra focalizzata sulla terribile eventualità d'avere altri attacchi di panico.
Poi, lentamente, man mano che le persone affette da questo disturbo apprendono ad affrontare il problema in modo corretto, man mano che acquistano confidenza con le proprie emozioni e le proprie sensazioni, le persone cominciano a vivere la propria vita e a sciogliere questa curiosa trappola mentale.
E allora tutto cambia.
Non è più l'ansia al centro del mondo, ma è il mondo che si chiude con le sue gioie e i suoi dolori e comincia ad essere vissuto in modo più aperto, intenso,vero.
Vorrei citare una frase di un mio paziente che ha concluso la terapia:
"... e pensare che non mi muovevo di casa per paura dell'ansia.Ora sò che di ansia non si muore. Invece si muore rinuncindo a vivere. Ma da quando ho capito questo, da quando potrei stare in ansia senza problemi, da quando non ho più paura che mi vengano gli attacchi di panico, curiosamente non mi vengono più neanche quelli..."

Si, il disturbo di panico non è altro che questo: la paura di avere attacchi di panico. Consegnare la propria vita all'inutile missione di evitare che vengano attacchi di panico.
Un tempo avevo un pò timore di dire le cose in questo modo, con un pò di durezza e sfacciataggine.
Ora sò che tanto vale dirlo subito, perchè tanto prima o poi bisogna rendersi conto che il panico non è una condanna, ma una trappola mentale da cui si può uscire con un pò d'impegno, curiosità, allenamento.
Di panico puoi guarire e ti consiglio di farlo in fretta. Non dedicare più un solo istante della tua vita a scappare dalla tua ansia. Affronatla, vivila, accogli le tue emozioni così come sono, non averne paura.
La guarigione del disturbo di panico dipende solo da te, dalla tua motivazione a non occupparti più del compito ingrato di fuggire l'ansia.
Perchè se le vai incontro, l'ansia ti sarà grata e ti lascerà in pace.

Lentamente come il mio solito cercherò di postare molto del testo.

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Inviato da: miki_70 il Martedì, 04-Gen-2011, 20:08
ANSIA, PANICO E DISTURBO DI PANICO


Probabilmente sai già che una persona su tre ha avuto degli episodi di attacchi di panico nel corso della propria vita. Ma solo una su cento sviluppa un disturbo di panico.
Infatti, le persone che non sviluppano il disturbo, dopo un episodio di panico lo rubricano come un fenomeno emotivo e non se ne fanno un problema. In pratica sono già guarite.
Chi soffre di disturbo di panico, invece, comincia a mettere al centro della propia attenzione questi episodi e comincia a sviluppare dapprima il timore, poi il terrore di averne altri.
E' interessante notare che nessuno studioso si è dato la briga di definire quale sia il grado di ansia che possa essere denominato panico. In psichiatria la distinzione è poco rilevante. Il panico è ansia molto intensa. Comunque è ansia. E l'ansia è il modo con cui il nostro corpo si attiva quando si sente in pericolo.
Ma c'è qualcosa che contraddistingue il panico dall'ansia.
E' una caratteristica amplificazione dell'ansia dovuta al fatto che l'ansia viene percepita come estremamente pericolosa.
Si può ben capire come mai l'ansia diventa panico. Se uno stato di lieve allarme suscita la paura di avere un attacco di panico, ciò non fa altro che aumentare l'ansia e con questa la paura di un attacco imminente, fino al panico.
E il terrore di avere altri attacchi di panico che porta le persone ad avere attacchi di panico!
Ed è il terrore di avere nuovi attacchi di panico che porta le persone ad evitare situazioni e circostanze che potrebbero attivare il panico, a cercare la compagnia di persone di "fiducia" per non sentirsi soli, a cercare la vicinanza di posti familiari, di presidi medici, ad evitare ogni situazione che si presenti "senza vie di fuga".
Insomma si entra in una trappola mentale per cui il panico alimenta se stesso o riduce la libertà d'azione.
Per superare il problema bisogna fare il contrario di quanto si fa comunemente.
Invece di temere il panico bisogna familiarizzarsi con le sensazioni di ansia e dunque ridimensionare sempre di più il problema.
Invece di cercare di controllare l'ansia in tutti i modi è importante apprendere ad avere ansia come tutti.
Invece di fuggire da tutte le situazioni che generano ansia bisogna affrontarle.
Quando dico queste cose ai miei pazienti, loro in genere dicono:" si è vero, ma come faccio? Non riesco a fare quello che dice lei, dottore".
E in effetti, all'inizio è vero. Per fare queste cose è necessario un certo allenamento con un buon allenatore.
E allora, in sintesi, per superare il problema risolutivamente, radicalmente e definitivamente bisogna assolutamente apprendere a fare tre cose.

1. Capire che il panico non è una catastrofe.

2. Apprendere a calmarsi.

3. Fare un programma di esposizione.

Bene, mettiamola così: puoi superare il problema e questi sono i tre passi indispensabili per farlo.

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Inviato da: miki_70 il Martedì, 04-Gen-2011, 20:25
PARTE I

Convincere la testa

In questa parte ci occuperemo della testa, cioè della nostra capacità di razionalizzare, siegare, classificare e organizzare i concetti.

E' difficile affrontare qualsiasi progetto, o prendere qualsiasi decisione se la nostra parte razionale individua grossi ostacoli o incoerenze.

Per questa ragione, il nostro primo compito è di convincere il nostro cervello che uscire dal panico è un progetto realistico ed auspicabile.

Inviato da: miki_70 il Martedì, 04-Gen-2011, 20:46
SUPERARE LE CONVINZIONI DISTORTE

Se siamo in qualche modo ancora un pò convinti che effettivamente nei momenti di panico possa accaderci qualcosa di molto negativo, sarà difficile continuare questo programma. E' veramente fondamentale sapere, almeno a livello di considerazione retrospettiva, ora, mentre non sei in ansia, che le paure sperimentate durante un attacco di panico sono irragionevoli.

Se c'è il dubbio che quelle paure possano essere fondate, è impossibile andare avanti. La testa dirà no! E non se ne farà nulla.

Pertanto vale veramente la pena ritornare su questo punto finchè non sarai sufficientemente convinto che nessuna delle paure sperimentate durante gli attacchi ha fondamento. O quantomeno è essenziale convincersi che per nessuna di quelle paure, per quanto sconvolgente nel momento in cui si prova, vale la pena di continuare a fuggire.

Ricorda: non stiamo mettendo in discussione l'intensità delle paure nei momenti di panico.
Stiamo solo mettendo in discussione la ragionevolezza di quelle paure!

Chi soffre di panico spesso confonde questi due livelli.

Quando chiedo a chi soffre di disturbo di panico quanto sia ragionevole la paura di morire o di impazzire o qualsiasi altra paura, spesso mi sento rispondere:" Lo so che non muoio, ma in quei momenti....". Ebbene, NON stiamo mettendo in discussione l'intensità della paura in quei momenti!

Probabilmente la reazione di queste persone dipende dal fatto che alcuni amici o parenti possano aver smunito le paure considerandole ridicole. E questo le ha ferite.

Ma è importante capire che il passo che stiamo compiendo ora non ha nulla a che fare con questo.

Non stiamo svalutando, disprezzando, ridicolizzando le paure.

Stiamo solo dicendo: quele paure, quanto sono ragionevoli?

Questo passo non significa superare la paura, ma è indispensabile per andare avanti nel programma.

METTERE IN DISCUSSIONE LE PROPRIE PAURE NON SIGNIFICA METTERE IN DISCUSSIONE L'INTENSITA' DI UNA PAURA.
SIGNIFICA VALUTARE L' ACCURATEZZA DI UNA PAURA.

Anche se una paura è estremamente intensa, noi abbiamo tutto il diritto di metterla in discussione. Di valutarne la fondatezza.

Mettere in discussione una paura non significa superarla, ma aiuta ad affrontarla, e dunque a superarla.

Non temete mai di mettere in discussione le vostre paure.

Inviato da: miki_70 il Martedì, 04-Gen-2011, 21:07
Per continuare nel programma, è importante compilare un piccolo foglio o diario su cui scrivere delle situazioni di ansia o evitamento.
Ora: per ciascun epidio che hai descritto sul tuo foglio o diario dell'ansia, prova a dare un punteggio, da 0 a 5 relativo a quanto ti convince la tua paura.
Se ad esempio, nel tuo diario sei fuggito via da una certa situazione per paura di svenire, chiediti molto francamente, quanto ci credi veramente?

E' importante portare il grado di convincimento a meno di 2. Altrimenti è molto improbabile che tu riesca a proseguire il programma. E' naturale evitare di fare certe cose se pensi veramente che tu possa morire!

Torna allora a leggere la prima parte di questo programma e prova a dare alle tue sensazioni una spiegazione diversa. Ad esempio, è possibile che queste sensazioni possano dipendere dall'ansia e non dalla morte imminente?

E' essenziale chiarirsi le idee su questi aspetti preliminari, altrimenti la prosecuzione è letteralmente impossibile. Molte persone non risolvono i loro problemi di panico solo perchè in qualche modo sono un pò convinte, anche a posteriori, che il panico possa comportare conseguenze disastrose.

Il superamento di queste convinzioni è fondamentale.

L'aiuto di un buon psicoterapeuta cognitivo comportamentale serve innanzitutto a liberarsi da queste convinzioni erronee.

Se invece ti senti già sufficientemente convinto che le paure, per quanto intense, non sono fondate, allora si va avanti nel programma.

Inviato da: m@79 il Giovedì, 06-Gen-2011, 12:09
Ciao Miki, ho fatto l'elenco delle paure ma le mie scaturiscono soprattutto in presenza di altri. Non ho paura di morire ma di perdere il controllo e di iniziare a tremare davanti ad altri, ad esempio quando scrivo e firmo in pubblico, a volte quando mangio e bevo con altre persone. Nell'ultimo periodo l'ansia, alimentata da ansia anticipatoria, è sfociata in attacchi di panico. Il mio è il fastidio di essere osservata e giudicata. Non riesco a trovare la chiave, il pensiero distorto da modificare. si tratta di poca autostima e di poco fiducia verso gli altri. non so come interpretarlo questo problema. la dottoressa dice che ho avuto modelli sbagliati durante l'infanzia e l'adolescenza, che ho paura dell'abbandono e di non essere amata ed accettata. mi sai dare qualche consiglio? se non mi faccio prendere dall'ansia sto bene con gli altri, vorrei fare tante cose e sento che potrei farne tante altre, ma l'ansia mi blocca. non so nemmeno io perchè mi succede tutto questo...

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 06-Gen-2011, 12:54
QUOTE (m@79 @ Giovedì, 06-Gen-2011, 11:09)
Ciao Miki, ho fatto l'elenco delle paure ma le mie scaturiscono soprattutto in presenza di altri. Non ho paura di morire ma di perdere il controllo e di iniziare a tremare davanti ad altri, ad esempio quando scrivo e firmo in pubblico, a volte quando mangio e bevo con altre persone. Nell'ultimo periodo l'ansia, alimentata da ansia anticipatoria, è sfociata in attacchi di panico. Il mio è il fastidio di essere osservata e giudicata. Non riesco a trovare la chiave, il pensiero distorto da modificare. si tratta di poca autostima e di poco fiducia verso gli altri. non so come interpretarlo questo problema. la dottoressa dice che ho avuto modelli sbagliati durante l'infanzia e l'adolescenza, che ho paura dell'abbandono e di non essere amata ed accettata. mi sai dare qualche consiglio? se non mi faccio prendere dall'ansia sto bene con gli altri, vorrei fare tante cose e sento che potrei farne tante altre, ma l'ansia mi blocca. non so nemmeno io perchè mi succede tutto questo...

Ciao,
per adesso ti serve solo sapere che l'ansia è una emozione. Tutti provano ansia. L'ansia non decidi tu di averla, di conseguenza non la puoi controllare. Puoi però cercare, quando diventa acuta tanto da farti stare male, gestirla. La paura di perdere il controllo è un altro meccanismo tipico del panico. Più ne hai paura, più aumenta la paura di avere un attacco di panico. Entri così nel circolo vizioso della paura di aver paura.
Quello che ti devi chiedere è." quanto è ragionevole questa paura?"
Se io ho paura di guidare l'auto è "guidare l'auto" che mette paura o quello che io penso possa accadermi quando guido?

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Inviato da: m@79 il Giovedì, 06-Gen-2011, 15:15
In effetti da quando ho preso consepevolezza dell'ansia riesco a gestirla, certo c'è sempre ma cerco di non farmi sopraffare. Quando arriva la so riconoscere e poco alla volta sto sperimentando il modo per allontanarla quando mi trovo in situazioni che solitamente mi provocano tensione. Sicuramente l'essere razionali e domandarsi se la paura che stiamo provando è fondata aiuta, ma come si fa ad allontanare la paura irrazionale, che non riusciamo nemmeno a capire perchè viene? alcuni atteggiamenti diventano meccanici e anche la mia paura lo è...si dovrebbe sperimentare la paura ogni giorno e quando arriva analizzarla e chiederci se è fondata?mi sembra una impresa titanica!!da quando ho inziato la terapia da circa un mese vivo ogni giorno pensando a come allontanarla, a sentirla che arriva, a chiedermi perchè arriva, a leggere l'inimmaginabile per capire. L'umore che sale e che scende. Non so se è la strada giusta!

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 06-Gen-2011, 16:18
QUOTE (m@79 @ Giovedì, 06-Gen-2011, 14:15)
In effetti da quando ho preso consepevolezza dell'ansia riesco a gestirla, certo c'è sempre ma cerco di non farmi sopraffare. Quando arriva la so riconoscere e poco alla volta sto sperimentando il modo per allontanarla quando mi trovo in situazioni che solitamente mi provocano tensione. Sicuramente l'essere razionali e domandarsi se la paura che stiamo provando è fondata aiuta, ma come si fa ad allontanare la paura irrazionale, che non riusciamo nemmeno a capire perchè viene? alcuni atteggiamenti diventano meccanici e anche la mia paura lo è...si dovrebbe sperimentare la paura ogni giorno e quando arriva analizzarla e chiederci se è fondata?mi sembra una impresa titanica!!da quando ho inziato la terapia da circa un mese vivo ogni giorno pensando a come allontanarla, a sentirla che arriva, a chiedermi perchè arriva, a leggere l'inimmaginabile per capire. L'umore che sale e che scende. Non so se è la strada giusta!

Prima di avere questi problemi sicuramente quando eri in ansia, non ponevi la tua attenzione su di essa. Al massimo ti dicevi :"oggi sono in ansia". Punto. Quando hai cominciato ad avere problemi seri con l'ansia hai spostato tutta la tua attenzione sull'ansia per evitarla. Vivi per controllare l'ansia, e per controllarla smetti di vivere. Ma l'ansia è una parte di te, non puoi allontanarla. Ce l'hai e la esterni. Fondamentalmente tutti i disturbi d'ansia sono incentrati sul controllo di essa. L'ansia è un emozione come la gioia, la tristezza, l'ira. Quando gioisci controlli la gioia? Credo proprio di no. Perchè allora dovresti allontanare l'ansia? Le emozioni non vanno combattute, allontanate, perchè le nostre emozioni siamo noi. Ci facciamo guerra da soli.
Se alcun atteggiamenti, come le paure diventano meccaniche, possiamo imparare a demeccanizizzarci?.....Si può fare.
Io faccio sempre l'esempio della lingua straniera. Noi abbiamo appreso la lingua italiana. La utilizziamo meccanicamente, cioè non stiamo a pensare se stiamo sbagliando o meno la grammatica delle parole che utilizziamo. Ma si può imparare un'altra lingua? Credo proprio di sì.
Imparare un'altra lingua però è difficile, comporta metodo, fatica, costanza.

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Inviato da: miki_70 il Giovedì, 06-Gen-2011, 19:45
Capire le proprie paure


Che la si giri e la si volti, le paure che attanagliano le persone che soffrono di disturbo di panico sono sempre le stesse quattro:

1. paura di avere un grave malore, di svenire, di essere soffocati e/o di non essere soccorsi.

2. paura di impazzire.

3. paura di perdere il controllo.

4. paura di comportarsi in modo imbarazzante davanti agli altri o di mostrare la propria debolezza.


Alcune persone sono particolarmente prese da una di queste paure. Ma è molto frequente che due o più di queste paure si combinino tra loro.

Ad esempio alcune persone iniziano a temere un grave malore, poi vedendo che non sono mai morte, cominciano a preoccuparsi di mostrare quest'ansia davanti agli altri e dunque temono esposizioni pubbliche. Altre persone cominciano a temere di impazzire. Poi non impazziscono ed allora cominciano a temere di perdere il controllo e di fare cose assurde. E così via.

Bene,il primo compito di un programma di liberazione dal panico è di convincersi che nessuna di queste paure merita tanta apprensione.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 06-Gen-2011, 20:07
Come funziona la nostra mente

La mente è una struttura potentissima.

Grazie ad essa abbiamo realizzato conquiste scientifiche e tecnologiche straordinarie. I computer, internet, viaggiare in aereo sono solo alcuni esempi della capacità della mente di realizzare sogni.

Ma la mente è anche l'origine della nostra sofferenza. E' proprio a causa della sua straordinaria potenza immaginativa e della sua capacità di effettuare collegamenti concettuali di ogni genere che siamo capaci di creare dei mondi irreali che creano solo sofferenza e non aggiungono alcuna conoscenza.

Questo avviene nel campo delle emozioni.

Quando la mente affronta le nostre emozioni come se si trattasse di sistemare la carburazione di un motore, cominciano i guai.

Il punto è che i problemi emozionali non si risolvono concettualmete, ma con l'esperienza emotiva.

Le scoperte dell' ACT partono da qui. E per il panico non c'è nulla di più vero che questo: il panico è l'effetto di un volo della mente.

Se offriamo a noi stessi l'ooportunità di conoscere le nostre emozioni per quelle che sono, le sensazioni fisiche per quelle che sono, ci accorgeremmo che il panico non è altro che l'aggiunta della nostra mente.

Nella seconda parte, quando apprenderemo a calmarci affronteremo praticamente proprio questo punto.

Per ora fai questo piccolo esperimento.

Immagina questa situazione.

Incontri per strada una persona a te molto cara, con la quale hai un buon rapporto, tu la saluti e lei ti guarda, non ti risponde e passa oltre.

A cosa hai pensato? Che emozioni hai provato? Qual'è l'idea negativa di te stesso che si è attivata? Come ti sei sentito come persona?

Per capire il concetto devi fare l'esperimento. E' importante che tu ci metta un pò d'impegno e segua le istruzioni di questo esperimento.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 08-Gen-2011, 12:26
Ebbene, se hai eseguito le istruzioni, hai avuto modo di sperimentare delle emozioni, delle sensazioni, dei pensieri, solo per aver letto delle parole. Hai solo immaginato una situazione ed hai provato delle emozioni e, probabilmente hai espresso dei giudizi sul tuo conoscente o su te stesso.

Questa è la potenza della mente.

Per quanto possa apparirti strano, il tuo panico ha la stessa natura di questo esperimento.

La mente crea velocemente dei mondi immaginari. Siamo noi a scegliere se seguirli e quanto seguirli. Nel caso del panico seguiamo questo mondo immaginario alla lettera, senza alcuna verifica della sua accuratezza e scambiamo questo mondo immaginario con la realtà.

La buona notizia è che per conoscere l'accuratezza dei mondi immaginari che crea la nostra mente non dobbiamo far altro che conoscere direttamente ciò di cui la nostra mente parla. E nel nostro caso si tratta di emozioni. Non dobbiamo fare altro che conoscere le nostre emozioni per quelle che sono, non per quello che la nostra mente dice di esse.

Ma ora, un pò di pazienza.

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Inviato da: neva il Sabato, 08-Gen-2011, 22:23
ciao miki ancora grazie per tutto quello che metti anche a nostra disposzione è sempre molto utile. Leggerti mi aiuta a riflettere e a capire qualcosa in più di me.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 09-Gen-2011, 03:00
QUOTE (neva @ Sabato, 08-Gen-2011, 21:23)
ciao miki ancora grazie per tutto quello che metti anche a nostra disposzione è sempre molto utile. Leggerti mi aiuta a riflettere e a capire qualcosa in più di me.

Grazie a te, Neva!
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Inviato da: miki_70 il Domenica, 09-Gen-2011, 09:45
PARTE II


Convincere il corpo



In questa parte ci occuperemo del corpo, cioè della nostra componente affettiva, emotiva del panico. L'esperienza di ansia intensa o panico viene istintivamente affronatata con il tentativo di controllare questa emozione. Purtroppo questo tentativo non solo è destinato all'insuccesso, ma tende ad aggravare il problema.

Bisogna apprendere, all'opposto, a dialogare con il nostro corpo e a favorire la creazione di calma con delle tecniche specifiche che non si basano sul tentativo di controllo, ma sulla capacità di lasciare andare.

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Inviato da: miki_70 il Domenica, 09-Gen-2011, 10:17
Apprendere a calmarsi


Le spiegazioni ed i concetti che abbiamo espresso fino a questo punto e gli esperimenti a cui abbiamo lavorato finora possono convincere il cervello, ma non il corpo.

Abbiamo già notato quanto si possa essere convinti della irragionevolezza di certe paure, e al tempo stesso avvertirle in modo molto intenso.

Abbiamo tenuto distinti questi due livelli apposta. Da un lato i nostri ragionamenti, dall'altro l'intensità delle nostre paure.

Ora ci tocca un lavoro più impegnativo. Non si tratta di convincere la testa, ma di convincere il corpo.

La prima cosa da dire su questo argomento è che non bisogna confondere il concetto di "calmarsi" con le "tecniche di rilassamento". E' un errore in cui cadono anche molti terapeuti. Le tecniche di rilassamento si adoperano per rilassarsi. Qui bisogna apprendere a calmarsi. Cioè a ridurre lo stato di allarme. Non ha senso apprendere ad essere molto rilassati se poi non si è capaci di ridurre lo stato di allarme o panico al bisogno. Le tecniche per calmarsi possono avvalersi delle tecniche di rilassamento, ma non coincidono con le tecniche di rilassamento.
Apprendere a calmarsi significa apprendere a farlo quando si è in ansia. Non serve a nulla essere completamente rilassati durante una seduta di massagi, di yoga, o di training autogeno se non si apprenede a calmarsi durante un attacco di panico.

Molte persone mi hanno raccontato di aver praticato per anni yoga, training autogeno, massaggi rilassanti o altre tecniche per rilassare il corpo e la mente. E lamentano la mancanza di risultati.

Ma è naturale che non ci siano risultati.

Se uno va da un massaggiatore, si sente a suo agio, si stende sul lettino e poi si rilassa fino ad adormentarsi, possiamo solo dire: buonanotte e sogni d'oro.

Questo significa solo concedersi un momento di benessere, ma non curare il panico. Per calmarsi durante un attacco di panico ci vule ben altro.

E' di quetso che parleremo ora.

Nella parte precedente, dicevamo, ci siamo occupati di pensieri e convinzioni. Insomma ci siamo occupati di convincere il cervello.

Per calmarsi bisogna convincere il corpo.

Molte persone non sanno che il corpo è un nostro amico. Le sue reazioni sono a fin di bene. E noi possiamo avere il massimo dal corpo se vogliamo bene al corpo.

Quando il corpo è in allarme non bisogna rifiutarlo, trattarlo male, considerarlo un fenomeno di malattia. Il corpo non sta facendo altro che mettere in moto tutto quello che sa fare per proteggerci dal pericolo.

Per convincere il corpo che non ha bisogno di stare in allarme bisogna comunicare con i mezzi che lui capisce.

E allora cominciamo con il dire che il corpo non capisce i ragionamenti astratti.

Il corpo, invece, capisce molto bene il nostro atteggiamento. Il nostro modo di porci rispetto al mondo e a noi stessi.

Se il nostro atteggiamento è di rifiuto, controllo, tensione, il corpo capisce che fa bene a stare in allarme (vedi comunicazione non verbale ad esempio).

Se il nostro atteggiamento è di apertura ed accoglimento, il corpo capisce che non c'è bisogno di stare in allarme.

E' tutto qui.

La prima regola dell'arte per calmarsi è di rinunciare a controllare l'ansia.

Più tardi, ma molto più tardi laugh.gif , cercheremo di capire meglio questo fenomeno e poi come metterlo in pratica.


Inviato da: marco_2008 il Domenica, 09-Gen-2011, 16:56
QUOTE (miki_70 @ Domenica, 02-Gen-2011, 20:46)
PANICO

Come liberarsi del disturbo con la Terapia Cognitivo Comportamentale di Terza Generazione.

Pietro Spagnulo


Questo libro si basa su un programma avnzato per il trattamento del Disturbo di Panico. Si chiama ACT che vuol dire Acceptance and Commitment Therapy ed è l'ultima frontiera della ben nota terapia cognitivo comportamentale.
Nella precedente edizione di questo libro sono stato molto attento ad esporre i principi dell'ACT e della TCC. In questa edizione ho deciso invece di concentrarmi sulle cose da fare. Se il lettore ha interesse ad approfondire gli aspetti scentifici degli argomenti qui trattati, ha a disposizione una quantità considerevole di testi di altissimo livello. Ma si tratta di un campo specialistico. Qui è sufficiente dire che l'ACT, insieme alla Mindfulness hanno fatto avanzare la TCC di un altro importante passo.
E' la cosidetta terza onda della TCC.
Gli elementi di novità riguarda il modo di affrontare la tematica dei pensieri e delle convinzioni e la capacità di riconoscere il lavorio della mente in quanto tale. Da un punto di vista pratico, è il mezzo più brillante per apprendere ad uscire dalle trappole della mente e rimettersi in viaggio nel proprio percorso vitale.
Ma veniamo al tema specifico di questo libro: Il Panico.
Dopo dodici anni di lavoro intensivo con il disturbo di panico, credo di aver seguito alcune centinaia di persone che ne soffrivano in modo più o meno grave.
La scena è sempre la stessa.
All'inizio è tutto un disastro, la vita sembra essere composta esclusivamente da momenti d'allarme o di rinuncia rassicurante, il panico è una sciagura, e tutta l'attenzione sembra focalizzata sulla terribile eventualità d'avere altri attacchi di panico.
Poi, lentamente, man mano che le persone affette da questo disturbo apprendono ad affrontare il problema in modo corretto, man mano che acquistano confidenza con le proprie emozioni e le proprie sensazioni, le persone cominciano a vivere la propria vita e a sciogliere questa curiosa trappola mentale.
E allora tutto cambia.
Non è più l'ansia al centro del mondo, ma è il mondo che si chiude con le sue gioie e i suoi dolori e comincia ad essere vissuto in modo più aperto, intenso,vero.
Vorrei citare una frase di un mio paziente che ha concluso la terapia:
"... e pensare che non mi muovevo di casa per paura dell'ansia.Ora sò che di ansia non si muore. Invece si muore rinuncindo a vivere. Ma da quando ho capito questo, da quando potrei stare in ansia senza problemi, da quando non ho più paura che mi vengano gli attacchi di panico, curiosamente non mi vengono più neanche quelli..."

Si, il disturbo di panico non è altro che questo: la paura di avere attacchi di panico. Consegnare la propria vita all'inutile missione di evitare che vengano attacchi di panico.
Un tempo avevo un pò timore di dire le cose in questo modo, con un pò di durezza e sfacciataggine.
Ora sò che tanto vale dirlo subito, perchè tanto prima o poi bisogna rendersi conto che il panico non è una condanna, ma una trappola mentale da cui si può uscire con un pò d'impegno, curiosità, allenamento.
Di panico puoi guarire e ti consiglio di farlo in fretta. Non dedicare più un solo istante della tua vita a scappare dalla tua ansia. Affronatla, vivila, accogli le tue emozioni così come sono, non averne paura.
La guarigione del disturbo di panico dipende solo da te, dalla tua motivazione a non occupparti più del compito ingrato di fuggire l'ansia.
Perchè se le vai incontro, l'ansia ti sarà grata e ti lascerà in pace.

Lentamente come il mio solito cercherò di postare molto del testo.

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Micki fai una cosa utile x tutti, scannarizza ii libro, magari a capitoli.... PSICO smile.gif
marco

Inviato da: melfy il Domenica, 09-Gen-2011, 17:56
QUOTE (marco_2008 @ Domenica, 09-Gen-2011, 15:56)
QUOTE (miki_70 @ Domenica, 02-Gen-2011, 20:46)
PANICO

Come liberarsi del disturbo con la Terapia Cognitivo Comportamentale di Terza Generazione.

Pietro Spagnulo


Questo libro si basa su un programma avnzato per il trattamento del Disturbo di Panico. Si chiama ACT che vuol dire Acceptance and Commitment Therapy ed è l'ultima frontiera della ben nota terapia cognitivo comportamentale.
Nella precedente edizione di questo libro sono stato molto attento ad esporre i principi dell'ACT e della TCC. In questa edizione ho deciso invece di concentrarmi sulle cose da fare. Se il lettore ha interesse ad approfondire gli aspetti scentifici degli argomenti qui trattati, ha a disposizione una quantità considerevole di testi di altissimo livello. Ma si tratta di un campo specialistico. Qui è sufficiente dire che l'ACT, insieme alla Mindfulness hanno fatto avanzare la TCC di un altro importante passo.
E' la cosidetta terza onda della TCC.
Gli elementi di novità riguarda il modo di affrontare la tematica dei pensieri e delle convinzioni e la capacità di riconoscere il lavorio della mente in quanto tale. Da un punto di vista pratico, è il mezzo più brillante per apprendere ad uscire dalle trappole della mente e rimettersi in viaggio nel proprio percorso vitale.
Ma veniamo al tema specifico di questo libro: Il Panico.
Dopo dodici anni di lavoro intensivo con il disturbo di panico, credo di aver seguito alcune centinaia di persone che ne soffrivano in modo più o meno grave.
La scena è sempre la stessa.
All'inizio è tutto un disastro, la vita sembra essere composta esclusivamente da momenti d'allarme o di rinuncia rassicurante, il panico è una sciagura, e tutta l'attenzione sembra focalizzata sulla terribile eventualità d'avere altri attacchi di panico.
Poi, lentamente, man mano che le persone affette da questo disturbo apprendono ad affrontare il problema in modo corretto, man mano che acquistano confidenza con le proprie emozioni e le proprie sensazioni, le persone cominciano a vivere la propria vita e a sciogliere questa curiosa trappola mentale.
E allora tutto cambia.
Non è più l'ansia al centro del mondo, ma è il mondo che si chiude con le sue gioie e i suoi dolori e comincia ad essere vissuto in modo più aperto, intenso,vero.
Vorrei citare una frase di un mio paziente che ha concluso la terapia:
"... e pensare che non mi muovevo di casa per paura dell'ansia.Ora sò che di ansia non si muore. Invece si muore rinuncindo a vivere. Ma da quando ho capito questo, da quando potrei stare in ansia senza problemi, da quando non ho più paura che mi vengano gli attacchi di panico, curiosamente non mi vengono più neanche quelli..."

Si, il disturbo di panico non è altro che questo: la paura di avere attacchi di panico. Consegnare la propria vita all'inutile missione di evitare che vengano attacchi di panico.
Un tempo avevo un pò timore di dire le cose in questo modo, con un pò di durezza e sfacciataggine.
Ora sò che tanto vale dirlo subito, perchè tanto prima o poi bisogna rendersi conto che il panico non è una condanna, ma una trappola mentale da cui si può uscire con un pò d'impegno, curiosità, allenamento.
Di panico puoi guarire e ti consiglio di farlo in fretta. Non dedicare più un solo istante della tua vita a scappare dalla tua ansia. Affronatla, vivila, accogli le tue emozioni così come sono, non averne paura.
La guarigione del disturbo di panico dipende solo da te, dalla tua motivazione a non occupparti più del compito ingrato di fuggire l'ansia.
Perchè se le vai incontro, l'ansia ti sarà grata e ti lascerà in pace.

Lentamente come il mio solito cercherò di postare molto del testo.

PSICO smile.gif

Micki fai una cosa utile x tutti, scannarizza ii libro, magari a capitoli.... PSICO smile.gif
marco

Io l'ho comprato in e-book, se lo volete ve lo passo!

Inviato da: miki_70 il Domenica, 09-Gen-2011, 20:40
Non ho lo scanner. Anche io l'ho comprato in Ebook, tra l'altro costa anche poco.
Melfy, se lo puoi passare, fallo, magari se qualcuno lo chiede......privatamente PSICO-si.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 09-Gen-2011, 21:09
Le Illussioni della mente


Esistono due modi di apprendere.

Se tocchiamo un ferro da stiro e ci bruciamo, apprendiamo a nostre spese a non toccare il ferro da stiro. In questo caso apprendiamo dall'esperienza diretta.

Se, invece, qualcuno ci dice che non bisogna toccare il ferro da stiro perchè altrimenti ci bruceremo, noi apprendiamo grazie al linguaggio, cioè grazie a relazioni tra simboli e senza provare alcun dolore.

La potenza del linguaggio consente dunque di generare previsioni anche molto accurate di ciò che ci aspetta, senza dover subire le conseguenze di comportamenti pericolosi, dannosi, sgraditi, inefficaci o inefficienti. Il linguaggio consente di stabilire delle regole di comportamento molto precise, nonostante l'assenza dell'esperienza diretta.

In questo modo, non solo si progettano edifici, computer, automobili, aerei, farmaci, ed una quantità di oggetti estremamente complicati ed utili, ma si programmano anche modalità di realzione con gli altri, ciò che bisogna fare e non bisogna fare.

Un bambino apprende rapidamente che deve mangiare con le posate, non deve lanciare i giocattoli contro i mobili o le persone, non deve sputare, urlare, attraversare la strada da solo.
All'inizio questi comportamenti dipendono dall'apprezzamento dei genitori, in seguito il bambino apprende anche che certe regole sono effettivamente utili. Ad ogni modo, molti di questi comportamenti sono regolati in larga misura dal linguaggio e dalla trasmissione di significati.

Nel tempo diventiamo così abili a capire e generare regole e significati, da acquisire una fiducia illimitata nella potenza del linguaggio.

Tuttavia, questa modalità di apprendimento ha un suo lato oscuro.

A volte è proprio la potenza del linguaggio a trarci in inganno.

La nostra capacità di derivare significati da altri significati, regole da altre regole, relazioni da altre relazioni, è talmente estesa e penetrante, da indurci talvolta a comportarci in modo completamente illogico e a perseverare i comportamenti palesemente inutili o distruttivi.

Questo paradosso può essere facilmente compreso con un esempio che già conosciamo.
Se in una certa circostanza, una persona avverte una sensazione di vertigine, e si convince che stia accadendo qualcosa di brutto (svenimento), quale sarà la reazione?

Ansia, molta ansia.

Ma cosa ha generato l'ansia?

La vertigine?

NO!

L'ansia è generata dalla potenza della mente che ha immaginato una conseguenza della sensazione di vertigine di tipo catastrofico. Non dalla vertigine in se stessa che è innocua.......(cazzo, mi ricorda qualcosa di Ellis, sta storia blink.gif )

Inviato da: miki_70 il Domenica, 09-Gen-2011, 21:31
Il Controllo come problema


Abbiamo visto che la mente è molto potente, e proprio per questo può anche essere molto illusoria.

Come abbiamo visto, la nostra mente può partire da un piccolo evento insignificante e costruire un vero e proprio "film". A questo punto, se entriamo nel film ci sentiremo come il personaggio del film. E se nel film stiamo anticipando un evento catastrofico la reazione sarà di intensa ansia o panico.

Un altro film illusorio, cioè un'altra illusione della mente, può essere quella in cui immaginiamo di poter controllare i nostri pensieri, le emozioni, e le sensazioni fisiche.

Facciamo un altro piccolo esperimento.

Bene, concentrati. Mettici tutto il tuo impegno. Non mollare un istante e segui la seguente semplice istruzione:

NON pensare, neanche per un istante, ad una mela bucata.







Cosa è accaduto? No hai potuto non pensare a qualcosa senza pensarci, giusto?
Tutto il tuo impegno per non pensare alla mela bucata ti hanno costretto a pensarci.

Ma non è finita qui. Hai voglia di fare un altro piccolissimo esperimento?

Ora pensa a qualsiasi altra cosa che non abbia nulla a che fare con le mele e con i buchi.











Cosa è accaduto? Hai pensato a qualcosa che non avesse nulla a che fare con le mele e con i buchi?

Sicurissimo/a?

Bene, come fai a sapere di non aver pensato alle mele ed ai buchi?

Puoi saperlo solo in questo modo: perchè hai confrontato il tuo pensiero con la mela e con i buchi. E per effettuare questo confronto devi per forza aver pensato in qualche modo alla mela e ai buchi.

Conclusione: ogni tentativo di NON pensare a qualcosa non è altro che un modo di pensarci.

Gli umani hanno inventato tanti modi per illudersi di controllare i propri pensieri. Ecco una piccola lista:

1. Dissimulazione
2. Distrazione.
3. Evitamento.
4. Rassicurazione

Inviato da: Streghetta il Lunedì, 10-Gen-2011, 16:40
QUOTE (miki_70 @ Domenica, 09-Gen-2011, 08:45)

Bisogna apprendere, all'opposto, a dialogare con il nostro corpo e a favorire la creazione di calma con delle tecniche specifiche che non si basano sul tentativo di controllo, ma sulla capacità di lasciare andare.


PSICO-si.gif

Io tento di farlo quando sono in situazioni ansiose.
Sposto l'attenzione su altro.
A volte dico papale, papale "ho l'ansia".
Altre ancora mi ripeto una litania in testa "ora passa, come è venuta andrà via"
Altre ancora inizio a fare respirazioni profonde.


Non sempre però tutto questo funziona.

Grazie di cuore Miky

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 10-Gen-2011, 20:31
Dissimulazione


Entro certi limiti, noi apprendiamo a dissimulare le nostre emozioni, cioè a non mostrarle. Apprendiamo questa abilità molto presto. Ad esempio, possiamo essere gentili con una persona che detestiamo, oppure apparire indifferenti in una situazione che ci desta apprensione. A volte la dissimulazione è semplicemente ipocrisia. Ma a volte si mente a gli altri per mentire a se stessi.


Ti è mai capiatato di risolvere un disagio emotivo cercando di dissimulare le tue emozioni o i tuoi pensieri?

Se si, quanto ha funzionato questa strategia a lungo termine? Qual'è il tuo grado di soddisfazione dei risultati di questo comportamento?



Distrazione


La distrazione è un modo a volte molto potente per sviare la nostra mente. Se volontariamente portiamo la nostra attenzione su qualcosa, immaginandola o facendola, la mente viene assorbita da questi eventi, e dunque è distratta dalle sue preoccupazioni.

Molte persone che soffrono di Disturbo di Panico utilizzano le più disparate forme di distrazione per non essere presi dai pensieri dell'ansia.
Alcuni iniziano a fare inutili telefonate, altri accendono lo stereo a tutto volume, altri ancora cercano di pensare a cose futili, rilassanti o impegnative.
Il problema è che la distrazione funziona finchè ci si distrae.

Quando sei in ansia provi a distrarti?
Se si, cosa fai per distrarti?
Quanto ha funzionato questa strategia nel lungo termine? Qual'è il tuo grado di soddisfazione dei risultati di questo comportamento?


Evitamento


Torniamo a parlare di evitamento. Questa voltà però lo faremo entrando nei dettagli dell'esperienza interiore. Evitare le situazioni e le circostanze che potrebbero suscitare emozioni sgradite si chiama evitamento. L'evitamento ha il fascino dell'ovvietà. Se il ferro da stiro brucia, non lo tocco. Evitare le occasioni di ansia appare come un modo semplice e indolore di affrontare il problema "a monte".

L'evitamento, inoltre, è un comportamento così familiare, per cui è veramente difficile sfuggire al suo richiamo. Quando andiamo al ristorante non scegliamo le pietanze che non ci piacciono, quando andiamo al cinema, non scegliamo i film che aborriamo.

Inoltre, l'evitamento è una soluzione ragionevole ed utile quando cerchiamo un aiuto a non fare delle cose che ci piacciono molto. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Perchè lottare contro me stesso se, essendo a dieta, vedo un gelato in frigo e mi vien voglia di mangiarlo?
Semplicemente è meglio non comprarlo affatto.

Purtroppo, però, vi sono delle forme di evitamento che sono estremamente problematiche e distruttive.

Nota attentamente la differenza tra gli evitamenti di cui abbiamo parlato in precedenza ed i seguenti: se ho paura dei leoni, non vado in Africa, se ho paura degli aerei, non volo, se ho paura del tarffico, non prendo 'auto, se ho paura delle malattie contagiose, non ho contatti con le persone.

Tutti questi evitamenti hanno due caratteritiche:

1. Questo tipo di evitamento non si limita ad una specifica e limitata azione, ma riguarda una classe di azioni molto estesa. Ad esempio, se si intende evitare il traffico, si possono iniziare ad evitare dapprima le strade molto trafficate, poi quelle che sono talvolta trafficate, poi quelle che potrebbero essere trafficate, per poi giungere a non prendere l'auto per nulla.

2. Questo tipo di evitamento riduce più o meno gravemente lo spazio di libertà personale. In altri termini, l'evitamento determina la preclusione di uno spazio di azione importante per la vita di una persona. Di evitamento in evitamento, si finisce con l'evitare di vivere.


Ci sono delle cose che non fai per timore di avere degli attacchi di panico o altro tipo di disagio?
Le cose che non fai sono importanti per la tua vita?
Il comportamento di evitamento ha risolto a lungo termine il problema?
Sei interamente soddisfatto/a di questo modo di tenere sotto controllo l'ansia?


Rassicurazione

L'auto - rassicurazione procurata dalla ricerca di vie di fuga, ospedali, amici,persone che possono aiutare o capire, o portando con sè farmaci, è un modo molto fatuo di risolvere il problema.
Con un grande sforzo e, invece di procurare serenità, procura un costante stato di tensione per verificare che gli oggetti rassicuranti non sfuggano mai dal controllo.

Ci sono delle azioni, come ad esempio portare con te farmaci, accertarti che vi siano vie di fuga o ltre condizioni particolari, che svolgi prima di effettuare delle attività?
Queste azioni hanno risolto in lungo termine il tuo problema? Sei interamente soddisfatto/a di questo modo di tenere sotto controllo l'ansia?

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 10-Gen-2011, 21:09
CREARE LA CALMA

Come abbiamo visto, non possiamo creare vera calma cercando di controllare l'ansia. Molte persone sono convinte che la calma si ottenga eliminando o contollando l'ansia e i pensieri che l'accompagnano.

Questa idea produce molti più danni di quanto si possa immaginare: se aderiamo alla convinzione che si possa star calmi sforzandoci di controllare l'ansia entriamo nel circolo vizioso di ansia che produce altra ansia, di preoccupazione che produce altra preoccupazione, di tensione che produce altra tensione.

Se infatti, siamo convinti che bisogna "controllare" l'ansia con tutta la nostra forza, l'unica cosa che otterremo sarà che tutta la nostra attenzione rimarrà concentrata nel tenere "ansiosamente" l'ansia sotto controllo.

Come abbiamo visto, se la nostra principale preoccupazione è di non essere in ansia, non facciamo altro che innescare un circolo vizioso di ansia che genera altra ansia.

Ma allora come ci si può calmare?


Le due manopole

. Immagina di avere a disposizione due manopole.

Una è la manopola dell'ansia.

Grazie ad essa puoi regolare l'ansia da 0 a 10, a tuo piacimento.

L'altra manopola è quella dell'accettazione con cui puoi decidere quanto puoi accettare e lasciare andare una certa emozione così com'è senza fare nulla per tenerla sotto controllo.


. Quale manopola decideresti di utilizzare?
. Se hai scelto la manopola dell'ansia, su quale valore la posizioneresti?

Ammettiamo che tu sia tentato di scegliere la manopola dell'ansia e di posizionarla su 0. La tua scelta sarebbe comprensibile, ma c'è una cosa che devi sapere.

La monopola dell'ansia non funziona! Gira a vuoto.

Al contrario, la manopola dell'accettazione può essere perfettamente funzionante con un pò di allenamento.

Come mai?

Alcuni aspetti dell'esperienza non possono essere scelti, altri si.

Facciamo un esperimento.

. Sii felice per trenta secondi.
. Porta la tua attenzione al tuo stato d'animo per trenta secondi.

Con tutta probabilità non sei riuscito ad eseguire il primo comando, ma sei pefettamente in grado di eseguire il secondo.

In nessun modo puoi decidere "a comando" i tuoi sentimenti.

Puoi invece decidere di smettere di cercare di controllare una certa emozione.

Il paradosso è che proprio questo atteggiamento è quello che funziona per il corpo.

Ricordi? Ci eravamo chiesti come comunicare al corpo il concetto che non c'è pericolo: appunto, l'unico modo è di lasciare andare le cose così come sono, senza cercare di controllarle.

Il corpo interpreta il tentativo di controllo come un avviso di pericolo e pertanto continua ad attivare i meccaanismi dell'ansia.

L'assenza di controllo comunica al corpo l'assenza di pericolo e pertanto il corpo si calma.

Ma per fare questo è necessario uno specifico allenamento.

Uno dei metodi più efficaci per creare uno stato di accettazione tranquilla delle proprie emozioni è l'attenzione alla respirazione. L'essere umano conosce da millenni questo metodo. L'attenzione alla respirazione. Grazie a questi esercizi apprendiamo a focalizzare l'attenzione su un elemento neutro della nostra esperienza e poi ad estendere lo stesso atteggiamento di neutralità (assenza di controllo) a tutta la nostra esperienza.

Il risultato non si farà attendere e la calma sopraggiungerà.

Non è necessario essere dei fachiri per apprendere i rudimenti di quest'arte e utilizzarla per calmarsi durante gli attacchi di panico.

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 10-Gen-2011, 21:37
RESPIRAZIONE LENTA CONTROLLATA


L' ESERCIZIO DI RESPIRAZIONE LENTA CONTROLLATA non è un mero esercizio di respirazione, ma un esercizio di attenzione al respiro.

Nel corso dell'esercizio è essenziale manovrare la nostra attenzione in modo corretto.

Comincia ad esercitarti nei momenti di calma. Poi potrai utilizzare il tuo apprendimento quando sei in ansia o nei momenti di panico.

. Trova un momento per te, un momento in cui nessuno ti disturbi.

. Siedi su una sedia rigida, e assumi una posizione eretta con i piedi ben appoggiati sul pavimento.

. Inizia a sentire il contatto dei piedi con il pavimento ed il contatto con la sedia. Le sensazioni di contatto e di temperatura.

. Bene, ora inizia ad inspirare lentamente (aria dentro) gonfiando la pancia, lentamente, per poi gonfiare il torace. Arriva fino al punto in cui hai quasi riempito completamente i polmoni ( non completamente, ma quasi). Trattieni il respiro per qualche secondo.

. Ora lascia andare l'aria. L'aria uscirà naturalmente dal naso senza alcuno sforzo da parte tua.
Tieni presente che l'aria esce da sola, senza fatica. Lascia semplicemente che l'aria esca, senza forzarla.

. Rimani qualche secondo in quest'atteggiamento di realx dei muscoli toracici e addominali.

E' importante respirare molto lentamente. Se senti la testa vuota o soparaggiungono vertigini, vuol dire che stai respirando troppo velocemente. In questo caso devi rallentare ancora il ritmo del respiro.


Dicevamo che questo non è un esercizio di respirazione, ma un esercizio di attenzione al respiro.
Perchè?

Perchè è essenziale che per tutta la durata dell'esercizio la nostra attenzione sia interamente rivolta al processo del respiro. Una buona regola è di portare l'attenzione esattamente dove va l'aria. Se l'aria entra nella pancia portare l'attenzione alla pancia che si gonfia, quando l'aria entra nel torace portare l'attenzione al torace che si gonfia. Quando l'aria esce, portare l'attenzione al relax del torace e della pancia.

Ma è importante una precisazione. Per quanto impegno ci mettiamo, è quasi imposibile tenere la nostra attenzione fissa su un punto senza divagazioni.

Pertanto, quando diciamo che bisogna tenere tutta la nostra attenzione al respiro, in realtà intendiamo che quando la mente divaga (ed è normale che accada) bisogna solo notare che la mente è altrove, e riportare l'attenzione al respiro.

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 10-Gen-2011, 22:00
Il respiro paradosso

Se hai difficoltà a gonfiare la pancia quando entra l'aria, è probabile che adotti un respiro detto paradosso.

Cerchiamo di capirci. Immagina che la pancia ed il torace siano un unico palloncino. Quando l'aria entra il palloncino dovrebbe gonfiarsi. Quando l'aria esce, il palloncino si sgonfia senza alcuno sforzo.

Alcune persone gonfiano il torace tirando però la pancia in dentro. In questo modo si usa solo la parte superiore del palloncino. E' importante apprendere ad usare tutto il palloncino.

Se tendi a respirare in questo modo, fai questo esercizio.

Prova a gonfiare la pancia e a sgonfiarla senza preoccuparti del respiro.

Gonfia la pancia e sgonfiala. Lentamente.

Ora associa l'inspirazione di aria al momento in cui gonfi la pancia. Ed associa l'espirazione quando la pancia si sgonfia.

Esercitati con cura.


Inviato da: miki_70 il Lunedì, 10-Gen-2011, 22:03

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 10-Gen-2011, 22:05

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 10-Gen-2011, 22:07

Inviato da: Lilium Cruentus il Martedì, 11-Gen-2011, 02:40
..Piccola intrusione....
Sto cominciando a leggere.
Grazie di cuore. PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 19:48
Calmarsi ovunque e in qualsiasi situazione


La respirazione lenta controllata descritta può essere considerata l'allenamento quotidiano.

Bisogna tuttavia imparare ad applicare questo allenamento quando si prova ansia.

Per far questo è importante avere alcune infomazioni ed acquisire alcuni strumenti.


Calmarsi quando si è in ansia o in panico


Ai primi segni di ansia o di panico non perderti nei tuoi pensieri.

Semplicemente comincia il tuo esercizio di respirazione lenta controllata portando tutta l'attenzione al repiro.

Naturalmente la mente tenderà a fuggire nuovamente verso i pensieri catastrofici. Nulla di grave. E' normale che accada. Devi semplicemente accorgetene, e riportare l'attenzione al respiro.

Ogni volta che la mente divaga e cattura la tua attenzione nel film catastrofico, il tuo compito è semplicemente di accorgetene e di riportare l'attenzione al respiro. Dieci, cento, mille volte. Il risultato non si farà attendere. Può essere di grande aiuto dare un nome alla tendenza alla divagazione catastrofica della mente. Ad esempio puoi dire a te stesso:" catastrofizzo", oppure "film", oppure ancora "immaginazione", etc.

Dopo aver detto la parola a te stesso, ritorna con l'attenzione al respiro.


Calmarsi mentre si sta facendo qualcosa

Nel corso del programma molte persone legittimamente si chiedono : ma come faccio ad applicare l'esercizio di respirazione lenta controllata ad esempio mentre sto guidando? Non posso certo chiudere gli occhi e concentrarmi sul respiro se devo anche guidare!

Certo, è esattamente così. Non è possibile compiere nessun'azione se la nostra attenzione non include in qualche modo anche quello che stiamo facendo.

Ebbene, noi possiamo restringere ed allargare il campo dell'attenzione proprio come fosse un raggio di luce che può essere puntiforme ed allargarsi fino ad essere diffuso.

Quando stiamo facendo qualcosa è indispensabile allenarsi ad allargare il campo dell'attenzione in modo da includere anche ciò che stiamo facendo. In questo caso l'esercizio diventa: porta l'attenzione al respiro e a quello che stai facendo.

E' importante esercitarsi a "sentire" il proprio respiro mentre si sta facendo un'altra cosa: parlare con qualcuno, studiare, preparare da mangiare, guidare, etc.
Dopo un pò ci si accorge che non solo la percezione del respiro non distrae da quel che si sta facendo, ma che, anzi, migliora la capacità di concentrazione.

Mi raccomando, "non lottare con i pensieri. Semplicemente nota il loro emergere ed il loro svanire"

Il tuo compito non è di controllare le emozioni o i pensieri, ma di notare dove sta la mente e accompagnare l'attenzione sul presente (il respiro e quel che stai facendo)

Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 20:07
Se calmarsi risulta difficile


Per alcune persone le indicazioni date finora risultano sufficienti. Per altre persone, no. Non si tratta di essere più o meno bravi. E' una questione di differenze individuali di sensibilità a certe sensazioni. Per alcune persone, ad eempio, risulta difficile percepire il corpo. Semplicemente non sono abituate. In questi casi è necessario dedicare maggiore cura a questo aspetto del programma.


Rilassamento Corporeo

Se risulta difficile calmarti, puoi aggiungere alla RLC l'esercizio di Rilassamento Muscolare Progressivo che consiste nel lasciare andare le tensioni del corpo ovunque le avverti. Spesso il problema però non consiste nella ifficoltà a lasciare andare le tensioni, ma nel riconoscerle.
Pertanto può essre utile questo esercizio che consente di apprendere a riconoscere le tensioni muscolari e a lasciare andare.

Questa tecnic si basa sull'alternanza contrazione/rilascio di alcuni gruppi muscolari; è stata ideata negli anni trenta dal medico e psicofisiologo statunitense Edmund Jacobson.

Per raggiungere il massimo rilassamento è indispensabile esercitarsi con regolarità, evitando di lasciar trascorrere più di 4 giorni tra un allenamento e l'altro;

la durata dell'esercizio varia tra i 30 e i 45 minuti, durante i quali è importante non essere disturbati;

è fondamentale vestire in modo comodo, oscurare l'ambiente circostante e assicurarsi che la temperatura sia confortevole;

sdraiarsi su una superficie dura, stendere le braccia lungo il corpo, tenere le gambe leggermente divaricate, lasciare che i piedi cadano in fuori;

prima di cominciare l'esercizio vero e proprio iniziare a respirare i modo profondo utilizzando le tecniche descritte nella pagina precedente

# tirare le dita dei piedi verso il corpo, mantenere intensa la tensione per 2-3 secondi. Lasciare e rilassare circa 15 secondi;

# piegare ora le dita dei piedi e cercare di stendere la pianta del piede sul pavimento. Tenere in tensione e rilasciare;

# contrarre i muscoli della gamba tenendo il piede a martello. Mantenere la massima tensione poi rilasciare. Procedere prima con una gamba poi con l'altra;

# contrarre glutei e bacino insieme, tenere e poi rilassare;

# contrarre i muscoli addominali, ritraendo il ventre, mantenere e lasciare;

# ora si passa alle braccia, partendo dalle mani. Stringere forte il pugno, poi rilasciare;

# contrarre i muscoli delle braccia piegando l'avambraccio sul braccio e mantenendo la tensione cercare di raggiungere con il polso la spalla. Stendere di nuovo il braccio sul suolo e rilassare;

# spingere con le braccia contro il torace e i fianchi e contemporaneamente porre le spalle in basso e in avanti. Rilasciare;

# muovere le spalle in basso e indietro per contrarre la zona della spalle e delle scapole. Contrarre e rilassare;

# per i muscoli della nuca tirare in alto le spalle contraendo i trapezi e incassare la testa tra di esse. Contrarre e rilassare;

# corrugare la fronte, strizzare gli occhi e stringere le labbra il più possibile. Tenere e rilassare;

# al termine dell'esercizio rimanere sdraiati per qualche minuto cercando di percepire il profondo rilassamento. Continuare a respirare profondamente.


Non bisogna avere fretta di calmarsi. La calma sopraggiunge lentamente, ma non bisogna abbandonare l'esercizio. Se si abbandona l'esercizio, bisogna riprendere ad eseguirlo partendo dall'inizio. Eseguire l'esercizio ogni volta che ci si trova in ansia. L'esercizio costante non manche rà di dare i suoi frutti.
Ricorda: questo esercizio funziona se viene eseguito.
Potete esercitarvi utilizzando entrambi gli esercizi. Ma per adesso fatene uno alla volta.

Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 20:17
PRIMA DI APPRENDERE A CALMARSI E' ESSENZIALE ESSERE CONVINTI CHE IN CASO DI PANICO NON ACCADE NULLA DI CATATSROFICO. iN CASO CONTRARIO OGNI TENTATIVO DI CALMARSI E' INUTILE.

1. NON COMBATTERE L'ANSIA E RICONOSCERE DI ESSERE IN ANSIA

2. RILEVARE LE TENSIONI DEL CORPO E RILASCIARLE

3. COMPIERE ALCUNI CICLI RESPIRATORI VOLONTARIAMENTE, LENTAMENTE, PORTANDO TUTTA L'ATTENZIONE SUL RESPIRO E RIEMPIENDO I POLMONI DAL BASSO VERSO L'ALTO, E POI ESPIRANDO SEMPLICEMENTE ABBANDONANDO OGNI SFORZO.

4. CONTINUARE A TENERE L'ATTENZIONE SUL RESPIRO, MA SENZA PIU' GUIDARLO VOLONTARIAMENTE, SGUIRE SEMPLICEMENTE IL RESPIRO COSI' COME AVVIENE NATURALMENTE.

5. RICONOSCERE LE DIVAGAZIONI SPONTANEE DELLA MENTE.

6. RIPORTARE L'ATTENZIONE SUL RESPIRO.

7.SE SI HANNO DIFFICOLTA' APPRENDERE IL RILASSAMENTO MUSCOLARE PROGRESSIVO

Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 20:33
PARTE III


RIPRENDERE IL CONTROLLO DELLA NOSTRA VITA



In questa parte ci occuperemo di mettere in pratica tutto quello che abbiamo appreso finora, in modo da rimetterci in gioco ed affrontare tutte le situazioni che finora abbiamo evitato.


Valori e obbiettivi


Abbiamo parlato di accettazione. Accettazione non significa rassegnazione.

Si tratta di due concetti completamente diversi.

Ciò che bisogna accettare è la nostra esperienza interiore. Cos' com'è, nel momento in cui è.
Ogni tentativo di respingere la nostra esperienza interiore è destinata al fallimento.

Non bisogna invece rassegnarsi a non vivere la nostra vita, cioè non bisogna rinunciare alla nostra vita, a ciò che è importante per noi.

Dunque, accettare i pensieri, le emozioni, le sensazioni è l'unica strada possibile per distogliere le nostre energie ed il nostro tempo dalla inutile (e dannosa) lotta contro noi stessi, e per dirigerli invece verso la nostra vita.

Tutto il lavoro fatto per lottare contro l'ansia ed altre emozioni sgradite può averci allontanato dalla nostra vita al punto di non sapere più cosa è importante per noi stessi.

Forse per lungo tempo abbiamo considerato che la cosa più importante fosse lottare contro l'ansia, ed ora è possibile che ritornare a progettare la nostra vita possa apparirci poco familiare o addirittura inconcepibile.

Sappiamo già che la mente è pronta a fare la seguente obiezione:" non ci si può occupare della propria vita in modo pieno se prima non si superano gli ostacoli. E l'ansia è un ostacolo."

Sappiamo, d'altra parte, che proprio la lotta contro l'ansia è il più grande ostacolo ad occuparti della tua vita.

Bene, ringraziamo la nostra mente per questa obiezione, e facciamo la nostra scelta.

Vogliamo dedicarci alla lotta contro l'ansia o alla nostra vita?

Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 21:21
LA MAPPA DELLA VITA


Questo capitolo è dedicato ad un interessante esercizio sperimentato dal gruppo di lavoro di Steven Hayes.

Grazie a questo esercizio avremo la possibilità di passare in rassegna tutte le aree della nostra vita e dunque di mettere in evidenza i nostri valori per ciascuna di esse.

Tra breve, il tuo compito sarà di costruire la tua mappa, in cui individuare innanzitutto le aree della vita che ti interessano, e poi le direzioni che intendi dare alla tua vita per ciascuna area.

Ora esploreremo insieme ciascuna di queste aree, al fine di individuare i valori e gli obbiettivi importanti per te.

Non sottovalutare questo importante lavoro personale. Stiamo parlando della tua vita. Sei tu a decidere a cosa dare priorità ed importanza ed in che modo. Non lasciare che gli eventi decidano per te. Dice un antico detto orintale:" Se non sappiamo dove andare, andremo nella direzione verso cui siamo voltati".

Ma prima di costruire la tua mappa, prosegui nella lettura.


Direzione e mete

Il primo passo consiste nel considerare con attenzione la differenza tra valori e obbiettivi.

I valori non sono delle cose che si ottengono, non si raggiungono, non si realizzano.

I valori sono le direzioni che intendiamo dare alla nostra vita, indipendentemente dai risultati.

Anche se la strada dei valori è lastricata da piccoli e grandi obiettivi, il loro raggiungimento non ha nulla a che fare con la direzione che abbiamo imboccato.

Se andiamo verso Nord, siamo esattamente in quella direzione dopo un metro, dopo 100 metri e dopo 100 chilometri.

Il Nord non si raggiunge mai, è una direzione.

Un valore ad esempio è l'onestà. L'onestà non si raggiunge, è una guida per le nostre scelte, giorno dopo giorno.

La sicurezza economica come valore è diversa dalla sicurezza economica come obbiettivo. Anche se non la si è raggiunta, è questo valore che può guidare le scelte finanziarie e lavorative. Se devo scegliere tra un investimento molto remunerativo, ma molto rischioso, e un investimento a basso rischio, ma poco remunerativo, se sono giudato dal valore della "sicurezza", scelgo quest'ultimo.

All'opposto, se un nostro valore è di "mettere in gioco le nostre capacità", potremmo essere portati a scegliere l'investimento più rischioso, semmai perchè siamo molto competenti di come funziona il mercato azionario.

Allo stesso modo, la sfida intellettuale, il coraggio, la libertà, la solidarietà, etc. sono tutti dei "valori" che, applicati alle diverse aree della vita, ci guidano nelle nostre decisioni e nella scelta dei nostri obbiettivi.

E' di importanza vitale riappropriarci dei nostri valori. Sapere quanta importanza ha per noi ciascuno di essi, in che direzione impegnare le nostre energie ed il nostro tempo.

I valori non sono delle categorie morali, ne ciò che la società dice di fare. I valori sono ciò che più conta per noi. Solo se sappiamo impegnarci per ciò che per noi è importante sentiamo la nostra vita piena e ricca.

Al contrario, come abbiamo visto, essere preda del bisogno immediato di sollievo dall'ansia, oppure cercare in tutti i modi di evitarla, non fa altro che restringere il nostro campo d'azione, e aggiungere frustrazioni e insoddisfazioni.

Fuggire dalla sofferenza non è un valore, ma una trappola della mente che crea altra sofferenza.


E' venuto il mometo di lavorare alla tua mappa

AL CENTRO DELLA MAPPA, SCRIVI IN UN CERCHIO:" LA MIA VITA". FAI PARTIRE DA QUESTO CERCHIO DEI RAMI SU CUI SCRIVERE LE AREE DELLA TUA VITA: AD ESEMPIO, LA FAMIGLIA, LAVORO, CARRIERA, STUDIO, RELAZIONI, HOBBY, ETC.

PER OGNI RAMO, FAI PARTIRE ALTRI RAMI

QUESTI SONO I TUOI VALORI, CIOE' CHE REPUTI IMPORTANTE IN CIASCUNA DELLE AREE DELLA TUA VITA.

SCRIVI I TUOI VALORI SU CIASCUN RAMO.

QUALI SONO LE COSE IMPORTANTI PER TE IN UNA RELAZIONE SENTIMENTALE? L'ONESTA? L'INTIMITA'? LA SESSAUALITA'? IL CAOLORE?
E QUALI SONO LE COSE IMPORTANTI PER TE NEL LAVORO? LA SICUREZZA ECONOMICA? SUPERARE SFIDE DIFFICILI? LA NOTORIETA'? LA TRANQUILLITA'? IL RAPPORTO SERENO CON I COLLEGHI?

Considera attentamente le tue scelte. Accade purtroppo frequentemente, quando si è preda dell'evitamento, di confondere un mero ripiego, per un valore, un intenzione profonda.

Ad esempio, "un rapporto civile" è una scelta molto sospetta come valore che riguarda la realzione con il partner. Come pure la "distrazione", nell'area degli hobby, probabilmente non è un valore, ma una fuga dalla realtà.


PER OGNI RAMO, ORA, DAI UN PUNTEGGIO DI IMPORTANZA DA 1 A 5.

INFINE, DAI UN PUNTEGGIO DA 0 A 5 DI QUANTO STAI FACENDO IN QUESTA DIREZIONE.

QUESTO PUNTEGGIO E' LA QUANTITA' DEL TUO IMPEGNO RISPETTO AL TUO VALORE.

Hai completato la tua mappa. per ogni area della tua vita, hai dato un punteggio di importanza relativa di ciò che reputi importante, ed hai dato un punteggio di importanza relativa di ciò che reputi importante, ed hai dato un punteggio di quanto stai facendo per dirigerti in questa direzione. In che area, e per quale valore ti sembra che stai facendo abbastanza? Ed in che area e per quale valore, ti sembra che stai facendo troppo poco?

Questa mappa sarà la nostra guida per il proseguio del programma.


....pausa! blush.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 21:32
Giusto per sapere chi è Steven C. Hayes.
Pichiatra, psicoterapeuta.

* American Psychological Society American Psychological Society
* American Psychological Association American Psychological Association
* Association for Behavioral and Cognitive Therapies Associazione per la Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale
* Association for Behavior Analysis Associazione per l'Analisi del comportamento
* Association for Contextual Behavioral Science Associazione per la contestuale scienza del comportamento

Honors Riconoscimenti

* Lifetime Achievement Award, Association for Behavioral and Cognitive Therapies,2007 Lifetime Achievement Award, Associazione per la Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 2007
* Impact of Science on Application, Society for the Advancement of Behavior Analysis Impatto della scienza sulla domanda, la Società per l'Avanzamento della Behavior Analysis
* Listed as the 9 th most productive out of 1,927 clinical faculty members in the USA, 2000-2004. Indicata come il 9 ° massimo produttivo di 1.927 membri di facoltà clinico negli Stati Uniti, 2000-2004. Citation: Stewart, PK, Wu, YP and Roberts, MC (2007). Citazione:, PK, Wu, YP e Roberts Stewart, MC (2007). Top producers of scholarly publications in clinical psychology PhD programs. Journal of Clinical Psychology, 63(12), 1209–1215. primi produttori di pubblicazioni scientifiche in psicologia clinica programmi di dottorato. Journal of Clinical Psychology, 63 (12), 1209-1215.
* Nevada Psychological Association James Mikawa Psychologist of the Year Award, 2006 Nevada Psychological Association Mikawa psicologo James of the Year Award, 2006
* Distinguished Alumnus Award, Eberly College of Arts and Sciences, West Virginia University, 2000 Premio per l'eccellenza Alumnus, Eberly College of Arts and Sciences, University West Virginia, 2000
* Don F. Hake Award for Exemplary Contributions to Basic Behavioral Research and Its Applicaitons. Don F. Naselli Award per il contributo esemplare per la ricerca di base del comportamento e delle sue applicazioni. Division 25 (Experimental Analysis of Behavior) of the American Psychological Association, 2000 Divisione 25 (Analisi sperimentale del comportamento), della American Psychological Association, 2000
* Award for Excellence, Nevada Tobacco Prevention Coalition, 2001 Premio per l'eccellenza, Coalizione prevenzione del tabagismo Nevada, 2001
* University and Community College System of Nevada Regents´ Researcher Award (statewide researcher of the year in Nevada), 2000 Università e Community College System di Ricercatore 'Premio Regents Nevada (ricercatore in tutto lo stato dell' anno in Nevada), 2000
* University of Nevada, Reno Outstanding Researcher of the Year, 1997 Università del Nevada, Reno Ricercatore eccezionale dell'anno, 1997
* Fellow, American College of Mental Health Administration, 2002 Fellow, American College of Mental Health Administration, 2002
* Fellow, Western Psychological Association, 1993 Fellow, Western Psychological Association, 1993
* Fellow, American Association of Applied and Preventative Psychology, 1991 Fellow, Associazione Americana di Psicologia Applicata e preventiva, 1991
* Fellow, American Psycyological Society, 1989 Fellow, American Society Psycyological, 1989
* Fellow, Division 12 - Clinical Psychology of the American Psychological Association, 1986 Fellow, Divisione 12 - Psicologia Clinica dell'American Psychological Association, 1986
* Fellow, Division 25 - The Experimental Analysis of Behavior of the American Psychological Association, 1985 Fellow, Divisione 25 - L'Analisi sperimentale del comportamento della American Psychological Association, 1985
* Named University of Nevada Foundation Professor, 1992 Università nome della Fondazione il professor Nevada, 1992
* Listed by the Institute for Scientific Information and the American Psychological Society as 30th on the list of the top 50 psychologists inthe world as measured by citation impact during 1986-1990, 1992 Elencati dal Institute for Scientific Information e l'American Psychological Society come 30a nella lista dei 50 psicologi mondo inThe misurata in termini di impatto citazione durante 1986-1990, 1992

Major Offices Importanti uffici

* Chair, World Congress of Cognitive and Behavioral and Therapies Presidente, Congresso Mondiale della e comportamentali e terapie cognitive 2008-2011o:p> 2008-2011o: p>
* President, Association for Contextual Behavioral Science Presidente, Associazione per contestuali scienza del comportamento 2007-2008 2007-2008
* President, Association for Advancement of Behavior Therapy, 1996-1997 Presidente, Associazione per la promozione della terapia comportamentale, 1996-1997
* President, American Association of Applied Preventative Psychology, 1994-1996 Presidente, Associazione Americana di Psicologia Applicata preventiva, 1994-1996
* Vice-President, American Association of Applied and Preventative Psychology, 1993-1994 Vice-Presidente dell'Associazione Americana di Psicologia Applicata e preventiva, 1993-1994
* Secretary-Treasurer, American Psychological Society, 1988-1989 Segretario-Tesoriere, American Psychological Society, 1988-1989
* President, Division 25 (Experimental Analysis of Behavior), American Psychological Associaiton, 1986-1987 Presidente, Divisione 25 (Analisi sperimentale del comportamento), American Psychological Associaiton, 1986-1987


Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 22:50
Prima di continuare il programma vorrei postrvi questo scritto che trovo di fondamentale importanza per capire meglio la terapia ACT.

Acceptance and Commitment Therapy

LA BATTAGLIA CONTRO LA NOSTRA ESPERIENZA
Quando la sofferenza bussa alla tua porta e tu la informi che non c’è posto per lei, questa ti risponde di non preoccuparti perché ha portato uno sgabello. Chinua Achebe, da Arrow of God (1967, p. 84).

La sofferenza è connaturata all’esistenza umana, il rifiuto di questo presupposto comporta una lotta dolorosa, fonte di ulteriore patimento.

Quante persone, che conosciamo veramente bene, non hanno passato periodi in cui hanno lottato contro seri problemi psicologici o sociali, questioni relazionali, problemi lavorativi, ansia, depressione, rabbia, questioni di autocontrollo, problemi sessuali, paura di morire, ecc.? Per la maggior parte delle persone questa lista sarà breve.

I dati scientifici sui problemi umani confermano quest‘impressione. Ad esempio negli Stati Uniti, circa il 30% di tutti gli adulti ha un disturbo psichiatrico maggiore in questo determinato momento, circa il 50% avrà tale disturbo ad un certo punto della propria vita, e quasi l’80% di questi avrà più di un serio problema psicologico (Kessler et al., 1994). “Sulla base di questi dati, pensate al pranzo domenicale con la vostra famiglia di origine, siete a tavola, osservate i vostri cari, 1..2..3.., uno su tre sta vivendo un problema psicologico; oppure pensate alla vostra attuale famiglia e ai vostri figli, 1..2..3.., ai vostri fratelli, 1..2..3.., ai vostri amici, 1..2..3..” (rif. K. Wilson).

Quando le persone sono spaventate, quando provano ansia, tristezza, angoscia, o altre emozioni negative, quando pensano a se stesse come individui indegni, spesso si sforzano di annullare queste esperienze. Senza rendersene conto, programmano la propria vita in funzione del controllo delle loro emozioni: si tratta di una battaglia contro i propri eventi interni.

Poiché noi siamo il prodotto della nostra storia (biologica, educativa, esperienziale, caratteriale, ecc.) che non si può cancellare, gli sforzi orientati al controllo dell’esperienza sono in gran parte inefficaci e si ritorcono contro di noi, intrappolandoci in un’infruttuosa guerra contro noi stessi. In questo modo viene a crearsi un circolo vizioso che si auto amplifica, e che ci porta ad una sofferenza addizionale.

Questa tendenza verso il controllo/evitamento delle esperienze dolorose, è naturale, fa parte del corredo biologico dell’essere umano, è legata alla nostra intelligenza verbale ed è amplificata dalla moderna cultura occidentale.

L'ACT si basa su una teoria funzionale del linguaggio (Relational Frame Theory, Barnes-Holmes, Hayes & Dymond, 2001), che chiarisce come le modalità di funzionamento delle capacità linguistiche dell’essere umano, che gli conferiscono un’intelligenza superiore, implichino inevitabilmente anche un alto grado di sofferenza in molte situazioni. Infatti, il linguaggio, come abbiamo visto, intrappola le persone dentro futili tentativi di combattere contro la loro vita interiore.......


Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 22:55
....L'intelligenza verbale umana, prodotto dell'evoluzione, selezionata come un meccanismo di sopravvivenza, permette di pensare a pericoli che non sono immediatamente presenti e di mettere in atto strategie anticipatorie. Sin dall’infanzia, si è appreso ad utilizzarla con successo per agire sul mondo che ci circonda.

In linea con questi aspetti, l'intelligenza verbale funziona anche come un sistema che restringe considerevolmente le capacità dell'essere umano di entrare in contatto con il momento presente e gli apre la possibilità di evitare, non solamente situazioni esterne pericolose, ma anche stati interni sgradevoli.

Nelle situazioni di pericolo, la mente si comporta come un consigliere che afferma: "Scappa! Quando arriva l’ansia, scappa! Non devi provare quest'emozione, non devi sentirti così!".

Allo stesso modo, la mente ribadisce: "Non devi essere così, non devi avere questo problema ... per essere una buona persona non bisogna avere gli attacchi di panico! ".

Quando una persona soffre, la mente impone che quell’esperienza debba modificarsi: " Questo non sei tu, devi essere diverso!”.

La cultura occidentale moderna, inoltre, c’insegna che “normalmente” le persone stanno bene e che, se le cose non stanno così, c’è qualcosa che non va e questo “qualcosa” deve essere eliminato rapidamente. Qualsiasi sofferenza è vista come un incidente di percorso, una rottura dell’omeostasi, una condizione che deve essere subito eliminata per ripristinare uno stato di benessere.

Il tentativo di utilizzare questo modus operandi per comprendere i propri eventi interni, è una sfortunata conseguenza del modo di lavorare della mente. Quando s’incappa in un evento interno doloroso, si è portati a comportarsi come d’abitudine: lo si organizza e lo si risolve per sbarazzarsene. In realtà, gli eventi interni non sono del tutto simili ai problemi esterni e i tentativi di allontanare e di modificare pensieri e sentimenti che creano disagio, rappresentano spesso una modalità di coping controproduttiva.

Le capacità intellettive funzionano a meraviglia se si vuole eliminare un problema nel mondo esterno (se non mi piace l’abito che indosso, lo sostituisco con un altro). Se, invece, si cerca di rimuovere un disagio inerente la vita interiore, di sbarazzarsi d'un dolore, di dimenticare un ricordo triste, di convincersi che ciò che ci spaventa non accadrà, l’intelligenza è spesso inutile, a meno che il dolore non sia troppo forte, né troppo duraturo, che il ricordo non sia troppo insistente, né l'inquietudine troppo tenace.

Le situazioni in cui l'utilizzo dell'intelligenza verbale, come strategia di controllo del mondo interno, conduce a ciò che vorremmo, sembrano eccezioni che confermano la regola: pensieri, immagini mentali, emozioni, sensazioni fisiche, meno li vorremmo, più li avremo.

Tutte le persone cercano di smorzare le proprie esperienze dolorose e molte, a volte, si logorano per evitare situazioni penose. Tuttavia, dato che il dolore è parte basilare della condizione umana, non esiste un modo duraturo o produttivo di fuggire dalla sofferenza di una perdita o dalla frustrazione di desideri insoddisfatti. Sebbene i metodi utilizzati per controllare la propria sofferenza siano talora efficaci nel breve periodo, alla lunga questi conducono ad un incremento del malessere.

L'evitamento esperienziale o reticenza ad entrare in contatto con le esperienze interne spiacevoli (per esempio pensieri ed emozioni) o con le situazioni a queste collegate (Hayes, Wilson, Gifford, Follette, & Strosahl, 1996) sono considerati tra gli aspetti centrali nello sviluppo del modello psicopatologico e quindi terapeutico dell’ACT.

Questo atteggiamento di controllo/evitamento, porta all’instaurarsi di comportamenti rigidi e male applicati, orientati, per l’appunto, ad evitare, a fuggire, ad eliminare queste esperienze interne spiacevoli, anche quando ciò risulta essere nocivo.

Tutto ciò ha un duplice costo.

Innanzitutto, come già detto, ciò che facciamo nel tentativo di ridurre o rimuovere emozioni, pensieri, sensazioni o ricordi dolorosi, può persino amplificare la propria sofferenza. E’ possibile descrivere questo aspetto, introducendo i concetti di “dolore sporco” e “dolore pulito”.

Chiameremo “dolore pulito” quello che è naturalmente connesso alla vita di tutte le persone. A volte può essere forte, a volte tenue, secondo la propria storia, le circostanze ambientali in cui ci si trova, e così via. Il “dolore pulito” è ciò di cui non ci si può sbarazzare, il dolore che non sarà mai sotto controllo (ad es. quello che deriva da un lutto, un insuccesso, da una malattia, ecc.).

Il “dolore sporco”, invece, consiste nella sofferenza emotiva che deriva dai nostri sforzi per controllare i nostri sentimenti, nel tentativo di non provare dolore. Come conseguenza della fuga dagli eventi interni spiacevoli, viene a crearsi un nuovo set di sentimenti dolorosi. Questo “dolore sul dolore” è chiamato “dolore sporco”.

A questo proposito, la ricerca ha dimostrato che i tentativi di sopprimere i pensieri o emozioni problematici, creano un effetto boomerang, per cui i pensieri e le emozioni risultano incrementati (Hayes et al., 1996).

Come accade nel disturbo post traumatico da stress, gli sforzi per non pensare ad un ricordo doloroso, spesso portano ad elicitare il ricordo stesso.

La persona depressa che sta a letto tutto il giorno per fuggire dal fiasco della propria vita, conferma solamente di più il timore per i propri fallimenti.

Il panico è, almeno in parte, il risultato della lotta per non avere ansia. Abbandonare il dolore sporco o, in altre parole, smettere di manipolare quello pulito, non ci permetterà di eliminare tutto il dolore. Ma ci riporterà nella condizione di dolore pulito che la nostra storia ha stabilito per noi, né più, né meno.

Inoltre, una vita vissuta lottando per “sentirsi bene” (per non sentire gli eventi interni che ci spaventano), spesso non è vissuta al servizio dei propri valori più profondi. Solitamente, infatti, desideri e paure sono due facce della stessa medaglia: dietro ai nostri sogni, ai desideri e ai valori, stanno il timore di non poterli raggiungere o realizzare ed il dolore per il fallimento.....

Inviato da: miki_70 il Martedì, 11-Gen-2011, 22:59
.....Agire nella direzione di questi valori è doloroso, è difficile, è come percorrere una strada irta d’ostacoli, è un percorso che può mettere a nudo le proprie vulnerabilità. Fuggire dalle proprie paure, significa allontanarsi dai propri valori.

La connessione tra dolore e valori spiega il motivo per cui l’evitamento esperienziale comporti un tale costo.



Metafora: la cotta a scuola

Ricorda il tempo in cui eri alle scuole superiori ed eri innamorato di qualcuno che ti ha respinto. Poi ricordarti come sembrava terribile il dolore a quel tempo? Per alcune persone, questo dolore ha portato a ferite indelebili, a un ripetersi di sfiducia nelle altre persone e ad evitare opportunità successive di vera intimità. Guarda al dolore della prima volta in cui sei stato rifiutato e poi chiediti: come sarebbe andata se realmente fosse normale, semplicemente soffrire quando perdiamo qualcosa? Tu hai pochissimo controllo riguardo al dolore nella tua vita. Le persone ti rifiuteranno, le persone moriranno, e succederanno cose brutte. Il dolore è una parte del vivere che nessuno di noi può evitare. Ma quello su cui tu hai controllo è se il dolore si trasformerà in trauma. Se tu non sei disponibile a soffrire, tu devi evitare il dolore. Ricordi come è stato duro per te, come adolescente, aprirti di nuovo dopo la prima volta che sei stato veramente rifiutato. Ma se tu non ti apri, il danno continua e continua ancora. Metafora tradotta e adattata da:

L’ACT punta specificatamente a lasciare andare (abbandonare) questo controllo volto a sbarazzarsi delle esperienze di cui, in realtà, non ci si può disfare. Piuttosto che incrementare la sofferenza, intraprendendo sforzi nella direzione del controllo, l’ACT offre un’alternativa che aiuta i pazienti ad entrare in contatto con le esperienze negative, abbandonando sforzi rigidi o eccessivi di modificare l’esperienza stessa. Questa alternativa è la disponibilità.

Riassumendo, nell’ACT, l’accettazione è basata sulla nozione che, di regola, il tentare di sbarazzarsi del proprio dolore, porta solamente ad amplificarlo, intrappolando ancora di più le persone in esso e trasformandolo in qualcosa di traumatico. Nel frattempo, il proprio progetto di vita viene messo da parte.

Al posto dell’evitamento/controllo, l’ACT cerca di favorire l'accettazione della vita interiore (pensieri, immagini, sensazioni) anche quando è sgradevole, nelle situazioni in cui l’evitamento condurrebbe a rinunciare ad azioni corrispondenti ai valori scelti dalla persona o a persistere in azioni contrarie a questi.



LE SABBIE MOBILI PSICOLOGICHE

Metafora: le sabbie mobili

Supponiamo di incontrare, durante una passeggiata, una persona intrappolata nelle sabbie mobili; non ci sono né funi né rami che possano aiutarci a raggiungerla e a tirarla fuori. L’unico modo per soccorrerla, consiste nel comunicare con lei. La persona continua ad urlare: ”Aiutami ad uscire!!” e comincia a fare ciò che farebbero tutti se fossero bloccati in qualcosa di spaventoso e pericoloso: comincia a lottare strenuamente per uscire, per scappare.

Quando ci si imbatte in qualcosa da cui ci si vorrebbe allontanare (o da cui si vorrebbe uscire), che siano rovi o una pozzanghera fangosa, nel 99,9% dei casi, camminare, scappare, saltare, tirarsi fuori, allontanarsi dal problema possono rivelarsi azioni efficaci.

Questo, però, non vale per le sabbie mobili. Per saltare fuori da qualcosa è necessario alzare un piede e muoverlo in avanti. Ma quando si è bloccati nelle sabbie mobili questa è davvero una cattiva idea. Infatti, alzando un piede, tutto il peso del corpo rimane solo sulla metà della persona; questo significa che la pressione che spinge in giù il corpo raddoppia istantaneamente. In più, il vuoto creato dal piede che si alza, spinge ancora più giù il resto del corpo. Il risultato finale di quest’azione, assolutamente naturale e funzionale in altri casi, è quello di fare sprofondare sempre più la persona nelle sabbie mobili.

Se osserviamo una persona bloccata nelle sabbie mobili, possiamo vedere questo processo in modo chiaro. In questa situazione c’è qualcosa che possiamo urlare alla persona, per aiutarla? Se sapessimo come funzionano le sabbie mobili, dovremmo urlarle di smetterla di dimenarsi per uscire, e di provare a distendersi, braccia e gambe larghe, per massimizzare il contatto con la superficie del fango. Solo in questa posizione la persona potrebbe non sprofondare e salvarsi. Se si cerca di uscire, di salvarsi dalle sabbie mobili, è assolutamente controintuitivo massimizzare il contatto del proprio corpo con esse. Ma chi continua a dimenarsi per uscirne, non capisce che la cosa più saggia e più sicura da fare in queste occasioni è proprio stare con il fango. Metafora tradotta e adattata da: Hayes, S. (2005), Get out of your mind and into your life.

La vita di ogni persona può essere molto simile a questa situazione, eccetto forse che per un fattore: le sabbie mobili che troviamo dentro di noi (nella vita umana), spesso, sono senza fine. La causa della longevità delle preoccupazioni più profonde delle persone, sta nel fatto che i normali metodi utilizzati per risolvere i problemi sono, in realtà, parte del problema, proprio come il dimenarsi per tentare di liberarsi dalle sabbie mobili.



APPARENZA ED ESSENZA DEI PROBLEMI PSICOLOGICI

Metafora: il campo di battaglia

Metaforicamente, la distinzione tra la funzione di un problema psicologico e la forma che prenderà nella vita di una persona, può essere paragonata alla situazione di una persona che combatte una guerra fallimentare su di un campo di battaglia. La persona combatte sempre più duramente perché ritiene che perdere sarebbe devastante e che risulterebbe impossibile vivere una vita soddisfacente, a meno che non si vinca.

Tuttavia, questa persona non si rende conto di poter lasciare il campo di battaglia in qualsiasi momento, cominciando a vivere la propria vita. La guerra potrebbe proseguire ancora, e il campo di battaglia potrebbe essere ancora visibile. Ma il risultato della guerra non sarebbe più così importante e l’apparente sequenza logica di dover vincere la guerra prima di cominciare davvero a vivere, verrebbe abbandonata. Metafora tradotta e adattata da: Hayes, S. (2005), Get out of your mind and into your life.

Questa metafora intende illustrare la differenza tra l’apparenza dei problemi psicologici e la loro reale essenza: la guerra sembra quasi uguale, sia che si combatta, sia che la si osservi semplicemente. La sua apparenza rimane la stessa. Ma il suo impatto – la sua effettiva essenza – è profondamente diversa. Combattere per la propria vita non è lo stesso che vivere la propria vita. Ironicamente, le ricerche suggeriscono che quando l’essenza cambia, anche l’apparenza può cambiare. Quando i combattenti lasciano il campo di battaglia e lasciano che la guerra si prenda cura di se stessa, questa può persino smorzarsi.

L’ACT si focalizza sull’essenza, non sull’apparenza del problema. Imparare ad approcciare le proprie angosce in un modo fondamentalmente diverso può cambiare l’impatto che hanno sulla vita. Anche se l’apparenza dei sentimenti o dei pensieri angoscianti non cambia (ma a volte può succedere), seguendo le strategie ACT l’essenza dell’angoscia psicologica, cioè il suo impatto, cambierà.

Il paziente non otterrà aiuti per vincere la guerra contro il proprio dolore, ma potrà accingersi ad abbandonare la terribile battaglia che è nella propria mente, e ad iniziare a vivere la vita che davvero desidera.



Metafora: l’uomo nella buca

La situazione sembra un po’ questa. Immagina di essere messo in un campo, bendato, e che ti diano una piccola borsa degli attrezzi da portare. Ti viene detto che il tuo lavoro è quello di correre su questo campo, bendato. Questo è il modo in cui si deve vivere. E così tu fai quello che ti è stato detto. Ora, una cosa che tu non sai è che in questo campo ci sono buche abbastanza ampie e piuttosto profonde. All’inizio non lo sai, sei inesperto. Così inizi a correre in giro e prima o poi ti ritrovi in una grande buca. Esplori un po’ intorno e quasi certamente non puoi arrampicarti fuori e non ci sono vie d’uscita da trovare. Probabilmente quello che faresti in una situazione così difficile è prendere la borsa degli attrezzi che ti è stata data e vedere cosa c’è dentro. Ora, supponi che l’unico attrezzo nella borsa sia una pala. Così inizi a scavare, ma presto ti accorgi che non sei fuori dalla buca. Così provi a scavare sempre più velocemente. Ma sei ancora nella buca. Così provi a usare badilate più grandi, o più piccole, o a buttare la terra lontano o vicino. Ma sei ancora nella buca. Tutto questo sforzo, tutto questo lavoro e, ‘stranamente’, la buca è solo diventata sempre più grande. Non è questa la tua esperienza? Così tu sei venuto per vedermi pensando “Forse lui ha una pala davvero enorme - una pala d’oro.” Bene, non ce l’ho. E anche se l’avessi non la userei, perché scavare non è una strada per uscire dalla buca, scavare è ciò che crea le buche. Quindi è possibile che l’intera ‘agenda’ (progetto?) sia senza speranza – non puoi scavarti una via di uscita, questo ti fa solo sprofondare. Metafora tradotta e adattata da

In definitiva, ciò che viene chiesto dall’ACT, è un fondamentale cambiamento di prospettiva: uno spostamento nel modo in cui viene considerata la propria esperienza personale. Non c’è la promessa che ciò cambierà velocemente quello che la depressione, la rabbia, l’ansia, lo stress, o la scarsa autostima sembrano; per lo meno, non subito. Tuttavia, le ricerche hanno dimostrato che il ruolo di questi problemi, come barriera nella propria vita, può essere cambiato, e talora può cambiare abbastanza rapidamente.

I metodi ACT forniscono nuove modalità per approcciare le difficoltà di natura psicologica. Questi nuovi approcci possono cambiare l’attuale essenza dei propri problemi psicologici e l’impatto che essi hanno sulla vita.

Questo aspetto è fondamentale, risponde a tante critiche e perplessità. L’ACT aiuta il paziente a comprendere che il disagio che vive, non è per forza un ostacolo assoluto ed insuperabile al vivere la propria vita.

La persona non deve fermarsi all’apparenza del problema e farsi guidare solo da questo per decidere come progettare la propria vita. L’ACT insegna a guardare oltre l’ostacolo, ad osservare i propri desideri, i valori e i progetti di vita, a comprendere che spesso sulla strada per la realizzazione personale stanno gli ostacoli, il dolore, la paura. L’ACT aiuta le persone ad utilizzare i valori e i desideri come fari per segnalare la via durante la tempesta.


PSICO smile.gif




Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 12-Gen-2011, 19:54
ESPOSIZIONE


Il Disturbo di Panico è caratterizzato da episodi di ansia intensa con pensieri catastrofici (paura di morire, di avere un malore, di svenire, di impazzire, di perdere il controllo, di fare qualcosa di imbarazzante) e dalla costante preoccupazione di avere un nuovo attacco e/o dal cambiamento significativo dello stile di vita in funzione del timore di avere nuovi attacchi.

Come si vede, persino gli asettici criteri diagnostici del Disturbo di Panico sottolineano che la mera evenienza di attacchi di panico non è sufficiente per porre la diagnosi del disturbo e che è necessario che la persona sviluppi evitamenti o altri comportamenti al servizio del timore di questi attacchi.

Come abbiamo visto, infatti, non sono gli attacchi in se a determinare il problema, ma la risposta della persona a questi eventi.

Se la risposta consiste nel programmare la propria vita sempre più in funzione dell'evitamento, del tentativo di controllo, insomma della lotta contro l'ansia e gli attacchi di panico, si determinano le condizioni perchè il disturbo si manifesti.

In questa sezione proponiamo tre tipi di esercizi di esposizione specifici per il panico.




Esposizione interocettiva

Frequentemente vi sono alcune sensazioni corporee che sono altamente temute in quanto legate all'idea di avere un attacco di panico.

Alcuni esempi molto frequenti sono:

. palpitazione e batticuore
. senso di fame d'aria
. vertigini e sensazioni di sbandamento
. senso di confuione
. tremore

Ma possono esservi un gran numero di altre sensazioni più o meno definite che vengono "interpretate" come l'inizio di un attacco di panico. Naturalmete, nel mometo in cui queste sensazioni compaiono, cresce il timore di avere un attacco di panico, l'ansia cresce, e dunque la previsione sembra avverarsi e ciò fa crescere l'ansia ulteriormente.
Il seguente esercizio consiste nella esposizione a queste sensazioni ed alla accettazione dei pensieri ed emozioni che eventualmente suscitano.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 12-Gen-2011, 20:12
Esposizione Interocettiva


. Individua il tipo di sensazione da te temuta maggiormente.
. Definisci le azioni che possano attivare queste sensazioni.

Ad esempio, è possibile avere una lieve tachicardia salendo le scale, avvertire la fame d'aria respirando attraverso una cannuccia, avvertire un senso di confusione o di vertigine respirando profondamente per alcuni secondi, procurarsi dei lievi tremori con uno sforzo isometrico (come premere contro una parete).

. Porta la tua attenzione al respiro e al corpo, momento dopo momento, e svolgi l'attività che stimola quelle sensazioni fisiche.
. Durante l'esposizione, esegui la respirazione lenta controllata e rimani in contatto con il respiro, aria dentro, aria fuori, momento dopo momento.

Dopo un pò non c'è alcuna necessità di controllare il respiro, o di manipolarlo.
Osserva il respiro esattamente come avviene. Nota in particolare le sensazioni che provengono dalla pancia.

. Nota e osserva le sensazioni corporee. In cosa precisamente consistono? Dove le senti?
. Nota e osserva l'eventuale insorgere di pensieri, emozioni e sensazioni di "urgenza" di uscire dalla situazione. Ripeti dentro di te i pensieri di "fuga" dalla situazione appena li noti, facendoli precedere dalla espressione:" Sto avendo il pensiero che....."

Ad esempio:" Sto avendo il pensiero che mi verrà un attacco di panico", "Sto avendo il pensiero che starò male", "Sto avendo il pensiero che devo smettere questo esercizio", "Sto avendo il pensiero che non posso farcela".

. Quando la tua attività non desta più interesse, lasciala pure andare e, continuando a rimanere in contatto con il respiro, porta la tua attenzione sull'ambiente che ti circonda, momento dopo momento: ciò che ascolti e percepisci.

Nota: questo esercizio deve essere svolto sotto supervisione medica in caso di epilessia, disturbi dell'apparato respiratorio e del cuore.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 12-Gen-2011, 20:30
Esposizione alle situazioni temute


Tornando alla tua mappa della vita, quali sono le situazioni che hai evitato ed eviti, e che invece è importante per te affrontare? Guidare l'auto? Viaggiare? Parlare in pubblico? Entrare in luoghi chiusi o affollati? Andare a piedi in luoghi aperti?

Programma di esporti ad una di queste situazioni. Se ce ne sono diverse, scegli quella che è legata ad un' area della vita in cui è importante per te dare la direzione che tu vuoi.

. Durante l'esposizione, esegui la respirazione lenta controllata e rimani in contatto con il respiro, aria dentro, aria fuori, momento dopo momento.

Dopo un pò non c'è alcuna necessità di controllare il respiro, o di manipolarlo.
Osserva il respiro esattamente come avviene. Nota in particolare le sensazioni che provengano dalla pancia.

. Nota e osserva le sensazioni corporee. In cosa precisamente consistono? Dove le senti?
. Nota e osserva l'eventuale insorgere di pensieri, emozioni e sensazioni di "urgenza" di uscire dalla situazione. Ripeti dentro di te i pensieri di "fuga" dalla situazione appena li noti, facendoli precedere dalla espressione :"Sto avendo il pensiero che..."

Ad esempio:" Sto avendo il pensiero che non ce la faccio", "Sto avendo il pensiero che devo uscire subito da qui".

. Terminata l'esposizione, matieni l'attenzione al tuo presente, all'ambiente che ti circonda, e alle sensazioni corporee.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 12-Gen-2011, 20:43
Rinuciare agli "amuleti"


E' possibile che tu attribuisca ad alcuni "oggetti speciali" la funzioni di rassicurarti.

Vi sono moltissimi esempi possibili di questi "amuleti" personali: vie di fuga, ospedali, centri medici, accompagnatori (si, anche gli accompagnatori sono degli amuleti), scatoletta o boccettina di farmaci. Sebbene possano apparire come dei piccoli vezzi senza molta importanza, in realtà, questi oggetti rassicuranti sono un ostacolo serio al tuo programma.

La prova che non si tratta di azioni di poca importanza è data dal vigore con cui eventualmete stai protestando ora all'idea di sbarazzartene.

Naturalmente sei tu a scegliere il tempo ed il luogo. Sei tu a dirigere il gioco. Ma liberarti dagli amuleti è un obbiettivo di grande importanza per sperimentare davvero un atteggiamento di accettazione dei tuoi pensieri, emozioni e sensazioni fisiche.

La rinucia agli amuleti può essere programmata con le esposizioni precedenti.

Scegli il tempo ed il luogo, accertati che non hai "amuleti nascosti", come ad esmpio una stradina secondaria da cui si può sempre "fuggire", oppure un amico medico della zona.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 12-Gen-2011, 21:36
Ancora "ostacoli" della mente


E' possibile, a questo punto, che la mente si metta subito in moto e presenti immediatamente una serie di ostacoli al tuo piano.

Ad esempio, per fare dei colloqui di lavoro può essere necessario prendere l'auto, e la mente può dirti:"Non puoi prendere l'auto, ti verrà un attacco di panico", oppure:" Non puoi partecipare a quel master, è troppo lontano", Oppure, la tua mente potrebbe dirti:" Non puoi dedicarti al tuo hobby, staresti continuamente a preoccuparti", etc, etc.

A questo punto è importante per te riconsiderare tutto il lavoro svolto fin qui ed il lavoro che stai svolgendo giorno dopo giorno.

Grazie al tuo lavoro, probabilmente ti è più chiaro che il vero ostacolo non sono queste preoccupazioni, ma la tua risposta ad esse!

Qual è la tua risposta a questi pensieri, a queste emozioni e a queste sensazioni?

In che direzione va la tua risposta? Va verso le cose che per te sono imprtanti nella vita, oppure se ne allontana?

Rispondi alle seguenti domande:

Cosa ti suggeriscono queste preoccupazioni? In che direzione ti portano? Ti indirizzano verso i tuoi valori, oppure ti catturano in una lotta contro la sofferenza?

In che direzione sei andato quando hai dato ascolto ai loro suggerimenti? Verso i tuoi valori, o verso le preoccupazioni?

Cosa ti suggeriscono i tuoi valori?

Che suggerimento daresti tu a qualcuno che ami? Cosa suggeriresti di fare ai tuoi figli, compagno/a, etc?

La mente è una vigorosa macchina del linguaggio. E la funzione del linguaggio è di allontanarci dalla esperienza diretta per proiettarci in una realtà virtuale che, nonostante la sua vividezza, non è quella che noi vediamo, acoltiamo, odoriamo e tocchiamo nella nostra esperienza presente.
Possiamo renderci conto della funzione della macchina del linguaggio pensando a quante cose incredibili è in grado di fare la nostra mente. Strade, ponti, grattacieli, automobili, aerei, computer, l'esplorazioni nello spazio, l'utilizzo dell'energia nucleare, l'esplorazione della genetica umana, le leggi dllo stato, sono tutti esempi di come il linguaggio possa progettare realtà al momento inesistenti.

Tutto questo può essere dunque molto efficace ed efficiente quando i progettisti di computer, gli architetti, gli ingegneri, gli educatori e di genitori devono poter "vedere", "manipolare" e "trasmettere" cose che al momento non esistono e non sono sperimentabili fisicamente.

Tuttavia, la potenza del linguaggio diventa molto limitante quando l'allontanamento dalla nostra esperienza diretta è proprio la fonte dei nostri problemi.

Quando si soffre di ansia, il vero problema è che noi ci precludiamo ogni esperienza dell'ansia per quella che è, e dunque temiamo qualcosa che ha costruito il linguaggio, non la cosa in sè.

Questa costruzione della mente non è in se stessa buona o cattiva, è semplicemente il modo in cui la mente organizza la relazione tra le cose. E' grazie a questa capacità della mente che siamo in grado di generare infinite frasi, infiniti significati, infiniti progetti, e di tarsmetterli ad altri e a comprenderli.

Ringraziamo allora il lavoro della mente, senza prenderlo necessariamente alla lettera.
E osservaimo la nostra realtà in modo diretto.

Un esempio della potenza illusoria del linguaggio è la parola "ma" utilizzata per descrivere una relazione di contapposizione tra due eventi.

Possiamo allora notare che se gli eventi contrapposti sono pensieri, emozioni e sensazioni, si genera una regola per cui viene potentemente deformata l'esperienza diretta: viene esclusa la possibilità che i due elementi convivano, sebbene essi siano evidentemente entrambi oggetto dell'esperienza.

La persona sperimenta ed esprime entrambi gli eventi, il linguaggio dice: o l'uno, o l'altro.

Consideriamo le seguenti espressioni:


"Vorrei prendere l'auto, ma ho paura."

" Ce la sto mettendo tutta a volermi bene, ma la rabbia è forte."

"Mi piacerebbe avere qualche desiderio anche minimo, ma sono disperato."

"Vorrei smettere di comportarmi così, ma temo di non farcela."

"Provo a continuare, ma provo una grande stanchezza."

"Vorrei dirgli delle cose carine, ma sento un peso qui, sullo stomaco."


Qui il linguaggio fa il suo lavoro presentandoci una realtà dalla coerenza stringente (quanto arbitraria) in cui se c'è una cosa non c'è l'altra:" O pendo l'auto, oppure ho paura", ne consegue che siccome ho paura, allora non prendo l'auto!

Molto interessante, e quasi comico, è il terzo esempio in cui l'espressione "Mi piacerebbe avere un qualche desiderio anche minimo" è chiaramente un desiderio, ma viene negato dal "ma" della espressione contrapposta: se sono disperato, non sto avendo un pensiero di desiderio!


Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 12-Gen-2011, 21:54
Prova ora a fer il seguente esercizio.


. Individua delle aerre della tua vita in cui sarebbe utile per te impegnarti di più, e nota se nelle tue eventuali obiezioni è presente la parola "ma".

. Sostituisci i "ma" con la parola "e".


Ad esempio:

"Vorrei prendere l'auto, e ho paura."
" Ce la sto mettendo tutta a volermi bene, e la rabbia è forte."
"Mi piacerebbe avere qualche desideiro anche minimo, e sono disperato."
"Vorrei smettere di comportarmi così, e temo di non farcela."
"Provo a continuare, e sento una gran stanchezza."
"Vorrei dirgli delle cose carine, e sento un peso qui, sullo stomaco."


Come ti risuonano queste frasi?


Grazie a questo esercizio, abbiamo scelto intenzionalmente di decsrivere una realtà più vicina all'esperienza diretta, invece di essere subalterni all'arbitrarietà di una rete di relazioni.

Queste frasi inoltre hanno un pregio: descrivono abbastanza accuratamente il valore dell'esposizione.

L'esposizione (che è il contrario dell'evitamento) consiste, infatti, nell'affrontare intenzionalmente alcune azioni, circostanze o situazioni esterne, e di provare ansia.

Molto prima che nascesse questo tipo di programma, l'esposizione si è imposta come strumento terapeutico di grande efficacia per il trattamento di molti problemi psicologici, ed in particolare per i problemi di ansia, e pur essendo parte dello strumentario tecnico della psicoterapia comportamnetale, non esiste praticamente alcun modello di psicoterapia che non ne riconosca l'importanza.
Nel corso degli anni si sono accumulate numerosissime prove della sua efficacia, e non è un caso che anche nelle più recenti espressioni della terapia cognitivo comportamentale l'esposizione abbia un ruolo centrale.

L'esposizione ha lo scopo di:

1. Distogliere le nostre energie dalla lotta inutile e dannosa contro l'ansia, ed impegnarci per la nostra vita, perchè ciò che è veramente importante per noi.

2. Assumere un atteggiamento di accettazione e consapevolezza della nostra realtà interna, invece di fuggirla.

3. Apprendere a riconoscere i processi della nostra mente e a distinguerci da essi.


PSICO smile.gif

Inviato da: Lilium Cruentus il Giovedì, 13-Gen-2011, 01:22
QUOTE (miki_70 @ Martedì, 11-Gen-2011, 19:33)
PARTE III


RIPRENDERE IL CONTROLLO DELLA NOSTRA VITA



In questa parte ci occuperemo di mettere in pratica tutto quello che abbiamo appreso finora, in modo da rimetterci in gioco ed affrontare tutte le situazioni che finora abbiamo evitato.


Valori e obbiettivi


Abbiamo parlato di accettazione. Accettazione non significa rassegnazione.

Si tratta di due concetti completamente diversi.

Ciò che bisogna accettare è la nostra esperienza interiore. Cos' com'è, nel momento in cui è.
Ogni tentativo di respingere la nostra esperienza interiore è destinata al fallimento.

Non bisogna invece rassegnarsi a non vivere la nostra vita, cioè non bisogna rinunciare alla nostra vita, a ciò che è importante per noi.

Dunque, accettare i pensieri, le emozioni, le sensazioni è l'unica strada possibile per distogliere le nostre energie ed il nostro tempo dalla inutile (e dannosa) lotta contro noi stessi, e per dirigerli invece verso la nostra vita.

Tutto il lavoro fatto per lottare contro l'ansia ed altre emozioni sgradite può averci allontanato dalla nostra vita al punto di non sapere più cosa è importante per noi stessi.

Forse per lungo tempo abbiamo considerato che la cosa più importante fosse lottare contro l'ansia, ed ora è possibile che ritornare a progettare la nostra vita possa apparirci poco familiare o addirittura inconcepibile.

Sappiamo già che la mente è pronta a fare la seguente obiezione:" non ci si può occupare della propria vita in modo pieno se prima non si superano gli ostacoli. E l'ansia è un ostacolo."

Sappiamo, d'altra parte, che proprio la lotta contro l'ansia è il più grande ostacolo ad occuparti della tua vita.

Bene, ringraziamo la nostra mente per questa obiezione, e facciamo la nostra scelta.

Vogliamo dedicarci alla lotta contro l'ansia o alla nostra vita?

'Parole sante'. o.o

Inviato da: neva il Giovedì, 13-Gen-2011, 10:56
non riesco a starti dietro miki scrivi tantissimo e tutto molto interessante.
grazie

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 13-Gen-2011, 20:32
Le "ricadute", ovvero cadere, ricadere, rialzarsi e camminare


Il valore di questo programma dipende esclusivamente dalla sua concreta applicazione.

I concetti espressi non aiutano nessuno se non sono "sperimentati" nella propria vita, perchè rimarrebbero quelli che sono: altri contenuti del linguaggio.

L'esperienza diretta dei propri pensieri, delle proprie emozioni e delle sensazioni fisiche, l'impegno a dare una direzione alla propria vita in funzione dei propri valori ed obbiettivi, non si apprendono così come si apprende la matematica o l'astronomia. Non sono formule o concetti da "capire" una volta per tutte e dunque da considerare acquisiti.

Il lavoro personale suggerito da questo programma vive nel momento presente in cui si sperimenta.

Da questo punto di vista persino le "ricadute", che costituiscono uno dei maggiori spauracchi di chi ha superato un problema psicologico, non sono quelle che sembrano.

Ricadiamo ogni giorno. Ogni giorno gli automatismi del linguaggio ci presentano le loro regole.

I pensieri dell'ansia sono sempre gli stessi.

Siamo noi a cambiare il modo di rapportarci ad essi.

La capacità di accogliere gli eventi psicologici per quelli che sono è una modalità che esiste nel momento in cui ce ne ricordiamo.

Se non ce ne ricordiamo, ricadiamo nella trappola del linguaggio.

Ma così come ricadiamo, così possiamo ricordarci di tornare nel presente della nostra esperienza, viverla per quella che è, con le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue sensazioni.

Anche nel mezzo della più catastrofica delle "ricadute", possiamo scegliere se aderire acriticamente alle regole del linguaggio che dipingono la nostra esperienza come una "ricaduta" clinica, cioè un episodio clinicamente rilevante di nuova manifestazione della malattia.

Il punto ora non è di determinare se questo quadro sia vero o falso. Infatti, dal punto di vista medico è vero.

Dal punto di vista di ciò che possiamo fare noi, non è nè vero, nè falso: la "ricaduta" è solo una concettualizzazione dell'esperienza, non l'esperienza in se stessa.

E se ci facciamo catturare interamente da questa concettualizzazione, nel senso che ci allontaniamo dalla nostra esperienza diretta, possiamo essere interamente catturati da altri pensieri come: non ce l'ho fatta, sono ricaduto ancora una volta, devo imparare a controllarmi meglio, non ce la farò mai a superare definitivamente questo problema, sono un fallimento, etc.

Cosa fare allora?

Non si tratta di rifiutare questi pensieri. Non si tratta di cercare di non averli o di eliminarli dalla nostra coscienza. Non si tratta di mettersi a lottare contro se stessi.

Si tratta, piuttosto, di riconoscere ed accettare la presenza di questi pensieri e riconoscerli come pensieri, momento dopo momento. Riconoscere ed accettare le emozioni per quelle che sono, anche se si tratta di estremo sconforto. Tornare in contatto con il corpo, con le sensazioni, e con le nostre azioni, nel presente, momento dopo momento. E scegliere di impegnare la nostra vita nella direzione che noi vogliamo darle.

L'obiezione più frequente a questi suggerimenti è che una cosa è dire ed una cosa è fare. Che non può essere così semplice. Che non è così facile. Che se c'è una ricaduta, vuol dire che il problema non è stato superato. Che la tecnica non funziona e così via.

Dobbiamo ricordare, allora, che la strada suggerita in questo programma non è una "tecnica".

Nel senso che questo programma non è stato congegnato per riparare definitivamente dei guasti, o per eliminare il dolore dalla nostra vita.

Questo programma è un invito a riconoscere il nostro spazio di libertà.

Anche nella più grande sofferenza c'è la possibilità di effettuare delle scelte.

E ciò che scegliamo, in ogni momento della nostra vita, spetta a ciascuno di noi.

Le ricadute:

Avere una ricaduta non è una condanna, non è un segno di sconfitta, non è un fallimento.

Le ricadute possono derivare da momenti di stress durante i quali si riattivano vecchi automatismi.

Allo stesso modo in cui abbiamo appreso a sostituire gli automatismi con delle risposte costruttive, possiamo farlo ora!

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 13-Gen-2011, 20:39
CONCLUSIONI


Contrariamente a quanto suggerito dal titolo, non c'è una conclusione di questo programma.
Come non c'è una conclusione al tuo percorso. Il tuo percorso si determina giorno dopo giorno.
Ed ogni giorno hai da imparare qualcosa.

Questo è un programma che dura tutta la vita. Perchè ha a che fare con la tua libertà di scelta.

Scegli la tua libertà.


Finito è! happy.gif PSICO ciao.gif

Inviato da: neva il Venerdì, 14-Gen-2011, 10:17
GRAZIE PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 14-Gen-2011, 22:22
QUOTE (neva @ Venerdì, 14-Gen-2011, 09:17)
GRAZIE PSICO smile.gif

PREGO PSICO smile.gif

Inviato da: melfy il Venerdì, 14-Gen-2011, 23:52
QUOTE (miki_70 @ Domenica, 09-Gen-2011, 19:40)
Non ho lo scanner. Anche io l'ho comprato in Ebook, tra l'altro costa anche poco.
Melfy, se lo puoi passare, fallo, magari se qualcuno lo chiede......privatamente PSICO-si.gif

Certo Miki! Detto fatto PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 17-Gen-2011, 02:01

ACT

Il programma ACT è specificamente progettato per il trattamento del Disturbo di Panico.

L'ACT (Acceptance and Commitment Therapy) è considerata la terza generazione della terapia cognitivo comportamentale che, a sua volta, è ritenuta dalla comuntità scientifica e dalle organizzazioni internazionali della salute, uno degli approcci più studiati, affidabili, e efficaci per il trattamento di molti disturbi e problemi psicologici,
Negli ultimi quindici anni, infatti, sono stati compiuti degli importanti avanzamenti nella terapia standard dovuti soprattutto all'integrazione con un modello semantico (Relational Frame Theory) ed ai successi ottenuti con l'applicazione sistematica della mindfulness (un'antica pratica meditativa particolarmente studiata per i suoi effetti sulla salute).
L'insieme di questi elementi ha generato un approccio innovativo che conserva alcuni aspetti distintivi dell'approccio cognitivo comportamentale (l'empiria, il pragmatismo, l'analisi funzionale, etc.) ma che mostra anche delle differenze significative.
In breve, l'ACT si basa su alcuni concetti fondamentali:
1. La mente umana è capace di creare delle rappresentazioni del passato, del presente e del futuro del tutto arbitrarie in quanto non fondate sull'esperienza diretta. Se questa capacità è particolarmente utile per la creatività e lo sviluppo delle scienze e delle arti, a volte può diventare un problema in campo emozionale. Ad esempio, una persona può sviluppare un'intensa paura delle gallerie, anche se, in galleria, non le è mai accaduto nulla di negativo o traumatico. La potenza della mente si può manifestare nella creazione di vere e proprie "realtà virtuali" in cui sembra di percepire cose che sono una distorsione della realtà o persino non esistono affatto.
2. All'opposto, spesso prestiamo poca attenzione alla nostra esperienza sensoriale così come viene percepita nel momento presente. Indaffarati in cento cose, spesso mangiamo pensando ad altro, ci parliamo distrattamente, badiamo poco alle sfumature dei nostri sentimenti e di quelli degli altri, trascuriamo gli odori, i suoni, i colori che ci circondano. In questo modo trascuriamo la realtà profonda della nostra esperienza presente, dimenticando che è nel presente che viviamo.
3. Ne deriva che molti nostri comportamenti sono "automatici", cioè sono svolti in modo poco consapevole, mentre siamo immersi in un mondo interamente mentale.
Se la realtà virtuale in cui siamo immersi è gradevole, cerchiamo di immergerci in essa ancora di più, se invece è sgradevole cerchiamo di allontanarla. Proprio come se fosse la nostra vera realtà. Ma in questo modo poniamo solo le basi per l'amplificazione della sofferenza. Ad esempio, se la rappresentazione mentale di una persona è che si sentirà male e che nessuno la soccorrerà, il comportamento automatico consisterà nell'evitare tutte le situazioni in cui teme di sentirsi male. Ma l'evitamento è alla base della cronicizzazione del problema. Oppure, se una persona cerca di evitare a tutti i costi di pensare ad alcune cose che la spaventano, il risultato sarà di pensarci quasi continuamente.

Lo scopo della terapia consiste nell'invertire questi comportamenti riportando maggiore attenzione alla percezione sensoriale e ridimensionando l'ingenua tendenza a prendere alla lettera tutti i pensieri e le rappresentazioni catastrofiche. Ad esempio, una persona che non esce di casa perché teme di svenire, può rendersi conto che le sensazioni a cui attribuisce il significato di "svenimento", non sono altro che comunissime e innocue sensazioni fisiche che non hanno nessun significato patologico. Oppure, una persona che non si avventura in spazi aperti o in spazi chiusi perché crede di perdere il controllo, di sentirsi male, o di soffocare, può apprendere a prestare attenzione alle proprie sensazioni fisiche e a ridimensionare la rappresentazione catastrofica da cui è terrorizzata.

Un fenomeno molto frequente, detto circolo vizioso del panico, consiste nel fatto che se una persona teme di sentirsi male, naturalmente va in ansia. Ma l'ansia, a sua volta, determina alcune reazioni fisiche che vengono interpretate come la conferma che sta avvenendo qualcosa di terribile. A questo punto l'ansia naturalmente aumenta. Ciò viene interpreto come l'imminente catastrofe, con ulteriore aumento dell'ansia. In questo modo si passa da un lieve stato di tensione, al panico. L'ACT affronta questo circolo vizioso insegnando alle persone a riconoscere immediatamente la tendenza ad amplificare un sintomo con la propria attività mentale e dunque a portare l'attenzione al proprio presente, ad esempio al respiro, oppure a qualsiasi altra percezione sensoriale legata al qui ed ora. Ciò determina un immediato sgonfiarsi della bolla ansiosa. Sulla base di ripetute esperienze di questo tipo, le persone che soffrono di Disturbo di Panico apprendono rapidamente a sganciarsi da questo meccanismo mentale, proprio come se uscissero da un film, e a dedicare invece le proprie energie alle cose importanti per la propria vita.

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 17-Gen-2011, 20:31
Si riparte laugh.gif


Prendi un foglio e scrivi nella parte sinistra una lista di tutti i problemi che attualmente ti creano una difficoltà. Non annotare eventi puramenti esterni o puramente situazionali, indipendenti dalla tua reazione ad essi. Ci focalizerremo sulle tue reazioni. Alcuni dei tuoi problemi psicologici saranno chiaramente collegati a specifiche situazioni; altri no. Per esempio, "il mio capo" non è un buon esempio di una difficoltà di cui tu hai esperienza; ma "essere frustrato dal proprio capo" o "sentirsi schiacciato dal proprio capo", si. La parte sinistra del foglio può includere pensieri, sentimenti, ricordi, bisogni/desideri, sensazioni fisiche, abitudini o spinte all'azione che potrebbero causarti stress, da soli o in combinazione con eventi esterni. Non pensarci troppo. Scrivi semplicemente cosa ti turba e ti causa dolore. Sii onesto e scrupoloso e crea il tuo "inventario della sofferenza".
Dopo che hai completato la lista, torna indietro e pensa da quanto tempo queste tematiche sono un problema per te. Scrivi anche questo nella colonna di destra.

Una volta fatta la lista, organizzala in base all'impatto che queste problematiche hanno nella tua vita. Per prima cosa rileggi quanto hai scritto e classificato in base al'impatto. Poi, scrivi gli stessi item mettendoli in ordine. L'ordine deve andare da item che causano il maggior dolore e difficoltà a quelli che ne causano di meno. Conserva la llista per il proseguio del programma.

Fatto questo, ti preghiamo di collegare con delle frecce gli item che sono collegati con altri item.
Per esempio, supponi che uno dei tuoi item sia "autocritica" e un altro sia "depressione". Se pensi che i due siano collegati (cioe, più sei autocritico, più ti senti depresso o viceversa), collegali con una freccia. Forse ti accorgerai che questa area è piena di frecce. Va bene. Non c'è un modo giusto o sbagliato di farlo. Se ogni cosa è collegata è importante saperlo. Se qualche item è collegato con solo pochi altri, anche questa è un informazione utile. Più gli item della tua lista si trovano in alto e più sono collegati con altri, più divengono importanti. Questo potrebbe suggerire una riclassificazione dei problemi che ti porta a scoprire che ora vuoi mettere insieme qualche item o dividerli in unità più piccole. Se è così, puoi creare la tua lista finale classiicando gli item dal più alto al più basso in base all'impatto che hanno nella tua vita.

Questa è la tua lista personale della sofferenza. Non perderla.

PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 18-Gen-2011, 01:54
Se................................non fosse più un problema per me,
io vorrei...........................................................................

Se non avessi.....................................................................
io vorrei.............................................................................


Ora vorremmo che riempissi le righe che hai appena letto. Prendi un item dell'inventario della tua sofferenza, uno qualsiasi, ma è meglio iniziare da uno che si trova in alto nella tua lista e che sia connesso con altri item. Questo probabilmente è un problema che limita molto la tua vita. Vai avanti e compila le righe con il tuo problema ma non indicare ancora che cosa faresti nel caso in cui se ne fosse andato.
Ora pensa a cosa faresti se il dolore scomparisse immediatamente. Lo scopo di questo esercizio non è pensare cosa ti piacerebbe fare un particolare giorno se i tuoi problemi non ti tormentassero. Il punto è pensare più in generale a come il corso della tua vita potrebbe cambiare se la continua lotta contro il dolore emotivo non fosse più un problema. Non ti preoccupare se pensi di non essere ancora preparato a questo, ci lavoreremo su ancora molto PSICO-si.gif Usa la tua pancia, il tuo istinto. Da qualche parte dentro di te c'è un'idea delle cose che contano veramente per te. Concentrati su queste.
Ecco tre esempi per darti un'idea di ciò che intendiamo.

"Se la rabbia non fosse un problema per me, io vorrei avere più relazioni affettive."

"Se non avessi così tanto stress, io vorrei lavorare di più per la mia carriera e cercherei di trovare il lavoro che ho sempre desiderato."

"Se non fossi così ansioso, io vorrei viaggiare e partecipare più pienamente alla mia vita."


Ora torna indietro e riempi le righe bianche con quello che vorresti fare se il tuo dolore scomparisse. Sii onesto con te stesso e pensa a cosa vuoi realmente. Pensa a cosa ha valore per te. Pensa a cosa dà significato alla tua vita.



Adesso facciamolo di nuovo ma questa volta usando un'area diversa di sofferenza (sebbene certamente non farebbe male fare questo esercizio con ogni item del tuo inventario della sofferenza). Questa volta scegli un item che sembra riguardare un'area diversa della tua vita rispetto a quella scelta precedentemente (sebbene, dopo averci pensato bene, potresti scoprire che non è poi così diversa come sembra).


Se.............................................non fosse più un problema per me,
io vorrei.......................................................................................

Se non avessi,..............................................................................
io vorrei.......................................................................................



n.b. munitevi di un bel quaderno da utilizzare come diario PSICO-si.gif
Ovviamente in questo 3d non dovete scrivere lo svolgimento dei vostri esercizi.

Inviato da: neva il Martedì, 18-Gen-2011, 10:35
Porca miseria mi son sentita come uno studente impreparato: è ricominciata la lezione e io non me ne sono accorta.
Bene ora studio
Grazie

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 19-Gen-2011, 00:20
Il problema con il dolore: rivediamolo

Hai appena scoperto che tutti i tuoi problemi ti creano due fonti di dolore. Non solo è l'ansia o la depressione o la preoccupazione che creano il dolore (vedi il primo esercizio). Il tuo dolore di trattiene dal vivere il tipo di vita che vuoi condurre.
Ci sono attività in cui ti saresti impegnato se non fosse per il tuo dolore e per il ruolo che ha giocato nella tua vita.
Il problema che hai riportato nell'esercizio n.1 si riferisce al "dolore per presenza" (problemi che sono presenti e che prferisci se ne andassero).
L'ansia sociale potrebbe essere un esempio del dolore per presenza, così come il DP o il DOC, Depressione, etc.
L'ansia o la depressione che provi è reale e presente nel momento in cui la senti. Magari desideri che se ne vada. Nonostante tutto, persiste a dispetto del tuo immenso sforzo per sconfiggerla. Questo è il dolore per presenza.
Le attività che tu vorresti intraprendere, se il problema cambiasse, rappresentano un tipo diverso di dolore: sono chiamate "dolore per assenza".
Come ad esempio, consideriamo la persona che soffre di fobia sociale.
Forse questa persona dà veramente valore al fatto di relazionarsi con altre persone, ma la paura le impedisce di farlo in modo significativo. Il rapporto con gli altri, così desiderato, non c'è, questo è il "dolore per assenza".
Tu hai dolore sopra altro dolore , sofferenza sopra sofferenza. Non ti devi solo occupare dell'immediato dolore dato dai tuoi pensieri, sentimenti e disturbi fisici, ma anche dal dolore causato dal fatto che il tuo dolore ti impedisce di vivere il tipo di vita che vuoi vivere.
Ora, vedi se la frase seguente è vera per te: generalmente, più vivi la tua vita cercando di allontanare il dolore per presenza e più dolore ottieni, in particolare sotto forma di dolore per assenza.
Ricorda, utilizza onestà e apertura verso la tua esperienza. Anche se non sembra logico che possa essere così, guarda e vedi se non è così. Mentre ti stavi concentrando sul modo per sbarazzarti del dolore per presenza, hai provato ancora più dolore per assenza. Se questo è quello che è successo, è come se la tua vita ti si stringesse attorno, ti senti come in una specie di trappola. Se hai fatto esperienza di questo tipo di sensazioni, questi esercizi del programma riguardano come trovare una via d'uscita. C'è un'alternativa per vivere anche se sei stato preso in trappola.


PSICO smile.gif

n.b. Il testo da cui sono tratti questi esercizi di ACT è di Steven Hayes.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 19-Gen-2011, 01:28
Esercizio: metti in relazione una cosa qualunque con un'altra.

Sperimenta tu stesso con il seguente esercizio l'ipotesi che anche tu sviluppi continuamente e facilmente relazioni arbitrarie.


Scrivi un nome concreto (ogni tipo di oggetto o animale andranno bene)

.......................................................................................................


Ora scrivi un altro nome concreto

........................................................................................................


Ora rispondi a questa domanda:" In che modo il primo nome 'è come' il secondo?".

Quando hai una buona risposta procedi con quest'altra domanda:" In che modo il primo 'è meglio' del secondo?.

Quando hai una buona risposta vai avanti con questa domanda:" In che modo il primo 'è genitore' del secondo?".

Trovare una risposta a quest'ultima domanda potrebbe non essere semplice, ma insisti, verrà.
L'ultima domanda sembra difficile ma, se continui a pensarci trovi sicuramente una risposta. Nota che le buone risposte sembrano, in qualche modo, "reali" nel senso che la relazione che tu vedi sembra essere realmente negli oggetti, o giustificata dagli oggetti messi in relazione, e spesso non sembrano essere per nulla arbitrarie.


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 20-Gen-2011, 00:11
Questo esercizio dimostra che la mente può mettere in relazione qualunque cosa a qualunque altra in ogni modo possibile: in termini tecnici diciamo che le relazioni sono "arbitrariamente applicabili". Questo fatto rimane nascosto alla nostra vita perchè la mente giustifica queste relazioni con caratteristiche che astrae dai fatti messi in relazione. Come puoi vedere da questo semplice esercizio, questo può non essere totalmente vero.
Infatti non può essere che tutto possa essere davvero "genitore di" qualsiasi altra cosa. Nonostante questo, la nostra mente può sempre trovare una giustificazione per questa o altre relazioni.

L'abilità di derivare relazioni come queste ha probabilmente solo 75.000 - 100.000 anni e, nelle forme più elaborate, è ancora più giovane. Il linuaggio scritto segna una reale transizione nell'abilità di mettere in relazione gli eventi in questo modo e ha solo 5.000 o 10.000 anni, a seconda di quello che si considera un simbolo scritto. Paragonato agli animali, gli uomini sono creature gracili, lente. Non abbiamo la forza dei gorilla, i denti della tigre, la velocità dei ghepardi o il veleno dei serpenti. Nonostante ciò, negli ultimi 10.000 anni abbiamo conquistato il pianeta. Perchè è successo? Noi pensiamo che la risposta sia nei frame relazionali.


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 20-Gen-2011, 01:33
Esercizio: Una vite, uno spazzolino e un accendino


Considera questo semplice problema e guarda attentamente cosa fa la tua mente.
Immagina di voler estrarre una vite conficcata in un pezzo di legno. Per farlo puoi usare un normale spazzolino da denti e un accendino. Che cosa farai? Pensaci un momento e scrivi i tuoi pensieri, anche se sono frammentar:

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Se ancora non ti è venuto niente in mente, ricorda che lo spazzolino è di plastica (presta attenzione a ciò che sta facendo la tua mente in questo preciso istante e scrivi i tuoi pensieri anche se frammentari):

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Se ancora non ti viene niente in mente ricorda che la plastica è fatta dal petrolio. Ora scrivi qualunque pensiero anche se frammentario:

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Se ancora non ti è venuto in mente niente che possa funzionare, ricorda che la plastica può sciogliersi (osserva attentamente cosa fa la tua mente in questo momento e scrivilo anche se frammentario):

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Se ancora non ti è venuto in mente niente, ricorda che quando si scioglie la plastica è malleabile. Ora scrivi ogni pensiero che questo fatto ti evoca:

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Se ancora non ti viene in mente niente, ricorda che la plastica malleabile può essere plasmata in una forma (osserva attentamente cosa fa la tua mente in questo momento):

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Se ancora non ti viene in mente niente, ricorda che la plastica sciolta si solidifica quando si raffredda. Scrivi le tue idee per rimuovere la vite utilizzando solo uno spazzolino e un accendino.

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Inviato da: neva il Giovedì, 20-Gen-2011, 12:08
subito alla prima domanda ho risposto con l'accendino sciolgo la plastica dello spazzolino prendo il calco della vita do allo spazzolino la forma di un cacciavite con il calco aspetto che si raffreddi e lo uso come cacciavite per svitare la vite

va bene o è da malati di mente

non mi è stata chiara la parte del petrolio però non mi sono mossa dalla mia prima idea

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 21-Gen-2011, 00:42
Come abilità utili possono farti soffrire


Probabilmente, a questo punto dovresti essere in grado di rimuovere la vite, se non è avvitata in modo troppo stretto e se la plastica tiene (probabilmente la plastica è stata sciolta scaldando con l'accendino la parte inferiore dello spazzolino e inserendolo nella vite mentre era ancora malleabile, aspettando poi che la plastica si raffreddasse). Ora riguarda cosa hai pensato e scritto.
Nota se i tuoi pensieri avevano queste caratteristiche: hai denominato gli oggetti e notato le loro proprietà: hai descritto relazioni temporali (orientate nel tempo) e contingenti (se facessi questo, allora....), e hai valutato o confrontato i risultati anticipati. Guarda se questo è vero che qualche volta "raffiguri" le tue idee, cioè hai visto lo spazzolino da denti o hai immaginato di scioglierne la parte finale del manico.
Facendo questo esercizio hai appena dimostrato tu stesso la principale ragione per la quale gli umani, nel bene e nel male, sono diventati la specie dominante nel pianeta. Le seguenti relazioni sono necessarie per ogni problem solving verbale:

- eventi e loro proprietà;

- tempo e /o contingenze;

- valutazioni.

Con questi tre insiemi di semplici relazioni verbali noi possiamo pensare al futuro, fare piani, valutare.
Sfortunatamente, con solo questi tre insiemi (senza contare tutte le altre relazioni che il linguaggio contiene) riusciamo anche a causare stress mentale. Avendo nomi per gli eventi e per le loro proprietà riusciamo molto meglio a ricordarli e pensarli. Puoi per esempio ricordare e descrivere un trauma passato e, come risultato, iniziare a singhiozzare. Puoi avere paura dei coltelli perchè sai che possono tagliare e ferirti (anche se non l'hai mai visto accadere o non ti è mai accaduto).
Con un se....allora, o una relazione temporale, tu puoi predire eventi spiacevoli che forse non accadranno, puoi avere paura che il dolore o la depressione torneranno in futuro, o puoi sapere che morirai e preoccuparti per questo futuro immaginato. Come risultato di queste ralazioni temporali simboliche, la maggior parte delle persone tende a vivere più nel passato ricordando verbalmente e nel futuro immaginato verbalmente che nel momento presente.
Con le relazioni comparative e valutative possiamo confrontare noi stessi con un ideale e trovarci inadeguati anche se realmente ce la caviamo abbastanza bene. Possiamo pensare di essere molto peggiori degli altri o (forse altrettanto dannosamente) molto migliori degli altri. possiamo essere spaventati dalle valutazioni negative degli altri, anche se non abbiamo mai avuto esperienza personale diretta, e come risultato diventare socialmente inibiti.
Questi processi sono abbastanza primitivi. Immagina e considera come è un bambino di sei anni e poi leggi questa triste cronaca:















Dania, Fla, 16 giugno (AP)- Una bambina di sei anni è rimasta uccisa oggi buttandosi sotto un treno (dopo) aver detto ai fratelli che "voleva stare con sua madre". Le autorità hanno detto che la madre aveva una malattia terminale (New York Times,1993).


Il suicidio è sconosciuto tra i bambini di due anni, ma solo pochi anni dopo, quando diventiamo capaci di pensare al futuro e di valutare quello che immaginiamo, abbiamo gli strumenti per immaginare che staremmo meglio da morti. Se una bambina di sei anni può buttarsi sotto a un treno per stare con la sua mamma in paradiso, una persona complessa, quale sei tu, ha tutti gli strumenti cognitivi necessari per essere tormantata.
Questo è il punto: gli umani soffrono, in parte, perchè sono creature verbali. Se è così, allora il problema sta qui: le abilità verbali che creano disagio sono troppo utili e centrali per il funzionamento umano per smettere di produrre. Questo significa che la sofferenza è una parte inevitabile della condizione umana, almeno finchè non sappiamo come gestire meglio le abilità che il linguaggio stesso ci ha dato.


Inviato da: miki_70 il Venerdì, 21-Gen-2011, 01:46
Perchè il linguaggio crea sofferenza


Nelle normali situazioni di Problem Solving, quando c'è qualcosa che non ci piace pensiamo come sbarazzarcene e agiamo per farlo. Se non ci piace lo sporco sul pavimento utilizziamo l'aspirapolvere, se non ci piace il rubinetto che perde acqua, lo aggiustiamo. L'approccio umano alla risoluzione dei problemi può essere definito come " se non ti piace qualcosa, pensa a come sbarazzartene, e poi sbarazzatene". Questo è esattamente il motivo per cui i processi linguistici e cognitivi che abbiamo appena descritto sono utili. ma se noi applichiamo questa strategia alla nostra personale sofferenza interiore, spesso fallisce e riceviamo il contraccolpo.

Sopprimere i tuoi pensieri

Immagina di avere un pensiero che non ti piace. Applicherai a questo pensiero le tue strategie di problem solving verbale: per esempio, quando si presenta un pensiero cerchi di fermarlo. C'è una vasta letteratura su ciò che probabilmente succederà. Lo psicologo di Harvad, Dan Wegner (1994) ha dimostrato che la frequenza del pensiero al quale tu cerchi di non pensare diminuisce per un breve momento, ma presto si ripresenterà più frequentemente di prima: quel pensiero diventa persino più centrale ed è anche più probabile che evochi una risposta. La soppressione del pensiero peggiora solamente la situazione.


Esercizio:


Proviamo insieme un esperimento e vediamo se sopprimere un pensiero può funzionare.

1. Immagina una palla da tennis rossa, visualizzala chiaramente. Quante volte negli ultimi giorni hai pensato a una palla rossa? Scrivi qui la risposta:

..................................................................................................


2. Ora prendi l'orologio e passa qualche minuto (cinque sarebbero l'ideale) cercando di non pensare una sola volta alla palla da tennis rossa. Provaci molto seriamente.Ritorna a questa pagina quando hai finito.

3. Scrivi quante volte hai avuto un pensiero di una palla da tennis rossa, anche di sfuggita, mentre cercavi di non pensarci.

...................................................................................................

4. Ora prendi l'orologio e passa qualche minuto (cinque sarebbero l'ideale) lasciando che qualunque pensiero ti venga in mente. Ritorna a questo punto quando hai finito.

5. Scrivi quante volte hai pensato a una palla da tennis rossa, anche di sfuggita, mentre eri libero di pensare a qualsiasi cosa.

..................................................................................................



Se sei come la maggior parte delle persone, il numero delle volte in cui hai pensato ad una palla da tennis rossa è aumentato nel tempo. Forse sei riuscito a tenere il pensiero lontano dalla tua mente mentre lo sopprimevi direttamente, ma a volte neanche questo funziona e il numero di volte che questo pensiero si presenta aumenta fortemente. Anche se sei riuscito a sopprimere quel pensiero per un breve periodo di tempo, a un certo punto non sarai più in grado di farlo. Quando ciò accade, la frequenza di quel pensiero tende ad aumentare drammaticamente. Questo non succede solamente perchè ti abbiamo ricordato una palla da tennis rossa. In disegni di ricerca controllati quando ai partecipanti viene detto della palla ma non gli si chiede di sopprimere il pensiero, il numero dei pensieri non aumenta.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 21-Gen-2011, 01:51
QUOTE (neva @ Giovedì, 20-Gen-2011, 11:08)
subito alla prima domanda ho risposto con l'accendino sciolgo la plastica dello spazzolino prendo il calco della vita do allo spazzolino la forma di un cacciavite con il calco aspetto che si raffreddi e lo uso come cacciavite per svitare la vite

va bene o è da malati di mente

non mi è stata chiara la parte del petrolio però non mi sono mossa dalla mia prima idea

Bravissima laugh.gif
Io son dovuto arrivare alla fine per capire come fare. La prima cosa che ho pensato è di dar fuoco al legno e liberare la vite blink.gif
Comunque, Neva, l'esercizio serve a far capire come lavora la mente, le relazioni che attua, le visualizzazioni, le immagini che mette in campo.
Grazie Neva PSICO hug.gif

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 21-Gen-2011, 13:06
Quando cerchi di non pensare a qualcosa, lo fai creando questa regola verbale:"Non pensare a x". Questa regola contiene x, e così tenderà a evocare x. Così, quando sopprimiamo i nostri pensieri, non solo dobbiamo pensare a qualcosa di diverso, ma dobbiamo anche trattenerci dal pensare il motivo per il quale stiamo facendo questo. Se controlliamo se i nostri sforzi stanno funzionando, ci ricorderemo ciò che stiamo cercando di non pensare e penseremo a quello. Così il pensiero preoccupante tende a crescere.
Se hai preoccupazioni o pensieri ossessivi questo schema ti è probabilmente familiare. Le ricerche hanno dimostrato che la maggior parte delle persone senza ossessioni ha pensieri intrusivi di tanto in tanto, così come li hanno le persone con ossessioni (Purdon e Clark, 1993). Qual'è la differenza? In parte, la risposta a questa domanda è che le persone che hanno problemi di pensiero ossessivo impiegano molti più sforzi nel cercare di non pensare a questi pensieri (Marcks e Woods, 2005). Se alle persone normali viene chiesto di non pensare certi pensieri, anche loro iniziano a sentirsi più stressati riguardo ai propri pensieri negativi (Marcks e Woods, 2005).
Ora proviamo ancora a fare questo esercizio utilizzando uno dei pensieri che contribuiscono alla tua sofferenza.

Esercizio:Non pensare ai tuoi pensieri

I problemi psicologici di ogni tipo si invischiano con i nostri pensieri e come risultato, se stai lottando psicologicamente, probabilmente i tuoi pensieri ricorrenti ti causano dolore.
Per esempio, se sei depresso magari hai il pensiero "non valgo nulla, nessuno mi ama" o anche solo "quando se ne andrà questa depressione?". Se soffri di un disturbo da ansia generalizzata forse hai il pensiero "vigilare, è l'unico modo per essere sicuro".
Adesso, cerca di isolare un singolo pensiero che contribuisce alla tua sofferenza attuale. Puoi usare gli esempi fatti come modelli nell'inventario della tua sofferenza. Se riesci, scomponi i tuoi pensieri fino a che non sono sotto forma di singole frasi. Quando hai in mente questa frase, completa l'esercizio.

1. Scrivi un pensiero che contribuisce alla tua sofferenza nello spazio sottostante:

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2. Quante volte hai avuto questo pensiero nell'ultima settimana? (se non sai con precisione quante volte, fai pure un'approssimazione):

.....................................................................................................................

3. Adesso prendi il tuo orologio e prova più intensamente che puoi a non pensare quel pensiero per i prossimi minuti (cinque minuti sarebbero l'ideale). Ritorna a questa pagina quando hai finito.

4. Scrivi quante volte hai avuto il tuo pensiero, anche di sfuggita, mentre cercavi di non pensarlo:

......................................................................................................................


5. Adesso prenditi ancora cinque minuti e lasciati libero di pensare a tutto quello che vuoi. Ritorna a questo punto quando hai finito.

6. Quante volte hai pensato a quel pensiero mentre eri libero di pensare a tutto quello che volevi?
Scrivi la tua risposta qui:

........................................................................................................................

Inviato da: miki_70 il Sabato, 22-Gen-2011, 01:32
Quando hai cercato di sopprimere il tuo pensiero, qual è stata la tua esperienza? E' diventato meno pesante, meno centrale e meno evocativo? O è diventato più invischiante, e persino più importante e più frequente? Se la tua esperienza è più simile alla seconda descrizione che alla prima, questo esercizio ha messo in luce un punto importante: cioè, che può essere inutile e altamente improduttivo cercare di sbarazzarsi dei pensieri che non ti piacciono. Nelle ricerche controllate questo non funziona sempre nel modo descritto per i pensieri arbitrari come quelli della palla da tennis rossa. Probabilmente perchè i pensieri negativi personalmente rilevanti sono spesso già l'obiettivo della soppressione cronica e questi pensieri hanno già una frequenza elevata.

Lo stesso processo vale anche per le emozioni. Se cerchi di non sentire una sensazione spiacevole, come il dolore, non solo tenderai a sentirlo più intensamente, ma eventi precedentemente neutri diventeranno anch'essi irritanti (Cioffi e Holloway, 1993). Ogni genitore lo sa. Se i bambini fanno troppo rumore e tu cerchi di ignorarlo, il rumore diventerà semplicemente sempre più irritante e può bastare una piccolissima seccatura per farti esplodere.
Le emozioni si collegano ai pensieri nello stesso modo. Le ricerche hanno mostrato che quando si sopprimono i pensieri in presenza di un'emozione, l'emozione può evocare quel pensiero, e le strategie di soppressione evocano entrambi: sia l pensiero che l'emozione (Wenzlaff e Wegner, 2000).
Per esempio, supponi di sentirti triste e di cercare di non pensare a una recente perdita, come la morte di un amico. Forse ascolterai la tua musica preferita per cercare di tenere la tua mente lontana dal pensiero dell'amico che non è più nella tua vita. Quale sarà il risultato? Probabilmente, quando ti senti triste, penserai più frequentemente alla tua perdita e la tua musica preferita tenderà a rattristarti e a ricordarti il tuo amico deceduto. In un certo senso tu avrai amplificato il tuo dolore nel tentativo di evitare di sentirlo.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 22-Gen-2011, 02:10
Esercizio: il foglio di lavoro delle strategie di fronteggiamento


Continuando sul tuo quadernetto degli esercizi. Vai su una bella pagina pulita.
Dividila in quattro colonne. Nella prima colonna, a sinistra, scrivi un tuo pensiero o un'emozione dolorosa (può essere presa dall'Inventario della Sofferenza che hai creato, se lo desideri. Può essere anche qualcosa di completamente diverso se tu hai un pensiero più pressante o un'emozione sulla quale vuoi focalizzarti in questo preciso momento).

Nella seconda colonna, scrivi una strategia che hai usato per far fronte a questo pensiero o emozione dolorosa, poi classifica le tue strategie in base a due tipi di risultati. Per prima cosa chiediti quanto è stata efficace la strategia nel breve termine, cioè quanto sollievo immediato hai ottenuto da quel comportamento, secondariamente chiediti quanto è stata efficace la tua strategia a lungo termine.

Pensa a quanto del tuo dolore complessivo è causato dal tuo pensiero o dalle emozioni dolorose. Il tuo comportamento ha ridotto il tuo dolore nel tempo? Classifica ogni strategia a breve e lungo termine su una scala da 1 a 5 dove 1 è completamente inefficace e 5 molto efficace. Per ora nota semplicemente la tua classificazione. La valutazione scrivila nella terza ( a breve termine) e nella quarta ( a lungo termine) colonna.

Per esempio, supponi che qualcuno scriva un pensiero come questo :" non sono sicuro che la vita sia degna di essere vissuta", nella colonna dei "Pensieri o emozioni dolorose" (prima colonna a sinistra).
Le strategie di fronteggiamento che le persone usano potrebbero essere bere una birra, guardare lo sport in TV e cercare di non pensarci. Mentre si guarda la TV l'efficacia della strategia a breve termine potrebbe essere 4, ma più tardi i tuoi pensieri potrebbero tornare più forte che mai e l'efficacia a lungo termine potrebbe essere classificata come 1.



Se compilando la scheda noti che non sei sicuro di ciò che hai fatto per fronteggiare i pensiri e le emozioni dolorose, è meglio raccogliere prima queste informazioni sotto forma di diario. Quando provi qualcosa di psicologicamente doloroso, nota la situazione ( che cosa è accaduto che ha evocato un'esperienza interiore difficile), quali erano le tue specifiche reazioni interiori (pensieri particolari, emozioni, ricordi o sensazioni fisiche) e le strategie specifiche che quindi hai usato (per esempio distrarti, tentare di darti spiegazioni per allontanarti dalla tua reazione abbandonare la situazione). Dopo aver compilato il diario per una settimana, dovresti riuscire a comprendere meglio quali strategie usi e quanto sono efficaci.

Con il programma ci si vede tra una settimana....più o meno.
Per dubbi, perplessità, rebus e parole sfrasciate, scrivete pure.


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 24-Gen-2011, 20:37
La vasca dello squalo e la macchina della verità


Supponi di essere seduto sopra di una vasca piena di squali e che ti abbiano collegato alla migliore macchina della verità che esista al mondo.
Hai un compito molto semplice: non provare per nulla ansia. Se la proverai ( e la macchina saprà dirci la verità), il sedile su cui sei seduto si ribalterà e finirai nella vasca.
Che cosa pensi che accadrà? E' molto probabile che tu provi ansia. Questo è esattamente ciò che avviene durante un attacco di panico: inizialmente senti una fitta acuta di ansia, poi ti immagini gli orrori che possono avvenire, reagisci e in pochi secondi...................splash!
Sei nella vasca degli squali.









Il linguaggio crea sofferenza in parte perchè porta all'evitamente esperenziale. L'evitamento esperenziale è un processo: il tentativo di evitare le nostre stesse esperienze (pensieri, emozioni, ricordi, sensazioni fisiche, predisposizioni all'azione), anche quando ciò causa difficoltà comportamentali a lungo termine (come non andare ad una festa perchè soffri di fobia sociale o non fare attività fisica perchè ti senti troppo depresso per uscire dal letto). Di tutti i processi psicologici conosciuti dalla scienza, l'evitamento esperenziale è uno dei peggiori (Hayes, Masuda et al., 2004).
L'evitamento esperenziale tende ad amplificare artificialmente il "dolore per presenza" ed è, da solo, la fonte di maggiore di "dolore per assenza", poichè è innanzitutto l'evitamento che mina le azioni positive. Sfortunatamente questa strategia è incorporata nel linguaggio umano per due ragioni: il linguaggio sceglie naturalmente come obbiettivo le nostre reazioni, non solo le nostre situazioni e rende impossibile controllare il dolore controllando le situazioni, poichè qualunque situazione può essere arbitrariamente messa in relazione al dolore, e perciò può evocarlo.
Per gli eventi esterni a noi, fuori dal nostro corpo, la regola può effettivamente essere:"Se non ti piace, pensa a come sbarazzartene, e sbarazzatene".
Per i nostri eventi interni, la regola sembra essere molto diversa. E' più come:"Se non lo vuoi, lo avrai". Cocretamente, ciò significa che se, per esempio, non sei disponibile a provare ansia come emozione, proverai molta più ansia e più a lungo, e inizierai a vivere una vita più limitata e più ristretta.

Adesso, prendi e rileggi il tuo Foglio di lavoro delle strategie di fronteggiamento. Come accade a quai tutte le persone, è possibile che la maggior parte delle tue strategie sia focalizzata sui tuoi processi interni. Solitamente, queste strategie aiutano a regolare un poco i propri processi interni nel breve periodo ma, nel lungo periodo, spesso falliscono o addirittura peggiorano le cose.

Ora, considera la possibilità che le cose vadano in questo modo perchè ogni strategia che hai sviluppato, è un modo per evitare le tue esperienze.
Hai sviluppato specifici modi con cui cerchi di smettere di sentire la sensazione che stai provando o di pensare i pensieri che stai pensando.
Cerchi di evitare l'esperienza di pensieri o sentimenti dolorosi, immergendoti in attività distrenti, combattendo i pensieri con la razionalizzazione, o cercando di respingere i sentimenti attraverso l'uso di sostanze. Se tu stai soffrendo, probabilmente trascorri molto tempo utilizzando queste tecniche di distrazione: nel frattempo non vivi la tua vita.

Inviato da: mars28 il Martedì, 25-Gen-2011, 18:33
è della ecomind..ce l'ho!

la domanda è..ma funziona?

cioè io ci credo..soprattutto nella mindfulness e affini..ma a volte sembra tutto molto inutile..non so..sarà anche un mio momento..ora lo riprendero in mano comunque..


Inviato da: miki_70 il Martedì, 25-Gen-2011, 22:10
QUOTE (mars28 @ Martedì, 25-Gen-2011, 17:33)
è della ecomind..ce l'ho!

la domanda è..ma funziona?

cioè io ci credo..soprattutto nella mindfulness e affini..ma a volte sembra tutto molto inutile..non so..sarà anche un mio momento..ora lo riprendero in mano comunque..

Funziona Mars PSICO-si.gif
La questione è, quanto siamo disposti a guardare in faccia le nostre paure?

Inviato da: miki_70 il Martedì, 25-Gen-2011, 22:36
Classifiche per il Foglio di lavoro sulle strategie di fronteggiamento


Guardando il tuo Foglio di Lavoro, avrai notato che il punteggio nella colonna "Efficacia a Breve Termine" è relativamente alto, mentre quello nella colonna "Efficacia a Lungo Termine" è relativamente basso. Questo è una trappola pericolosa poichè gli effetti a breve termine sono molto più rinforzanti degli effetti a lungo termine e queste strategie di problem solving funzionano, nella maggior parte delle aree di vita, per un breve periodo. Le tecniche di fronteggiamento che hai sviluppato per combattere la tua rabbia, l'ansia o la depressione, probabilmente determinano la scomparsa di queste emozioni per un breve momento, altrimenti non ne faresti uso. Ma quanto è potente l'effetto a lungo termine? Quanto le tue strategie cambiano realmente la tua condizione nel temp?.
Mantieni comportamenti che si sono profondamente radicati nella tua vita quotidiana, a causa della loro efficacia nel breve termine, ma che sono molto carenti per un sollievo a lungo termine.
Gli esseri umani hanno un nucleo di dolore poichè la vita, per sua natura, contiene difficoltà come malattie, bisogni e perdite, ma il linguaggio ci porta ad amplificare queste difficoltà in schemi sempre più ampi di sofferenza umana.
Immaginate un nucleo. Diamo nome a quel nucleo: Dolore Naturale.
Da quel nucleo partono anelli come quando si getta in acqua un sasso, creando più dolore e più evitamento. Più evitamento, più dolore. Noi allarghiamo il nucleo di dolore, costruendo i nostri schemi di invischiamento cognitivo e di evitamento.
Più tentiamo di fuggire da un pensiero doloroso, da un'emozione o da una sensazione fisica, più questi diventano ancora più importanti e tendono a presentarsi più frequentemente e più intensamente.
Dato che fuggire significa prendere alla lettera i propri pensieri spaventosi, questi diventano ancora più credibili e invischianti. Come risultato, il "dolore per presenza" cresce. Nel frattempo, mentre lottiamo con i nostri processi interni, la nostra vita viene messa in attesa, e anche il "dolore per assenza" cresce. La macchia nera, il nucleo, diventa sempre più grande.

Inviato da: miki_70 il Martedì, 25-Gen-2011, 23:31
Il treno mentale

Sfortunatamente, questi processi non sono facili da controllare perchè sono strettamente legati al normale uso del linguaggio. Le persone tendono a "vivere nella propria mente", ovvero si rapportano con il mondo sulla base di questi processi verbali. Vivere nella propria mente può assomigliare a viaggiare su un treno. Il treno ha i propri binari e và dove i binari lo portano. Questo va bene quando i binari vanno nella direzione in cui tu vuoi andare. Se la vita che tu vuoi vivere è "fuori dai binari", allora hai solo un opzione: devi imparare come scendere dal treno....almeno qualche volta.
Viaggiare sul tuo treno mentale è diventato un processo automatico. Credi ai pensieri che la tua mente ti presenta. La prima volta che prendi il treno lo fai in modo naturale: hai imparato a parlare, a ragionare e a risolvere problemi. Ora il treno mentale diventa una presenza permanente nella tua vita, non c'è nessun modo per smettere di pensare e di generare pensieri, il treno mentale continuerà a viaggiare, in parte perchè il linguaggio è estremamente utile in numerose aree ma, proprio perchè il treno continua sempre a viaggiare, non significa che tu debba starci sopra in ogni momento.
Su un treno reale, puoi viaggiare finchè segui le regole. Nel viaggio, giochi una parte attiva, devi collaborare e seguire le regole mostrando il biglietto quando ti è richiesto, sedendoti nel posto assegnato, rimanendo seduto, non scatenando il finimondo se sbagli fermata o se scopri che il treno ti sta portando in una direzione in cui non volevi andare.
Le regole e le condizioni che le nostre menti stabiliscono per noi sono semplici ma potenti: agiscono sulla base di credenze positive o negative. Ti dicono che devi reagire alla tua mente o essere d'accordo o in disaccordo con essa: sfortunatamente, entrambe le reazioni sono basate sul fatto di prendere i propri pensieri alla lettera. Piuttosto che vedere i tuoi pensieri semplicemente come il processo di "mettere in relazione" le cose, la reazione ai tuoi pensieri avviene in base a ciò a cui essi sono relazionati. Essi sono "di fatto" giusti o sbagliati.
Quando prendi i tuoi pensieri in modo letterale stai "viaggiando sul treno mentale", vale a dire che stai rispondendo ai pensieri che la tua mente ti presenta come se fossero i fatti reali ai quali essi si riferiscono. Essere d'accordo o in disaccordo fa sempre parte delle regole, così nessuna delle due risposte ti permette di scendere dal treno. Tuttavia, se rompi le regole ti ritroverai giù dal treno mentale e non ti piacerebbe scendere, di tanto in tanto?
Per sapere com'è realmente un'esperienza, devi farne esperienza direttamente, non basta pensarla. Per provare com'è scendere dal treno della mente, devi farlo, lo puoi fare rompendo alcune delle regole e delle condizioni che la tua mente stabilisce per te. E come salti giù da quel treno? Questo è esattamente ciò di cui parleremo. A questo punto, tutto quello che possiamo dire è che, una volta che tu sei sceso dal treno, con i piedi per terra, allora vedrai se sei in una posizione migliore per scegliere una direzione e per vivere in accordo con i tuoi valori, piuttosto che rimanere semplicemente sui binari del tuo condizionamento verbale.
Ci vorrà un pò di tempo per imparare a farlo. ma questa è la direzione nella quale siamo diretti.

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Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 26-Gen-2011, 19:52
Nella situazione in cui sei ora potresti sentirti come nel bel mezzo di un tiro alla fune con un grande, orrendo mostro (sia che tu abbia a che fare con depressione, ansia, dolore fisico, tristi ricordi, o altre situazioni negative). Ti sembra di non poter vincere. Più forte tiri, più forte il mostro tira indietro. A volte senti come se ci fosse tra te e il mostro uno strapiombo senza fondo, nel quale, se perdi, sarai trascinato e annientato completamente. Così tu tiri e tiri, tenti sempre più duramente, cerchi diversi modi di tirare, modi migliori, modi più forti. Tenti di fare più leva puntando i piedi o di potenziare i tuoi muscoli. Continui a sperare che qualcosa funzionerà. Ora, immagina, tuttavia, di dover fare un lavoro completamente diverso. Forse il tuo lavoro non è quello di vincere questo tiro alla fune, forse il tuo lavoro è di trovare un modo per lasciar andare la fune.

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Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 26-Gen-2011, 20:44
Perchè facciamo ciò che non può funzionare


Quando le persone infelici guardano realmente al proprio comportamento, di solito si rendono conto che l'evitamento dell'esperienza non sta funzionando. Pensa a ciò che hai scoperto completando l'esercizio sulle strategie di fronteggiamento. Arrivati qui, dovrebbe esserti chiaro che i comportamenti che hai sviluppato per evitare il dolore non sono stati particolarmente efficaci a lungo termine. Se avessero funzionato non saresti qui ora. Il problema è che è maledettamente difficile rendersi conto che i comportamenti di evitamento esperenziale non possono essere efficaci. Almeno per questi cinque motivi.

1. Il controllo funziona così bene in altre aree della tua vita ( nel mondo esterno al tuo corpo) che pensi che posa funzionare anche per i tuoi pensieri e sensazioni.

Questo punto è facile da comprendere. Per esempio, nello spazio sottostante fai una lista di alcune situazioni in cui il controllo attraverso un problem solving consapevole ha funzionato per te nel mondo esterno:

.....................................................................................................

Probabilmente sei stato in grado di trovare esempi relativamente indiscutibili di occasioni in cui esercitare il controllo sugli eventi del mondo esterno per te ha funzionato.

2. Ti hanno insegnato che devi essere capace di controllare i tuoi pensieri ed emozioni. Per esempio, da piccolo, qualcuno ha detto:"Smettila di piangere, o ti do io qualcosa per cui piangere!", oppure "I bambini grandi non piangono!", o "Non aver paura, solo le donniciole si spaventano".

Ora, pensa a te quando eri piccolo e cerca di ricordare che frase ti è stata detta che ti suggerisca che devi essere in grado di controllare i tuoi pensieri o emozioni. Se te ne ricordi qualcuna, scrivila qui:

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3. Quando eri piccolo, le persone che chiamavi "adulti" sembravano capaci di controllare i loro pensieri e le loro emozioni. Per esempio, ti sarà capitato spesso di sentirti spaventato, mentre tuo padre ti sembrava non esserlo mai, oppure avrai pianto tante volte, al contrario degli adulti attorno a te che rarissimamente lo facevano. Questi fatti, insieme ai messaggi del punto 2, hanno fatto si che tu interiorizzassi questo messaggio:"Devi essere capace di controllare con successo le tue emozioni paurose o tristi perchè gli altri riescono ad attuare con successo questo tipo di controllo". Questo non significa che tu abbia realmente imparato a controllare le tue emozioni, ma potrebbe significare che hai imparato a stare zitto riguardo a come realmente ti senti in modo che gli altri non siano disturbati dalle tue emozioni.

Se la tua esperienza assomiglia a questa desrcizione, nello spazio sottostante cerca di elencare esempi di come le altre persone ti sono sembrate più fiduciose, più calme, più felici, e più capaci di controllare i propri stati emozionali interni rispetto a quanto potessi fare tu.

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Più avanti nella vita, impariamo che l'idea che gli altri "adulti" possano controllare le loro emozioni è un illusione. Per esempio, quando cresciamo capiamo che il papà non era poi così "calmo". Magari aveva avuto un problema con l'alcool di cui da piccolo non ti rendevi conto o prendeva tranquillanti per fronteggiare la vita. O, da adulto, hai imparato che i ragazzi che a scuola sembravano esterirmente così "tutti d'un pezzo" stavano lottando dentro di sè allo stesso modo in cui lo facevi tu.
Pra, vedi se riesci a ricordare quando hai realizzato per la prima volta che le persone che sembravano così "tutte d'un pezzo" quando eri un ragazzo in realtà stavano lottando. Elenca qui quelle occasioni:

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4. Mentre crescevi, hai ricevuto un flusso costante di messaggi più o meno espliciti sul fatto che una buona salute e tanta felicità dipendono dall'assenza di esperienze private difficili. Per esempio, pensa a tutte le pubblicità che hai visto su prodotti come birra, sigarette, vacanze, automobili, abiti alla moda e così via. Non è forse vero che molte di queste pubblicità veicolano questo messaggio:"La felicità equivale all'assenza assoluta di pensieri ed emozioni dolorose e se compri questo prodotto ti sentirai meglio e sarai un pò più vicino alla felità" ?

Vedi se riesci a ricordare alcuni messagi dei media di questo tipo e scrivi il messaggio o la pubblicità. Poi rispondi a questa domanda: quale pensi che sia l'implicito messaggio di evitamento esperenziale?

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5. A volte sembra che controllare i nostri pensieri e le nostre emozioni funzioni a breve termine. Per esempio, se hai il pensiero ricorrente di essere una persona che non vale nulla, per compensare questo pensiero, cominci ad essere uno stakanovista sul lavoro. Questo sembrerebbe risolvere il problema di pensare di non valere nulla, ma generalmete lavorare così tanto spinge solo questa emozione più in giù. Se hai delle emozioni spiacevoli e le copri deliberatamente, qualsiasi cosa tu faccia per attenuare il tuo malessere ti ricorda che "Giù in profondità c'è qualcosa di sbagliato in me".
Se hai provato a usare i tuoi risultati, la tua realizzazione per coprire i tuoi sentimenti difficili, probabilmente sai cosa accade quando ti comporti come uno stakanovista. Quando vieni lodato per i tuoi risultati, ti senti come se stessi prendendo in giro gli altri, in quanto sai bene in realtà, che cosa è accaduto dietro la tua calma apparente. E magari pensi "Se solo sapessero.....". Anche i feedeback positivi (sebbene in un primo momento ci facciano sentire bene) possono avere un suono cupo e sinistro. Questa sensazione viene chiamata la "Sindrome dell'impostore". Prendere in giro gli altri non funziona, anche perchè chi si farà mai abbindolare dall'opinione di qualcuno così stolto da essere preso tanto facilmente in giro?

Se questa è la tua esperienza, elenca esempi di quelle volte in cui hai fatto qualcosa solo per avere l'approvazione degli altri che a lungo andare hai sentito come falsa per te:

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Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 26-Gen-2011, 21:26
Accettare che l'evitamento esperenziale non può funzionare


Due sono i fattori principali che mantengono bloccate le persone nel sistema dell'evitamento esperenziale. Il primo fattore è che la regola "Se non ti piace qualcosa, sbarazzatene" funziona molto bene nel mondo esterno. Il secondo fattore è che gli effetti a breve termine dell'evitamento esperenziale, vale a dire, l'applicazione di tale regola alla nostra esperienza privata, spesso possono essere positivi. Il perno che tiene insieme il sistema dell'evitamento esperenziale è che l'utilità del linguaggio umano nel fronteggiare il mondo esterno è basata sulla regola "se non ti piace qualcosa, sbarazzatene" e gli effetti a breve termine dell'evitamento esperenziale, l'applicazione di questa regola alla nostra esperienza privata, spesso può essere pisitiva.
Per esempio, pensa a una persona che abbia la fobia dei serpenti.I sui amici stanno tutti programmando una gita allo zoo e questa persona è spaventata all'idea di andare con loro. E' terrorizzata perchè vorranno andare alla mostra dei serpenti e non si sente in grado di farcela a stare lì dentro.
Vorrebbe stare con i suoi amici e le piacerebbe vedere gli altri animali dello zoo, ma alla fine trova una scusa per non andare. Ora, cerca di immaginare come ci si sente nei panni di questa persona e rispondi alle seguenti domande cerchiando una delle risposte.

. Cosa sentirà, probabilmente, immediatamente dopo aver trovato una scusa per non andare con i suoi amici?

Sollievo
Ansia

. L'evitamento dello zoo (evitamento esperenziale) sarà più o meno probabile la prossima volta?

Più
Meno

. La sua fobia diventerà più forte o debole?

Più forte
Più debole


La metafora della tigre affamata

Immagina di alzarti una mattina e di trovare, proprio davanti alla tua porta di casa, un adorabile cucciolotto di tigre che miagola. Sicuramente porterai il dolce cucciolo in casa per tenerlo come animaletto domestico. Dopo averci giocato per un pò, visto che continua a miagolare pensi che deve essere affamato. Gli dai da mangiare un pezzettino di carne cruda, sapendo che questo è ciò che le tigri amano mangiare. Giorno dopo giorno, la piccola tigre diventa un pò più grande. Nel corso di 2 anni, il pasto giornaliero della tua tigre passa da un pezzetto di hamburger, a una costata,a una mezzena di bue. Presto, il tuo piccolo animale non miagolerà più quando è affamato, ma ti ringhierà ferocemente contro ogni volta che vorrà mangiare. Il tuo piccolo animale carino è diventato una bestia incontrollabile e selvaggia, pronta a sbranarti se non ottiene quello che vuole.
La lotta con il tuo dolore può essere paragonata a questa tigre immaginaria. Ogni volta che dai forza al tuo dolore dandogli da mangiare la "carne rossa dell'evitamento esperenziale", aiuti il tuo dolore-tigre a diventare un pò puù grande e un pò più forte. Nutrirlo in questo modo sembra la cosa più prudente da fare. Il dolore-tigre ringhia ferocemente dicendoti di nutrirlo ogni volta che vuole o ti mangerà.
Così, ogni volta che tu lo nutri, aiuti il dolore a divenire più forte, più intimidatorio e ad avere più controllo sulla tua vita.



E' chiaro vero quali sono le risposte? Come potrebbero essere altrimenti?
La tua situazione personale è analoga all'esperienza di questa persona. Ogni volta che metti in atto un comportamento finalizzato a evitare alcuni dolori personali, dai il via allo stesso insieme di reazioni emerse nelle domande precedenti. Probabilmente sentirai un sollievo immediato per non aver dovuto avere a che fare con quei pensieri, sentimenti o sensazioni fisiche. Il senso di sollievo che ne guadagni rinforza il tuo desiderio di usare la medesima strategia la prossima volta che ti trovi a dover fronteggiare il tuo dolore. Così, ogni volta che fai così, quello che fai è dare più forza al contenuto doloroso, cioè i tuoi pensieri, emozioni o sensazioni fisiche dolorose.
Considera la possibilità, benchè sembri improbabile, che non è solo che queste strategie di evitamento non hanno funzionato-è che queste non possono funzionare. L'evitamento potenzia solamente l'importanza e il ruolo di quello che tu stai evitando-in altre parole, quando tu eviti per gestire il tuo problema, esso cersce solamente.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 27-Gen-2011, 22:15
Allora, che cosa dovresti fare?


Per prima cosa, concediti una pausa. Considerando tutte le ragioni discusse precedentemente, non è strano che tu ti sia focalizzato sulle strategie di evitamento esperenziale. Hai fatto esattaamente ciò che alle persone logiche è stato insegnato a fare: prendersi cura di se stessi. E' un gioco truccato ma tu non lo sapevi che era truccato e non è sicuramente colpa tua se non funziona. Se scommetti ad una roulette truccata sei sicuro di perdere i tuoi soldi. Sei in una situazione simile con il tuo dolore. Così adesso metti un segno virtuale di fianco ai modi che sei disposto a provare per concedere a te stesso una pausa:

. potrei affrontare l'idea che le mie strategie di evitamento non funzioneranno mai;

. potrei avere compassione verso me stesso per quanto mi è costato, e per quanto duramente ho tentato di gestire il mio dolore;

. potrei smettere di incolpare me stesso per non essere stato in grado di far funzionare le mie strategie di evitamento.

Adesso, elenca ogni ulteriore idea che potresti avere su come concedere una pausa a te stesso:

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Responsabilità e respons-abilità

Secondo, accetta la respons-abilità. C'è una piccola, ma importante, differenza tra accettare la "responsabilità" e accettare la "respons-abilità" (abilità di risposta). Accettare la responsabilità spesso implica accettare la colpa. Incolpare è quello che noi facciamo quando cerchiamo di motivare le persone a cambiare comportamento o a fare la cosa giusta. Ma accettare il pensiero "Sono in colpa" può realmente motivare qualcuno a cambiare?


Esercizio: Il gioco delle colpe


Scrivi alcuni esempi di situazioni in cui incolpi te stesso o gli altri per eventi negativi di cui tu hai fatto esperienza. Sucessivamente valuta i tuoi esempi, su una scala da 1 a 10, in base a quanto hanno funzionato per motivarti e raffozzarti per vivere la tua vita in modo più vitale, appagante e libero (in questa scala, 1 significa che non ti hanno rafforzato per nulla e 10 significa che ti hanno rafforzato al massimo).




Quante volte hai assegnato un punteggio alto (ti sentivi cioè vitale e fortificato) quando stavi incolpando te stesso o qualcun altro per gli eventi negativi della tua vita? E' probabile che non ti sia sentito particolarmente rafforzato mentre giocavi al gioco delle colpe: se hai ottenuto costantemente un punteggio basso, significa che per te incolpare non funziona. Se la colpa non funziona, ovviamente, hai bisogno di qualcos'altro.
Come alternativa, accettare la respons-abilità significa riconoscere la possibilità che tu sia capace di rispondere. Questa abilità non ha nulla a che vedere con il senso di colpa. La maggior parte del tuo dolore non è colpa di nessuno; il dolore accompagna automaticamente il sistema verbale che tutti gli esseri umani acquisiscono. Anche nelle situazioni estreme (come un abuso sessuale o un incesto), quando un'altra persona ha sicuramente la colpa per aver perpretato deliberatamente e dolorosamente un atto spregevole su di te, sei ancora capace di rispondere al dolore che esso ti provoca.
E' come se ci fossero due manopole della radio che controllano la tua sofferenza. Una è chiamata Dolore. Hai provato faticosamente a girarla verso il livello minimo, ma questo non sembra funzionare. L'altra manopola è posizionata dietro alla radio e neanche sapevi che ci fosse. La sua funzione è controllare quanto lotti con il dolore e quanto ti impegni cercando di controllarlo. Forse hai pensato che fosse necessario imparare a controllare la manopola del dolore quando hai iniziato a leggere questi scritti. Ma che cosa dice la tua attuale esperienza su chi regola questa manopola? Sei tu a regolare la manopola? Puoi semplicemente abbassare il dolore che provi al livello che preferisci?
Se la risposta è no, forse tu non sei respons-abile di quella manopola.
Ma adesso chiediti: chi regola la manopola dietro la radio? Chi determina che cosa fare con il dolore quando questo si presenta? Essere respons-abili significa essere consapevoli che c'è, in effetti, una risposta che puoi dare: che tu sei in grado di rispondere.
Più avanti esploreremo quelle aree in cui tu puoi sempre rispondere.


Terzo, comincia a pensare che c'è una reale alternativa alla tua lotta


Fino a ora, è probabile che tu abbia raramente provato pensieri e sentimenti che non volevi, senza tentare di controllarli in qualche modo. Ono dei nostri obbiettivi è dimostrare che cosa succede quando "lasci andare" i tuoi sforzi di controllare le emozioni e i pensieri che non vorresti avere. Non è facile, poichè "controllare" è ciò che la mente umana è programmata a fare.
A questo punto, ti chiediamo solamente di iniziare veramente a esaminare ciò che la tua esperienza ti sta dicendo. Per farlo, nelle due prossime settimane, sul tuo allegro quadernetto compila la seguente scheda.

Giorno................................

Dolore................................

Lotta..................................

Successo complessivo.......................................

Qualche nota circa gli eventi dolorosi che hai provato oggi?..............................................................................................


Ogni giorno, magari a fine giornata, compila questa scheda. Puoi anche farne delle copie e portarle con te.

Alla fine della giornata, valuta i seguenti tre punti:

1. quanto dolore psicologico hai vissuto oggi (se il tuo dolore è dovuto a uno specifico problema, come ansia, depressione, utilizza solo l'etichetta più specifica invece della parola "dolore"). Quando valuti, usa una scala da 1 a 100, dove 1 significa nessun dolore e 100 dolore estremo);

2. dopo aver valutato il dolore della giornata, valuta quanto ti sei dovuto sforzare, quanto hai lottato per controllare il dolore che hai sentito nella giornata. Usa la stessa scala di prima in cui 1 significa nessuno sforzo e 100 un estremo livello di sforzo e lotta;

3. il passo finale è valutare quanto la giornata è stata funzionale. E cioè: se ogni giorno fosse come oggi, quanta vitalità e vivacità caraterizzerebbero la tua vita? Di nuovo usa la stessa scala da 1 a 100.

Quarto, considera la possibilità che l'alternativa al controllo sia tanto sottile quanto frustrante. Se hai notato nell'esercizio precedente che stai spendendo molta energia lottando con il tuo dolore, ma che non hai ottenuto grandi risultati in termini di soddisfazione nella tua vita (avendo cioè la sensazione che la tua vita si stia espandendo), allora questo è un altro indizio del fatto che i tuoi tentativi di controllare il dolore forse non funzionano tanto bene come razionalmente dovrebbero fare. Inoltre, anni di condizionamento ti hanno convinto che questa è la sola opzione possibile.
Lasciare andare il controllo non richiede molto sforzo. Ma lasciare andare il controllo (quando il controllo non funziona) è difficile: manda in confusone, può essere frustrante. Non è ciò che la tua "macchina del linguaggio", che è la tua mente, è abituata a fare.
Questo è il motivo per cui è necessario passare attraverso ogni esercizio lentamente e attentamente. L'alternativa che ti si offre agli inutili tentativi di controllo dei tuoi pensieri e dei tuoi sentimenti, richiederà diligenza, onestà, scetticismo e compassione.
Non è un cammino semplice da seguire, il tuo più grande alleato in questo nuovo cammino è il tuo stesso dolore. Solo quando prenderai in considerazione tutto il tempo e l'energia che hai speso cercando inutilmente di controllare il tuo dolore e di evitare le esperienze negative, per poi valutarne i risultati dolorosi, scoprirai che vale la pena fare lo sforzo per attuare qualcosa di radicalmente differente.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 28-Gen-2011, 19:43
Andare avanti


Prima di andare avanti nella tua vita, è necessario che guardi direttamente a dove sei in questo momento. Gli esercizi precedenti servono a fare proprio questo. E' necessario che tu sia consapevole dei pemsieri, dei sentimenti e delle sensazioni fisiche che ti hanno tormentato. E' altrettanto importante che tu sia consapevole delle abituali stategie di fronteggiamento che hai usato per gestire questi pensieri, emozioni, sensazioni.
A questo punto non sarebbe saggio fare qualcosa di diverso. Infatti, ti suggerisco di non tentare ancora di cambiare niente. Semplicemente, prova a diventare più consapevole di ciò che hai fatto e più consapevole di quanto ciò abbia realmente funzionato.



Esercizio: Che cosa stai sentendo e pensando ora?

Abbiamo visto che quando le persone iniziano ad osservare più attentamente le proprie esperienze, senza fuggire o nascondersi, talvolta le esperienze che rimanevano sotto la soglia della consapevolezza la raggiungono. Così, per terminare questa parte, fa una lista di tutti i pensieri e sentimenti che stai provando proprio in questo momento, rispetto alle difficoltà che ti hanno motivato a leggere
questi scritti e scrivile nello spazio sottostante. Se inizi ad intravedere alcune problematiche che sono state sepolte sotto la superficie, cogli questa opportunità per descriverle e metterle sul tavolo, dove possono essere viste alla luce del giorno.

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Nelle parti che seguiranno, inizieremo a vedere come utilizzare approcci diversi per relazionarsi al dolore contro il quale hai sempre lottato. Non aspettarti di padroneggiare queste nuove abilità da un giorno all'altro, ci vorrà tempo. La misura del successo è una sola: la tua personale esperienza.
Non sto chiedendo di "comprare a scatola chiusa", non sto chiedendo di credere in questo approccio alternativo: ti sto solo chiedendo che tu sia disponibile a provare i nuovi suggerimenti che verranno proposti, e che lasci alla tua esperienza il compito di giudicare.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 28-Gen-2011, 20:30
Lascia Andare!


Prima di iniziare a leggere questo capitolo, prendi un orologio e siediti in un posto tranquillo. Fà un respiro profondo e trattienilo più a lungo che puoi. Ora scrivi per quanto tempo hai trattenuto il respiro:

Ho trattenuto il respiro per.........secondi.

Più avanti spiegherò il motivo di questo piccolo esperimento.

Nelle parti precedenti si è suggerita un'alternativa all'evitamento esperenziale. E' stata descritta in diversi modi come disponibilità, accettazione o "lasciare andare". In questo capitolo, discuteremo di questa alternativa più a fondo, spiegando perchè l'accettazione è così importante, dando un assaggio di cosa significhi essere accettanti e offrendoti l'opportunità di farne esperienza in modi molto semplici. L'obiettivo non è di applicare queste informazioni immediatamente ai problemi che ti hanno maggiormente afflitto, questo capitolo và visto solo come una infarinatura.
Questa è una breve introduzione che porrà le basi per la starda che percorreremo. Prima che possa applicare attivamente l'accettazione nella vita quotidiana con successo, hai bisogno di acquisire una maggiore comprensione del modo in cui funziona la tua mente, come essa influisce sul tuo comportamento e come puoi interrompere questa catena di eventi.
L'accettazione (alla quale ci riferiremo anche con il termine "disponibilità") è un'abilità di cui hai sentito parlare o che hai sperimentato in passato. E' certamente qualcosa che tu puoi imparare a fare. Sfortunatamente, non è qualcosa che la tua mente può fare, e questo è il motivo per cui si chiede di apprendere maggiori abilità prima di poterla praticare nella tua vita di tutti i giorni. Dopo tutto, la tua mente è consapevole di ciò che stai leggendo: in questo campo la tua mente non è tua alleata.



Se non lo vuoi, lo avrai


Precedentemente abbiamo detto che forse la regola che si applica alla nostra esperienza privata si presenta in questi termini:"Se non lo vuoi, lo avrai". Questa regola è importante nel momento in cui si ha a che fare con la sofferenza, anche se non è stata specificata in che termini. Così, da un'occhiata a ciò che fa la mente umana con una semplice idea.
Supponi che la regola sia vera (se non lo vuoi, lo avrai). Poichè hai già sofferto molto, che cosa potersti logicamente fare per applicare questa regola alla tua sofferenza? Prenditi un momento e scrivi ogni idea che ti viene in mente a questo proposito.

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Se sei come la maggior parte delle persone, inizierai a pensare a come diventare disponibile ad avere esperienze private negative, se ciò significa che esse potrebbero diminuire o forse scomparire.
Per esempio, supponiamo che il tuo problema sia l'ansia. Detesti essere ansioso. Hai appena letto che esiste un modo per aiutarti a gestire il tuo problema, un modo basato sulla regola:"Se non sei disposto ad averlo, lo avrai". Che cosa può significare questo per la tua ansia? Ciò che segue è il tipo di considerazione che la macchina delle parole che noi chiamiamo "mente" riesce a fare.
"Hmmm. Dunque, se io non sono disposto a essere ansioso, lo sarò. Suppongo che ciò significhi che, se io fossi un pò più disponibile a essere ansioso, potrei essere un pò meno ansioso. Detesto essere ansioso, magari potrei provare.Proverò a essere un pò più disponibile a provare ansia e forse così non sarò così ansioso".
Con questo discorso la trappola del pensiero ti ha catturato, perchè se cerchi di essere disposto ad accettare l'ansia solo per essere meno ansioso, allora non sei realmente disposto ad accettarla e quindi diventerai sempre più ansioso.
Non è un vuoto gioco di parole. Rileggi le affermazioni: si, sono paradossali, ma il paradosso sembra essere vero. Queste affermazioni dimostrano l'allegro girotondo che si verifica quando si prova a forzare la mente a fare qualcosa che non può fare. Se la sola ragione per cui sei disposto a provare ansia oggi è la speranza di non sentirla in futuro, allora non funzionerà, perchè ciò che la tua "disponobilità" significa veramente è che non ti vuoi sentire ansioso e farai i salti mortali per non sentirti tale: non è la stessa cosa essere disposto a sentire la tua ansia.
Questo è il motivo per cui abbiamo detto che gli approcci che potrebbero aiutarti con le cause del tuo dolore, sono difficili da apprendere; non nel senso che sono faticosi ma perchè sono ingannevoli. Per questo motivo stiamo presentando il concetto di disponibilità, ma dovremo approfondire diverse cose prima di tornare a questo argomento per cercare di applicarlo alle aree principali con le quali lotti.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 28-Gen-2011, 21:13
Accettazione e disponibilità


"Accettare" deriva dalla radice latina "capere" che significa "prendere".
L'accettazione è l'atto di ricevere o di "prendere ciò che viene offerto". A volte può essere inteso come "tollerare o rassegnarsi a qualcosa" (come in "suppongo di doverlo accettare"), e questo è esattamente ciò che non vogliamo intendere qui. Per "accettare" intendiamo qualcosa che è più come "l'atto di accogliere completamente, in questo momento, senza difese": noi usiamo la parola "disponibilità" come sinonimo di "accettare" per aderire al significato di accettazione. "Disposto"- in originale willing (N.d.T.)- deriva da un'antica parola anglossasone che significa "scegliere". Quindi "accettazione" e "disponibilità" possono essere comprese sotto forma di risposta a questa domanda:"sei disposto a prendermi come sono?".
Accettazione e disponobilità sono l'opposto del controllo. Ricordi la manopola dietro la radio. Ora sai il suo nome: la manopola della Disponobilità.
Quello che segue è la descrizione di cosa significa realmente "prendermi come sono".
Nel nostro contesto, le parole "disponibiltà" e "accettazione" significano rispondere attivamente ai sentimenti sentendoli, letteralmente, allo stesso modo in cui riesci a sentire, letteralmente, la trama di un tessuto di cashmere. Questi termini significano rispondere attivamente ai tuoi pensieri pensandoli, come se tu leggessi una poesia solo per seguire lo scorrere delle parole o come potrebbe fare un attore quando legge un copione e prova a immedesimarsi.
Essere disponibile e accettante significa rispondere attivamente ai ricordi ricordandoli, nel modo in cui potresti far vedere ad un amico un film che hai già visto. Significa rispondere attivamente alle sensazioni fisiche sentendole, percependole come quando ti stiri al mattino e senti il tuo corpo che si risveglia.
Accettazione e disponibiltà significa adottare un atteggiamento gentile e amorevole verso te stesso, verso la tua storia e i tuoi progressi cosicchè diventi più facile essere consapevoli delle tue stesse esperienze come fragili oggetti che tieni nelle tue mani e contempli da vicino in modo distaccato.
L'obbietttivo della disponibilità non è sentirti meglio; è aprire te stesso alla vitalità del momento e farti muovere più efficacemente verso ciò a cui dai valore.
In altre parole, l'obbiettivo della disponibilità è sentire tutte le sensazioni che emergono in modo più completo, anche, o specialmente, le brutte sensazioni, cosicchè tu possa vivere la tua vita in modo più completo. In sostanza, invece di cercare di farti sentire meglio, la disponibilità implica apprendere come sentire meglio.
Essere accettante e disponibile è come mettere delicatamente le dita nell'intrappola-dita cinese per dare più spazio a te stesso per vivere, piuttosto che lottare inutilmente contro le tue esperienze cercando di tirare fuori le dita dalla tappola. Essere disponibile e accettante significa concedere a te stesso abbastanza spazio per respirare.
Assumendo una posizione di accettazione e disponibilità puoi aprire tutti gli scuri e le finestre della tua casa e permettere alla vita di scorrerci attraverso; lasciando che l'aria fresca e la luce entrino in ciò che prima era chiuso e scuro. Essere disponobile e accettanete significa essere capace di camminare attraverso le sabbie mobili della tua difficile storia quando il pantano è proprio sul sentiero che per te è importante.
Essere disponibile e accettante significa notare che tu sei il cielo e non le nuvole, l'oceano e non le onde. Significa notare che tu sei grande abbastanza per contenere tutte le tue esperienze, così come il cielo può contenere ogni nuvola e l'oceano ogni onda.
Non ci aspettiamo che questa carrelata di metafore poetiche faccia già la differenza. Ma il senso che queste cose trasmettono ti può dare un idea di ciò che vogliamo dire parlando di accettazione.
Se trovi che la tua mente si oppone o si trova d'accordo, ringrazia semplicemente per questo pensiero. La tua mente è benvenuta per proseguire la cavalcata, ma l'accettazione e la disponibilità sono stati che la mente non potrà mai apprendere a raggiungere: fortunatamente in te c'è molto di più del tuo repertori di relazioni e simboli. Anche se la tua mente non può imparare come essere disponibile e accettante, tu lo puoi imparare.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 29-Gen-2011, 12:31
PERCHE' DISPONIBILITA'


Una ragione per cui vale la pena provare a praticare la disponibilità è data dal fatto che la letteratura scientifica rivela costantemente il suo valore e il pericolo del suo opposto: l'evitamento esperenziale.
Un motivo per cui in questi scritti non si parla specificatamente di rabbia, depressione, ansia e abuso di sostanze, dolore cronico (o qualunque altro disturbo frequente nella vita moderna) è che stiamo cercando di insegnare una serie di abilità che abbiano uno spazio ampio di applicabilità e che possano potenziare il tuo lavoro terapeutico o i tuoi sforzi per cambiare la tua vita. Abbiamo anlizzato per la prima volta la letteratura dell'evitamento esperenziale poco più di dieci anni fa (Hayes et al., 1996) e da allora si è enormemente ampliata. Affronteremo soltanto alcune aree per mostrare quanto questo processo sia applicabile alla sofferenza psicologica.


Dolore fisico. Teoricamente ogni area del dolore cronico, della patologia fisica (la stima oggettiva del danno fisico) non conduce a nessuna relazione con la quantità del dolore, ridotto funzionamento e disabilità (Dahl et al.,2005). La relazione tra la quantità del dolore e il grado di funzionamento è anch'essa debole. Ciò che predice il funzionamento è : a. la tua disponoblità a provare il dolore; b. la tua abilità ad agire nella direzione che per te ha valore mentre stai facendo quell'esperienza (McCracken, Vowles ed Eccleston, 2004). Questi sono esattamente i processi-bersaglio di questi scritti.
Allenare le persone ad accettare il proprio dolore e a guardarlo o a defondersi dai propri pensieri su di esso, aumenta incredibilmente la loro tolleranza al dolore (Hayes et al., 1999) e diminuisce il livello di disabilità e le assenze per malattia sul lavoro causate dal dolore stesso (Dahl, Wilson e Nilsson, 2004).

Traumi fisici, malattie e disabilità. Nei danni cerebrali, spinali, negli infarti e nelle altre malattie fisiche, la gravità della patologia fisica è poco predittiva del successo della riabilitazione e della disabilità a lungo termine.
Ciò che è predittivo è l'accettazione da parte del paziente della propria condizione e la disponibilità a prendersi la responsabilità del proprio problema (Krause, 1992; Melamed Grosswasser e Stren, 1992; Riegal, 1993).
Nelle malattie croniche come il diabete, l'accettazione dei pensieri difficili e dei sentimenti a cui la malattia dà origine e la disponbilità ad agire in presenza di questi pensieri e sentimenti predice una buona capacità di autogestione del disagio (Gregg, 2004). Altri problemi legati alla salute, come il fumo, mostrano gli stessi risultati (Gifford et al., 2004). L'ACT promuove una gestione migliore della salute come risultato del cambiamento nella disponibilità ad accettare la malattia, sganciandosi dai pensieri e muovendosi verso ciò che è più significativo per te (Gifford et al., 2004; Gregg, 2004).

Ansia. La non disponobilità a non provare ansia è predittiva del provare ansia in molte diverse forme (Hayes, Strosahl et al.,2004). Per esempio, quando vengono esposti agli stessi livelli di attivazione fisiologica, coloro che mettono in atto l'evitamento esperenziale provano più facilmente panico di chi, con disponibilità, accetta la propria ansia (Kerekla, Forsyth e Kelly 2004). Questo è particolarmente vero se chi evita cerca attivamente di controllare la propria sensazione di ansia (Feldner et al., 2003).
Tra le persone che abitualmente si strappano i capelli, l'evitamento esperenziale predice un bisogno più frequente ed intenso di strapparseli, meno capacità di controllare il bisogno impellente e più angoscia per il fatto di strapparsi i capelli, rispetto a coloro che non sono evitanti (Begotka, Woods e Wetterneck, 2004).
Le persone con disturbo d'ansia generalizzata hanno con più probabilità alti livelli di evitamento emozionale (Mennin et al., 2002) e, sia la quantità di preoccupazione che il grado di inefficienza dovuta alla sofferenza sono correlati con l'evitamento esperenziale (Roemer et al., 2005). Anche una piccola quantità di formazione sull'accettazione può aiutare. Pe resempio, si è visto che un training sull'accettazione di soli 10 minuti ha reso le persone con attacchi di panico più abili a fronteggiare l'ansia; invece un training sulla distrazione e la soppressione non si è rivelato utile (Levit et al., 2004). Allo stesso modo, per le persone ansiose, insegnare la semplice metafora ACT sull'accettazione, l'intrappola - dita cinese, riduce l'evitamento, i sintomi d'ansia e i pensieri ansiogeni maggiormente della respirazione diaframmatica (Eifer ed Heffner, 2003).

Abuso infantile e trauma. L'abuso sui bambini è predittivo di angoscia ricorrente di diverso grado, ma la pratica della disponibilità media questa relazione (Marx e Sloan, 2002). In altre parole, se non vuoi provare i ricordi, i pensieri e i sentimenti che l'abuso produce, rimmarrai bloccato nell'angoscia cronica da adulto. Se sei disposto a provare ancora questi pensieri, ricordi, sentimenti, la stessa storia di abuso sarà meno distruttiva per la tua vita. La ricerca ha mostrato che, quando persone con le stesso livello iniziale di stress post-traumatico vengono messe a confronto nel tempo, coloro che sono disponibile ad avere queste esperienze private hanno meno stress post-traumatico (Marx e Sloan, 2005).

Performance lavorativa. Le persone più disposte emotivamente a provare emozioni negative godono di una migliore condizione mentale e lavorano meglio. L'effetto è significativamente migliore degli effetti della soddisfazione lavorativa o dell'intelligenza emozionale (Bond e Bounce, 2003; Donaldoson e Bond, 2004).

Abuso di sostanze.L'abuso di sostanze è tipicamente motivato dal tentativo di evitare le esperienze private negative (Shoal e Giancola, 2001). Più coloro che fanno uso di sostanze credono che le droghe e l'alcool riducono le loro emozioni negative, più saranno soggetti a ricadute (Litman et al., 1984).

Depressione. Più della metà delle variazioni nei sintomi depressivi possono essere attribuite alla mancanza di accettazione e disponibilità (Hayes, Stroshal et al., 2004).


Questa rassegna potrebbe andare avanti ancora per molte per molte pagine e occuparsi ancora di molte aree, ma questi esempi sono sufficienti per fare il punto della situazione. La letteratura scientifica è piena di evidenze su come la disponibilità delle persone a provare qualunque tipo di emozione sia di centrale importanza per molte aree del funzionamento psicologico umano.



Inviato da: miki_70 il Sabato, 29-Gen-2011, 19:59
Dunque, perchè la disponibilità è così importante? Forse la testimonianza di alcune persone che dichiarano l'importanza della disponibilità è più convincente delle nostre pillole di letteratura. Leggi le seguenti dichiarazioni e vedi se risultano vere anche per te.

. Perchè la disponibilità? Perchè quando lotto contro le mie esperienze dolorose, la lotta le fa sembrare molto più dolorose.

. Perchè la disponibilità? Perchè quando mi allontano dal dolore che incontro mentre inseguo ciò che per me ha più valore, mi allontano anche dalla ricchezza della vita che queste azioni di valore mi portano.

. Perchè la disponibilità? Perchè quando provo a chiudere fuori da me stesso le parti dolorose del mio passato, allontano anche le cose utili che ho imparato.

. Perchè la disponibilità? Perchè quando non sono disponibile sento una perdita di vitalità.

. Perchè la disponibilità? Perchè la mia esperienza mi dice che non essere disponibile non funziona.

. Perchè la disponibilità? Perchè provare dolore è un normale processo umano ed è disumano cercare di attenermi a uno standard diverso.

. Perchè la disponibilità? Perchè "vivere nella mia esperienza", cioè vivere nel momento presente, sembra potenzialmente più gratificante che "vivere nella mia mente".

. Perchè la disponibilità? Perchè so assolutamente come funziona il mio dolore quando non lo voglio e sono stanco di provarlo. E' ora di cambiare l'intero programma, non solo ciò che faccio in funzione del controllo e dell'evitamento.

. Perchè la disponibilità? Perchè ho sofferto abbastanza.


Esercizio: Perchè disponibilità?

Ora tocca a te. Scrivi tre o quattro risposte che ti vengono in mente. Se avverti una resistenza, notalo semplicemente e,in modo gentile e compassionevole, lasciati sentire così, poi ritorna a questa domanda, portando con te il tuo senso di resistenza.

. Perchè disponibilità? Perchè

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. Perchè disponibilità? Perchè

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. Perchè disponibilità? Perchè

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Inviato da: SOL il Sabato, 29-Gen-2011, 20:13
Quanto sei gamba miki!
ciao

Inviato da: SOL il Sabato, 29-Gen-2011, 20:13
volevo dire Che sei in gamba!

Inviato da: miki_70 il Sabato, 29-Gen-2011, 20:58
Disponibilità e stress


Lo psicologo della Brown University, Rick Brown, e i suoi colleghi (Brown et al.,2005) hanno recentemente dimostrato che le persone che non lasciano spazio ai propri sentimenti di angoscia, hanno grosse difficltà di autocontrollo. Per esempio, hanno lavorato con un gruppo di fumatori cronici per fermare la loro dipendenza da nicotina, utilizzando un libro di auto aiuto. Tuttavia, prima che i soggetti iniziassero seriamente a cercare di smettere, Brown diede loro tre compiti preliminari. Chiese loro di trattenere il respiro più che potevano; di risolvere semplici, ma confusi, problemi matematici il più velocemente possibile, fino a quando si arrendevano; di respirare anidride carbonica (che crea sintomi simili a quelli dell'ansia), finchè non chiedevano di smettere. La maggior parte di coloro che ottenevano buoni punteggi in tutti i compiti fu in grado di smettere di fumare. Pochi, invece, di quelli, che ottenevano punteggi bassi furono in grado di interrompere la loro dipendenza (Brown et al., 2005). In altre parole, se non puoi sentire i tuoi sentimenti di angoscia, non puoi realmente prenderti cura della tua salute. Non c'è da meravigliarsi che l'evitamento dell'esperienza sia predittivo di un graduale peggioramento della qualità di vita nel tempo (Hayes, Strosahl et al., 2004).

Esecizio: Essere disponibili a rimanere senza fiato

Ora scoprirai se puoi usare l'accettazione per aumentare la tua capacità di rimanere con le tue emozioni spiacevoli. Prendi un orologio e siedi per qualche minuto in un posto tranquillo. Si tratta ancora di trattenere il respiro, ma questa volta segui le istruzioni riportate di seguito. Leggile più volte, finchè non sarai sicuro di essere in grado di ricordarle, anche quando inizierai a sentire sensazioni dolorose. Aspetta a iniziare finchè non vedi la parola "inizio".
Leggi le righe seguenti.

. Quando fai l'esercizio e il desiderio di respirare diventa più forte, segui le seguenti istruzioni: Nota esattamente dove inizia e dove finisce il desiderio di respirare, nel tuo corpo. Localizza esattamente dove senti il desiderio di respirare.
. Nota se riesci a permettere ai tuoi sentimenti di essere precisamente lì e, allo stesso tempo, trattieni il respiro. Porta il livello di disponibiltà al massimo! Semplicemente nota le sensazioni e non respirare....pensa a questo come una nuova opportunità di sentire quello che raramente senti.
. Nota ogni pensiro che sopraggiunge e ringrazia la tua mente per il pensiero, senza esserne controllato. Fà attenzione ai pensieri subdoli che possono portarti facilmente a respirare prima che tu decida di farlo. Dopotutto, chi è responsabile della tua vita? Tu o la tua macchina delle parole (mente)?
. Nota le altre emozioni che possono emergere a parte il desiderio di respirare. Vedi se puoi creare uno spazio anche per queste emozioni.
. Sonda il tuo intero corpo e nota che, oltre il desiderio di repirare, il tuo corpo contiene altre sensazioni e continua a funzionare.
. Continua a trattenere più che puoi il respiro. Se il desiderio di respirare si fa più forte, immagina di continuare a creare deliberatamente tale impulso. Chiudi gli occhi e vedi se puoi replicare questo tuo desideri nella tua immaginazione, separatamente dal tuo corpo. Ogni fitta al petto, ogni preoccupazione di svenire, ogni istinto di respirare, trasformali da qualcosa di non benvenuto che ti è imposto, in qualcosa che stai cercando deliberatamente, per il gusto di sentire quello che vuoi. Questo nuovo desiderio è formalmente lo stesso, ma è una tua creazione. Hai motivo di sentirti minacciato da una tua creazione?
. Prima di iniziare a trattenere il respiro, elenca una o due azioni che puoi fare durante questi esercizi e che potrebbero aiutarti a essere consapevole di tutti i tuoi sentimenti, pensieri, sensazioni e desideri mentre miri all'obiettivo di trattenere il respiro.
Scrivi solo le strategie di accettazione, non le strategie di controllo o soppressione dell'esperienza.

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Leggi l'elenco puntato diverse volte, finchè senti di aver compreso completamente le istruzioni. Nel fare l'esercizio puoi lasciare lo schermo acceso, così puoi dare un'occhiata all'elenco e ricordare le cose da fare mentre senti cosa si prova quando vuoi respirare mentre non respiri.
Sei pronto per vedere se è possibile controllare meglio il tuo comportamento (trattenere il respiro) imparando ad accettare e a fare spazio ai tuoi pensieri e sentimenti.


Ora inizia

Fa un respiro profondo e trattienilo più che puoi. Quando hai finito, scrivi per quanto tempo lo hai trattenuto:....................secondi.


Descrivi la tua esperienza durante l'esercizio.

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Il disagio di non respirare tende ad andare e venire? Quand'è che sale e che scende?

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Come tenta la tua mente a persuaderti a respirare?

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Qual'era la cosa più subdola che faceva la tua mente?

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Vedi possibili implicazioni che questo semplice esercizio potrebbe avere rispetto a come sta andando la tua vita, specialmente nell'area contro cui hai lottato? Se è così, cosa puoi vedere?

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Ora guarda indietro e considera per quanto tempo sei stato in grado di trattenere il respiro, prima di cominciare a leggere questo capitolo. Se non sei stao in grado di vedere nessuna possibile implicazione in questo esercizio rispetto all'area in cui hai lottato, questo paragone può aprirti qualche porta nuova?

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Le strategie che ti chiediamo di utilizzare per aiutarti a trattenere più a lungo il respiro, sono proprio il tipo di tecniche che saranno introdotte da qui in avanti. Se sei stato in grado di trattenere più a lungo il respiro la seconda volta, ciò fornisce la prova che le informazioni qui riporate possono esserti utili. Ovviamente, questa idea sarà applicata a problemi più complessi del semplice desiderio di respirare, tuttavia, il principio è lo stesso. Se ti impegni in un'azione particolare, utilizza le strategie di mindfulness e di defusione quando la tua mente comincia a darti problemi nel portare avanti questo percorso e prosegui accettando quello che la mente ti offre. Sarai in una posizione migliore per vivere una vita piena e significativa, con o senza pensieri, emozioni e sensazioni spiacevoli.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 29-Gen-2011, 21:04
QUOTE (SOL @ Sabato, 29-Gen-2011, 19:13)
volevo dire Che sei in gamba!

Grazie SOL, ma non penso di essere in gamba, penso di essere una persona in continuo cammino. Camminare è semplice, ma bisogna volerlo fare.

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Inviato da: miki_70 il Sabato, 29-Gen-2011, 21:40
La "disponibilità a cambiare" problema


Ricordi le due manopole della radio di cui abbiamo parlato precedentemente? Supponiamo che per vivere la vita che realmente vorresti, nel modo in cui vorresti viverla, sia necessario prima girare al massimo il tuo indicatore di disponibilità. Ciò significherebbe essere disponobile a sentire qualsiasi sentimento, ricordo, pensiero o sensazione fisica che giunga nella tua vita. Li sentiresti pienamente e non vi innalzeresti contro nessuna difesa psicologica.
Detto in altro modo, supponi che, per poter vivere una vita salutare, vitale, significativa e soddisfacente, prima di poterti muovere nella direzione in cui vuoi andare, sia necessario rinunciare a controllare i tuoi pensieri e sentimenti interni. Se questo fosse ciò che ti viene richiesto, in che misura saresti disponibile a farlo? (Non presupponiamo che tu sappia già come farlo, ti stiamo solo chiedendo di essere aperto a questa possibilità). Se 1 significa totalmente non disponibile e 100 totalmente disponibile, quanto vuoi essere disponibile a cominciare a "sentire" ciò che la tua storia ti ha dato, focalizzando le tue strategie di controllo sulle tue azioni piuttosto che sui tuoi eventi interni? Scrivi il numero...........
Se ti ritrovi a scrivere un valore basso, stai mantenendo l'idea che un valore basso signifca che proverai molto meno dolore. Ma se questo è ciò che ti ha insegnato la tua esperienza, non avresti avuto motivo di leggere questi scritti. Un valore basso non significa meno dolore, significa meno spazio alla vita. Non ti stiamo chiedendo se credi che la disponibilità funzionerà, ti stiamo chiedendo: se la disponibilità fosse necessaria per vivere una vita sana, vitale, significativa, soddisfacente, ti muoveresti in questa dierezione? Se ti ritrovi nuovamente a scrivere un valore basso, riconsidera la tua risposta e valuta se vuoi rimanere bloccato in questa situazione.
Cosa ti si presenta nel pensare a questo? Nello spazio sottostante, scrivi i tuoi pensieri riguardo a questo aspetto:

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Se fossi stato disponibile a esperire pienamente ciò che la tua storia personale ti ha dato mentre eri impegnato in azioni importanti, come sarebbe stata diversa la tua vita?

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Non ci aspettiamo che ciò faccia la differenza. La tua mente potrebbe dirti che questo tipo di disponibiltà è impossibile, o che ti potrebbe condannare a una tristezza perenne. Se è così, ringraziala semplicemente per questo contributo e non tornare a discutere. Potrebbe essere che il dolore non sia veramente sinonimo di sofferenza. Potrebbe essere che il dolore, unito alla scarsa disponibilità a sentirlo, equivalga a sofferenza.
Non discuteremo di questo argomento in alcun modo: la tua esperienza è il giudice finale. Ma se sei pronto ad apprendere nuove strategie che eventualmente renderanno possibile questo tipo di disponibilità, puoi continuare a leggere.

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Inviato da: SOL il Sabato, 29-Gen-2011, 21:44
ti auguro un lungo cammino ricco di sorprese e gioie!

Inviato da: miki_70 il Sabato, 29-Gen-2011, 22:10
QUOTE (SOL @ Sabato, 29-Gen-2011, 20:44)
ti auguro un lungo cammino ricco di sorprese e gioie!

Ricambio SOL PSICO hug.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 30-Gen-2011, 11:27
IL PROBLEMA CON I PENSIERI


Adesso inizieremo ad esplorare i modi in cui la nostra mente produce i pensieri. Hai mai considerato come sia pervasivo il processo di pensiero? Probabilmente non te ne sei accorto. Come il ritmico ronzio di un condizionatore che fa circolare l'aria in una stanza, la mente sbuffa, facendo ciò per cui l'evoluzione naturale l'ha progettata: categorizzare, prevedere, spiegare, paragonare, giudicare, preoccupare. E' proprio come il lieve ronzio dell'aria condizionata, puoi trascorrere molto tempo senza nemmeno accorgerti che sia lì, in funzione.
Se stiamo per fare qualcosa di diverso con il processo di pensiero, per prima cosa abbiamo bisogno di cogliere il processo al volo, mentre è in funzione, altrimenti ci occupiamo costantemente degli sfortunati esiti comportamentali che sono il risultato del credere ai nostri pensieri , ovvero tendiamo a considerare i nostri pensieri come un vangelo, tralasciandone la caratteristica cruciale che può creare effetti distruttivi.
Sicuramente avrai provato l'esperienza di guidare l'automobile e improvvisamente accorgerti di aver guidato per chilometri senza nessuna consapevolezza del mondo fuori dall'auto. L'abitudine alla guida è così automatica che praticamente è possibile guidare inconsapevolmente.
La situazione in cui ti trovi quando i tuoi pensieri sono alla guida del tuo comportamento può essere paragonata a finire fuori strada mentre si è in questo stato di vuoto mentale. Non è saggio cercare di "risolvere" continuamente il problema di finire in un fosso cambiando le ruote della tua auto con quelle di un fuoristrada: è troppo tardi perchè ci sia d'aiuto, e comunque questo tipo di cambiamento non aiuta a stare in strada.
E' meglio ritornare al momento in cui hai sterzato il volante. Sono quel momento e quell'azione che ti hanno causato lo sbandamento e che ti hanno fatto finire nel fosso. Per prima cosa quello che hai bisogno di cercare sono quei segnali scarabbocchiati a mano a bordo strada che indicavano la destra dicendoti "per di quì!". Anche se non sei consapevole di questi segnali in questo preciso momento, queste indicazioni stradali sono i tuoi pensieri; sono parte (ma solo parte!) di quello che ti ha portato fuori strada all'inizio.
Aaron Beck, il padre della terapia cognitiva, utilizza il termine distanziamento per riferirsi al processo di notare oggettivamente ciò che stai pensando (ecco perchè l'ACT si chiamava "distanziamento comprensivo" all'inizio del suo sviluppo; Hayes, 1987). Nell'approccio di Beck e nella maggior parte delle terapie scientifiche basate, comunque, il distanziamento è solo il primo passo per la valutazione e confutazione dei pensieri.
I terapisti utilizzano questo metodo per insegnare ai pazienti ad individuare gli errori logici, a ricercare nuove prove e a cambiare i pensieri emotivamente disturbanti. E' un pò come vedere i segnali a bordo strada e cercare di fermare la macchina per scendere e distruggere o riscrivere quello che il segnale dice, in modo che quando lo rivedrai in futuro, non sarai portato ancora fuori strada.
Noi utilizziamo un approccio diverso, più semplice e come suggeriscono le attuali evidenze, più strettamente legato ad esiti positivi. Quello che dobbiamo imparare a fare è guardare il pensiero piuttosto che guardare dal pensiero. Abbiamo bisogno di notare i cartelli scarabbocchiati a mano allo stesso modo con cui noteremmo un graffito, non dobbiamo seguire o resistere al cartello, ma dobbiamo accorgercene. Possiamo notarlo allo stesso modo in cui ci rendiamo conto della temperatura della stanza o del suono che esce da un lettore CD, o di un odore nell'aria. Il segnale di per sè non significa necessariamente che si debba fare qualcosa, e non significa niente su di te, allo stesso modo in cui non è importante se i graffiti siano scritti in corsivo o in maiuscolo, se l'aria è calda o fredda, se il suono del CD è melodico o monotono o se l'odore dell'aria è acre o dolce. Ciò che importa è notare i segnali.
Poichè i pensieri si riferiscono a qualcosa e "significano" qualcosa questo crea un illusione. Quando pensiamo a qualcosa, ci sembra di occuparci realmente di quella cosa. Quando valutiamo qualcosa, quella cosa ci appare come se fosse realmente valorizzata o minimizzata a seconda del contenuto della valutazione.
I cartelli a bordo strada che la nostra mente costruisce non sono semplici indicazioni. Possono essere più elaborate, possono anche essere ragionevoli.
"Lascia questa relazione! Ti stai attaccando troppo, e lui è troppo carino. Restarai ferita profondamente" dice un segnale. E anche se tu vuoi amare nella tua vita (se questa è la strada che hai scelto), potresti ritrovarti nel fosso con un'altra relazione già in fumo per l'impatto dello schianto, dicendo che è così perchè lui era "troppo impegnato nel lavoro" o perchè lui "mi stava soffocando" e così via. Per cambiare uno schema così bisogna tornare al punto cruciale in cui hai visto il cartello. Questo è l'obbiettivo di quello che stiamo scrivendo e scriveremo.
Quanto detto prima non significa che tu debba osservare i tuoi pensieri ossessivamente, o che l'unico modo per evitare di guidare fuori strada sia di essere sempre vigile. Mentre impari a cogliere sempre più spesso questi momenti in cui il cartello spunta per la prima volta, svilupperai nuovi modi per metterti in relazione con essi, questo lavoro inizierà seriamente più avanti. Mentre costruisci queste nuove abitudini mentali, con il tempo sarai in grado di guidare inconsapevolmete per periodi più lunghi senza finire fuori strada. Non che l'incosapevolezza sia un obbiettivo, ma nessuno è sempre consapevole, ed è bene sapere che, nel tempo, le abitudini possono lavorare a tuo favore piuttosto che contro di te, se stabilisci quelle giuste. Stabilire questi nuovi modi di relazionarti con i tuoi pensieri, comunque, richiede che tu colga maggiormente questi pensieri quando si presentano.



nota di miki.
Dire che queste cose su di me hanno funzionato e come hanno funzionato, sarebbe inutile quanto dispersivo. L'unica cosa che posso dirvi è che i miracoli non esistono, la pillola magica quantomeno. Perciò chi è disponibile a seguire e a mettere in pratica seriamente quanto scritto e soprattutto quanto seguirà deve dedicarvi tempo, passione, costanza,metodo. I risultati arriveranno, ma bisogna lavorare duramente. Non arrendersi alle prime sconfitte ed ai primi "non ce la faccio, con me non funziona". Leggere tutto questo 3d e non mettere in pratica realmente e seriamente tutto ciò, non serve assolutissimamente e comunquemente a NIENTE. Fidatevi.Leggete altro.

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Inviato da: SOL il Domenica, 30-Gen-2011, 14:43
Sono sicuro che oggi tu vivi una vita piena.
Che quelli sono solo vecchi ricordi,un modo per iniziare a percorrere una nuova strada.Per me sei un esempio e uno stimolo e il condividere il tuo sapere con chi lo vuole leggere e grandioso.
Non ti farò più complimenti perchè apparirebbe quantomeno mieloso ma sai quanto ti stimo.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 30-Gen-2011, 21:18
LA PRODUZIONE DI PENSIERI


Il lavoro della mente è di proteggerti dal pericolo per aiutarti a sopravvivere. Lo fa categorizzando costantemente gli eventi presenti, legandoli con l'analisi del passato e con le previsioni sul futuro e valutando che cosa è stato ottenuto o potrebbe essere ottenuto come esito delle azioni. Dopo aver funzionato per gli ultimi 100.000 anni rendendo la nostra specie dominante sul pianeta, è poco probabile che la mente umana smetta improvvisamente di fare queste cose. Che ti piaccia o no, dentro la tua scatola cranica, hai una "macchina che genera parole" che mette in relazione un evento a un altro dalla mattina alla sera.
E' impossibile smettere di pensare, specialmente di proposito. Quando facciamo le cose deliberatamente, di proposito, noi creiamo un sentiero verbale, una regola, e cerchiamo di seguirla. Così, quando cerchiamo deliberatamente di smettere di pensare, creiamo il pensiero che dice "non dobbiamo pensare a niente, non dobbiamo pensare nessun pensiero" e cerchiamo di seguirlo. Sfortunatamente, questa regola verbale è essa stessa un pensiero, e questo processo ci prende solo in giro. Gli esercizi che dimostrano l'incoerenza interna della soppresione dei pensieri (ricordate la palla da tennis rossa?) analizzano questo punto in maggior dettaglio.
Il prossimo passo è iniziare a notare i tuoi pensieri, al volo in tempo reale. Nonostante il fatto che noi stiamo costantemente pensando, solo occasionalmente prestiamo una consapevole attenzione al fatto che stiamo pensando. Tutto quello che accade così naturalmente e così ferquentemente rimane sullo sfondo. Quante volte noti che stai sbattendo le palpebre o che stai respirando?


I pesci nuotano naturalmente nell'acqua. Non "sanno" di essere sott'acqua, semplicemente nuotano. Pensare è la stessa cosa per gli esseri umani, i pensieri sono la nostra acqua. Siamo così immersi nei pensieri che difficilmente siamo consapevoli che ci sono. Nuotare nei nostri pensieri è il nostro stato naturale. Non puoi tirare un pesce fuori dall'acqua e aspettarti che viva come un pesce. Ma cosa succederebbe se il pesce diventasse consapevole di vivere nell'acqua?



Esercizio: A cosa stai pensando in questo momento?

Prova a scrivere qui sotto i tuoi pensieri così come stanno passando per la tua mente proprio ora. Prenditi qualche minuto e scrivi quanti più pensieri puoi, proprio mentre ti stanno venendo in mente.

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Che cosa hai trovato? Quanti pensieri sei stato in grado di scrivere? Mentre scrivevi, non è capitato che siano spuntati altri pensieri sui pensieri che stavi pensando? Se sei "inciampato" per un momento e hai pensato a una cosa del tipo:" non sto pensando a nulla" ti sei reso conto che anche questo era un pensiero?
E' molto probabile che il piccolo spazio qui sopra non fosse abbastanza grande per contenere tutti i pensieri che stavi pensando in quei pochi istanti. Considera che cosa ciò significa: se c'è stato un costante flusso di pensieri negli ultimi istanti, perchè gli altri momenti dovrebbero essere diversi? Se è così, centinaia o, più probabilmente, migliaia di questi eventi accadono ogni giorno. Non è sorprendente che regolarmente finiamo fuori strada. Spesso la strada stessa è scarsamente illuminata (questo è il motivo per cui lavoreremo con i valori, in seguito), i segnali a bordo strada sono ferquenti e confusivi (la maggior parte di questi sembrano costruiti nella stessa mente umana), e diamo a questi segnali più potere attraverso le nostre abitudini mentali.
Una delle principali abitudini mentali su cui lavoreremo per smantellarla è l'abitudine di prendere alla lettera i nostri pensieri. Se i pensieri sono quelli che dicono di essere, ogni esperienza che può programmare un pensiero è un'esperienza che può controllare il tuo comportamento. Quando prendiamo alla lettera i pensieri, siamo alla mercè di ogni casuale esperienza che la vita ci presenta. La psicologa di Harvard, Hellen Langer (1989) ha descritto un interessante esempio di come funziona il pensiero letterale considerando le virtù della saliva.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 30-Gen-2011, 21:49
Le virtù della saliva


Probabilmente non ti è mai capitato di pensare alle virtù della saliva, ma sono molte. Senti quando è caldo e umido l'interno della tua bocca. Senti la scorrevolezza della lingua dentro la bocca. Se la tua bocca fosse interamente asciutta, la tua lingua sfregherebbe contro il palato in modo davvero irritante. Se ti è mai capitato di avere la "bocca impastata" sai quanto può essere spiacevole. Ora prova a inghiottire e senti come la saliva rende l'azione di inghiottire comoda e facile.
Immagina cosa sentiresti se non avessi la saliva. Hai mai provato a inghiottire quando la tua gola era così asciutta che sembrava che dentro ci fosse la sabbia? La saliva ha proprietà antisettiche che naturalmente lavano via dalla bocca i germi e proteggono i denti e le gengive. Motivo per cui le condizioni mediche e i disturbi che riducono il flusso di saliva portano velocemente alla caduta dei denti e a malattie delle gengive. Per esempio, le metanfetamine (sostanze anche conosciute come "speed") producono una forte secchezza in bocca, e i denti degli abusatori di queste sostanze, già dopo pochi anni, letteralmente marciscono e cadono (è quella che viene detta "bocca da tossicodipendente") poichè la riduzione cronica di saliva comporta una riduzione di protezione che la saliva stessa fornisce.
La saliva ci aiuta anche a pre-digerire il cibo. Quando ci prendiamo il tempo per masticare e deglutire, il cibo scivola facilmente nella gola e lo stomaco ha molto meno difficoltà a digerirlo. Se ti è mai capitato di ingurgitare grandi quantità di cibo senza masticarlo, saprai quale "mappazza" possa creare nello stomaco, come se il corpo lottasse per compensare la mancanza di masticazione. La saliva è veramente una sostanza meravigliosa.
Adesso immagina un bicchiere da vino di cristallo pulito, bellissimo, trasparente e immacolato e immagina che ogni volta che senti un pò di saliva in più nella tua bocc tu la rilasci nel bicchiere; e continui a farlo fino a che il bicchiere non è pieno.
Adesso cerca di immaginare questo in modo realistico. Prova a visualizzarlo e riporta le sensazioni che arriverebbero alla tua mente. Immagina di tenere stretto in mano il bicchiere pieno della tua saliva, di versarne il contenuto nella tua bocca e poi di mandarla giù tutta a grandi sorsate, inghiottendola glu-glu-glu, fino a che il bicchiere non è vuoto.







Come è stato immaginare questa cosa? Per la maggior parte di noi l'idea di inghiottire un bicchiere pieno della propria saliva è disgustoso, si rivolta lo stomaco solamente ad immaginarlo.
Non è strano questo? E' la tua saliva! Tu produci litri di questa sostanza tutti i giorni e soprattutto tu l'inghiotti, tutto il giorno: senza non potresti mangiare.
Come detto sopra, la saliva ha molte virtù. Nonostante questo, l'idea di bere un bicchiere intero di saliva è tra gli atti più disgustosi che possiamo immaginare. L'esperienza reale, di tutti i giorni, della saliva è una cosa, pensare alla saliva come ad una bevanda è un'altra cosa. In questo caso una sostanza fantastica diventa una sostanza disgustosa. Perchè e come succede questo?

Inviato da: miki_70 il Domenica, 30-Gen-2011, 22:50
Perchè pensare ha un impatto così grande


I pensieri hanno significato perchè sono simbolici: sono simbolici perchè sono arbitrari e mutualmente in relazione a qualcos'altro. Quando pensiamo viene stabilita una relazione mutuale tra il pensiero e l'evento a cui stiamo pensando. Ciascuno influenza l'altro.
E' questo processo che rende utile il pensare. Immagina questo scenario:" Supponi che tutte le finestre e le porte della stanza in cui ti trovi siano chiuse a chiave. Come fai ad uscire? Guarda che cosa fa la tua mente:mentre arrivi a qualunque opzione, stai trattando eventi reali in modo simbolico, stai mettendo in relazione i pensieri come se manipolassi gli oggetti reali a cui questi pensieri si riferiscono. Questa è parte dell'utilità del linguaggio:nella realtà, noi non dobbiamo provare sul campo le diverse opzioni per fuggire, possiamo provarle con l'immaginazione. Ricordi l'esempio della vite, dello spazzolino da denti e dell'accendino?
I problemi arrivano, comunque, quando questo processo è: a. portato agli estremi, b. applicato a tutti i pensieri. La fusione cognitiva (non dimenticate mai questo termine) si riferisce alla tendenza a lasciare che i pensieri dominino le altre fonti di regolazione comportamentale, quando non si riesce a prestare sufficiente attenzione rivolta ai prodotti del processo di mettere in relazione.
In termini meno astratti, "fusione cognitva" significa trattare i nostri pensieri come se fossero ciò che pretendono di essere.
Quando cerchi di immaginare come scappare dalla stanza chiusa a chiave, è poco probabile che questo processo sia dannoso. Supponi di pensare "telefonerò al mio amico con il cellulare per farmi aiutare". L'evento simbolico di "telefonare al tuo amico" con il "cellulare" nella tua immaginazione e l'evento reale di telefonare al tuo amico sono due cose diverse, ma in questo caso non importa molto, le due cose sono trattate come se fossero la stessa cosa. Puoi immaginare il cellulare, immaginare di digitare il numero del tuo amico, proprio come lo fai nella realtà, prendere il cellulare e premere i tasti per chiamare il numero del tuo amico. Nella maggior parte delle forme di risoluzione dei problemi (problem solving), i pensieri sono utili per questa ragione.
Ma in altre situazioni la fusione cognitiva può essere dannosa. Per esempio, pensa a tutte le affermazioni con "io sono" che tu produci in relazione al tuo dolore:"Sono depresso"; "Sono ansioso"; "O mio Dio, sono così stressato"; "Sono stato dal terapeuta e mi ha detto che sono un ossessivo compulsivo, o un borderline o un sociofobico,etc, etc."; "Sono così così stanco di provare costantemente dolore". Questo tipo di linguaggio ti mette nella condizione di identificare te stesso con il tuo dolore o disturbo. La fusione cognitiva significa che prendi queste affermazioni come verità letterali e alla fine cominci a credere che tu sei, nella realta, il tuo dolore o disturbo. Diventa molto difficile vedere che il tuo dolore non ti delimita, anche perchè è molto difficile vedere che questi sono pensieri che la tua mente ha prodotto.
In modo simile, poichè molto del contenuto del pensiero è valutativo, la fusione cognitiva significa anche che le valutazioni o i giudizi possono attacarsi agli eventi: questo trasforma non solo il pensiero ma anche le funzioni dell'evento reale.
Per esempio, nonostante le funzioni fisiologiche della saliva non siano avversive, le funzioni del linguaggio possono farla diventare tale. Bere saliva è "disgustoso" a causa della fusione cognitiva. Noi inghiottiamo saliva tutto il giorno e gli animali non verbali assetati a cui viene presentato un bicchiere di saliva lo ingurgiterebbero (es. molti cani mangiano il proprio vomito), come diremmo noi "senza pensarci".
Per noi, comunque, la sola idea ci fa venire voglia di vomitare (nota che abbiamo appena detto la sola "idea" ci fa venire voglia di vomitare).
Ci sono poche situazioni in cui bere un bicchiere pieno di saliva potrebbe essere utile, così, per la maggior parte, il nostro disgusto per questa idea è innocuo. Spesso la fusione cognitiva non è un problema se le si lascia spazio, tuttavia, qualunque evento valutato o giudicato può diventare un obbiettivo del processo senza la consapevolezza di ciò che realmente sta succedendo, e questo può essere davvero molto dannoso. Per esempio, qualunque reazione emotiva a un evento avversivo sarà solitamente valutata negativamente. Ciò che chiamiamo "ansia" tende a comparire in seguito a un evento avversivo (per esempio: dell'ipotetico cane a cui hai dato un ipotetico calcio potremmo dire che è "ansioso" quando ritorni a casa). Noi notiamo le reazioni emotive, ed etichettiamo sia gli eventi avversivi sia i risultati emotivi come "cattivi".
Poi solo un piccolissimo passo separa l'applicazione di un' etichetta negativa a risposte emozionali dal definire queste stesse risposte come obbiettivo di cambiamento diretto, anche se questi tentativi non sono nè sani nè necessari. Tristezza, ansia, noia, dolore, insicurezza e così via saranno evitate o fuggite, anche se il pericolo di fuggirle è dannoso, solo perchè sono emozioni "cattive". Questa probabilmente è una delle ragioni per cui la semplice idea che "l'ansia sia cattiva" è correlata con molti problemi psicologici, dai disturbi d'ansia alla depressione (Hates, Stroshal et al., 2004).

Inviato da: neva il Lunedì, 31-Gen-2011, 10:45
Grazie Miki io ho incominciato a camminare leggento i tuoi scritti. Mi aiutano molto. Il fatto è che mi è venuto un gran male ai piedi ma veramente non è una metafora ho veramente male ai piedi. dry.gif
E' un cammino molto difficile a livello psicologico è come se stessi imparando a camminare da sola e faccio molta fatica sarà per questo che mi è venuto male ai piedi. PSICO sad.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 01-Feb-2011, 00:13
L'evitamento esperenziale e la fusione cognitiva


Nelle pagine precedenti abbiamo discusso dell'evitamento esperenziale e del perchè questo sia un problema. Hai letto come l'evitamento esperenziale è dannoso e hai guardato e seguito( se hai fatto gli esercizi) le tue stesse strategie di evitamento per vedere quanto hanno funzionato (o non hanno funzionato). Adesso è l'ora di collegare queste idee con ciò che stiamo analizzando: detto in parole semplici, la causa principale all'origine dell'evitamento esperenziale è la fusione cognitiva.
Immagina di avere il pensiero di dover avitare alcune difficili esperienze private (un'emozione, un pensiero, un ricordo o una sensazione corporea) perchè è "troppo da sopportare". Qualcosa che è "troppo duro da sopportare" non deve essere sopportato o potrebbe causare ferite e danni. La tua mente, così come abbiamo lungamente discusso, si è evoluta nei millenni per aiutarti a preservarti dalle ferite e dai danni. Se ti fondi con l'idea che questa esperienza privata è "troppo da sopportare", allora l'esperienza si manifesta essa stessa come il pensiero che è "troppo da sopportare", così identifichi la tua iniziale esperienza con questo secondo pensiero in modo talmente completo che i due si fondono insieme. Una volta che si sono fusi, tu cercherai naturalmente di evitare questa esperienza. Questo è il motivo per cui la fusione sostiene l'evitamento esperenziale.
Guardiamo un esempio per delineare questo punto un pò più chiaramente.
Immagina di soffrire di depressione. Immagina anche di essere legato all'idea che questi sentimenti di tristezza "non devono essere sopportati". Che cosa farai quando questi sentimenti emergeranno? Probabilmente, qualunque cosa sia in tuo potere per evitarli, eviterai qualunque interazione personale che ti fa sentire triste, smetterai di andare nei posti che ti potrebbero fare sentire depresso, addirittura cercherai di non provare i sentimenti e di non pensare i pensieri che credi guidino la depressione. Anche se continuare in questo modo significa andare fuori dalla strada sulla quale tu vorresti veramente rimanere, andrai avanti perchè i sentimenti che stai provando "non devono essere sopportati". Questo è ciò a cui porta la fusione cognitiva.
Assumendo per un attimo che questo sia vero, significa che ogni segnale stradale che incontri ti può portare fuori strada se tocca i tuoi nervi scoperti. La domanda è: che cosa sono questi nervi?

Inviato da: miki_70 il Martedì, 01-Feb-2011, 00:17
QUOTE (neva @ Lunedì, 31-Gen-2011, 09:45)
Grazie Miki io ho incominciato a camminare leggento i tuoi scritti. Mi aiutano molto. Il fatto è che mi è venuto un gran male ai piedi ma veramente non è una metafora ho veramente male ai piedi. dry.gif
E' un cammino molto difficile a livello psicologico è come se stessi imparando a camminare da sola e faccio molta fatica sarà per questo che mi è venuto male ai piedi. PSICO sad.gif

Il cammino non è difficile, Neva, è sfuggente PSICO hug.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 01-Feb-2011, 00:20
QUOTE (SOL @ Domenica, 30-Gen-2011, 13:43)
Sono sicuro che oggi tu vivi una vita piena.
Che quelli sono solo vecchi ricordi,un modo per iniziare a percorrere una nuova strada.Per me sei un esempio e uno stimolo e il condividere il tuo sapere con chi lo vuole leggere e grandioso.
Non ti farò più complimenti perchè apparirebbe quantomeno mieloso ma sai quanto ti stimo.

Grazie SOL. Non sei affatto mieloso. E' rarissimo trovare persone che ti dicono "Grazie". PSICO hug.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 01-Feb-2011, 00:35
Pensare causa dolore


I due nervi più sensibili sono i processi di valutazione e concettualizzazione di sè. I pensieri, anche quelli che usi per placare la tua mente, creano dolore in due modi: portano gli eventi dolorosi alla mente e amplificano l'impatto del dolore attraverso ciò a cui conduce la fusione cognitiva, ovvero attraverso l'evitamento. Per esempio, pensa a un ricordo doloroso. Non importa quale esso sia, solamente permetti a te stesso di pensare a un ricordo doloroso, e passa alcuni momenti ad osservarlo.
Ti sei appena impegnato nel primo processo attraverso cui le menti creano il dolore. Il fatto di essere in grado di riportare alla mente gli eventi passati e di prevedere quelli futuri è parte integrante dell'essere in grado di utilizzare il linguaggio per la risoluzione di problemi a livello verbale. Questo è un processo valutativo. Il linguaggiio non può funzionare senza questa abilità o processi e i processi non possono essere cambiati perchè tu dovresti diventare non verbale per cambiarli. I metodi che la gente usa per cercare di eliminarli (come l'abuso di alcool o droghe, o mettere in atto attività compulsive o dissociazioni) creano essi stessi quantità incredibili di dolore di secondo ordine.
Il secondo processo, la concettualizzazione di sè, è altrettanto importante della valutazione (forse anche di più). Puoi imparare a cambiare il processo per mezzo del quale percepisci te stesso, ma per lavorare a questo processo devi iniziare con il dolore che hai evitato.

Inviato da: miki_70 il Martedì, 01-Feb-2011, 01:56
Tenere un diario del dolore

Durante questa settimana vorrei che teniate traccia del vostro dolore per far si che vengano alla luce alcuni pensieri che si presentano mentre stai lottando. Questo richiederà un pò di tempo e dedizione, ma sarai ripagato.
Prendi il tuo solito quadernetto che utilizzi per gli esecizi, dividilo in quattro colonne.
Nella prima colonna partendo da sinistra scrivi le ore. Comiciando dalle ore 1 fino alle 24. Così:


1
2
3
4
5
6
7.....e così via.

Nella seconda colonna scrivi " Che cosa stavi facendo o cosa è successo"

Nella terza " Con che cosa hai iniziato a lottare psicologicamente?"

Nella quarta "Quali pensieri (in aggiunta a quelli della teraza colonna) ti sono venuti in mente in associazione con questa lotta?"

Fa una copia delle tue colonne una per ogni giorno per sette giorni.

Metti la data d'inizio ad ogni copia.

Porta il tuo diario o copia della giornata con te, ogni momento.

Ogni volta che ti trovi in lotta con il disagio emotivo, con pensieri difficili, ricordi dolorosi, sensazioni corporee fastidiose o urgenze interne indesiderate, tira fuori il tuo diario del dolore e registra questa informazione.
Non è necessario riempire tutte le ore (per esempio non ti devi alzare nel pieno della notte per compilare il diario, anche se lo puoi certamente compilare se rimani sveglio). Semplicemente compila il foglio quand realmente ti trovi a lottare con qualche tipo di disagio psicologico o fisico.
Se non puoi gestire il diario nel momento reale in cui hai un problema, allora tornaci su e scrivi quando ne hai tempo. Il punto più importante è che dovresti essere diligente nello svolgimento di questa attività in modo tale da avere un catalogo del tipo di dolore che ti disturba e di cosa succede quando provi quel dolore.
Potrebbe essere veramente di grande valore se ti sei particolarmente focalizzato sul nucleo di lotta che hai identificato nell'esercizio chiamato "Il tuo inventario del dolore". Non ti focalizzare solo su quello, ma potrebbe essere una buona idea prestare particolarmente attenzione ai momenti in cui le tue reazioni associate con questi problemi appaiono.
La maggior parte delle domande di questo esercizio è abbastanza semplice. Dovresti essere in grado di rispondere con relativa facilità.

Prendiamo come esempio qualcuno bloccato in un lavoro che proprio non ama e che lotta con l'ansia sociale, il suo diario del dolore quotidiano potrebbe essere come segue.


- ore 7

- Che cosa stavi facendo o cosa è successo?

Mi sono alzato sentendomi incavolato.

- Con che cosa hai iniziato a lottare psicologicamente?

Quanto odio il mio lavoro

- Quali pensieri (in aggiunta a quelli della terza colonna) ti sono venuti in mente in associazione con questa lotta?

Sto sprecando la mia vita in questo stupido lavoro.



- ore 8

- che cosa stavi........................................

Stavo guidando per andare ad una riunione con il capo.

- Con che cosa hai iniziato..........................

Ho notato che il mio cuore stava pulsando velocemente e ho pensato:"OH Dio!"

- Quali pensieri..........................................

No posso sopportare ancora questa sensazione d'ansia.


La continuazione dell'esercizio e la spegazione è fra sette giorni.
Nel frattempo discutiamo ancora.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 02-Feb-2011, 00:28
Il treno mentale


A volte non fa male prendere alla lettera i pensieri. Quando si tratta solo di risolvere problemi esterni, la fusione cognitiva è relativamente innocua. Non è lo stesso per quel che riguarda il nostro mondo interno, qui ci sono altre abilità da imparare: come guardare i tuoi pensieri senza crederci o non crederci, senza invischiamento, senza lottare. Questo è l'obbiettivo principale che vogliamo raggiungere, ma intanto preparati a quel lavoro con questo semplice esercizio.


Esercizio: Guardare il treno mentale


Immagina di essere su un ponte della ferrovia e di guardare sotto, dove ci sono tre binari.
Lenti treni merci si muovono su ognuna delle tre rotaie allontanandosi da te.
Ogni treno è composto da una fila di piccoli vagoni aperti che trasportano minerali. Da su, tu riesci a a guardare il contenuto. Sembrano senza fine e si muovono tutti e tre sotto il ponte.
Adesso mentre guardi giù, immagina che il treno sulle rotaie di sinistra trasporti solo le "materie prime" delle cose che noti solo nel momento presente, in questo preciso momento.
Questi minerali sono: sensazioni, percezioni ed emozioni. I suoni che senti, i palmi sudati, i battiti cardiaci, la tristezza che ti avvolge, e così via. Il treno nel mezzo trasporta solo i tuoi pensieri: le tue valutazioni, le tue previsioni, le tue concettualizzazioni di te stesso e così via. Sul treno di destra è trasportata la tua spinta e urgenza all'azione; la tua spinta all'evitamento e a guardare altrove, i tuoi sforzi a cambiare argomento. Guardare questi tre binari è come una metafora per guardare la tua mente.



Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 02-Feb-2011, 00:50
Ora trova una sedia comoda e siediti per un momento in un posto dove puoi stare in silenzio. Inizia l'esercizio pensando a qualcosa con cui hai lottato recentemente, poi chiudi gli occhi e immagina mentalmente i tre binari.
Il tuo compito è stare sul ponte e guardare. Se trovi che la tua mente è andata altrove, o se ti accorgi di essere dentro un vagone a lottare con il suo contenuto, per esempio il giudizio che non arriverai mai a niente, o che nulla di buono potrà mai succederti in futuro, questo può essere un momento molto importante (infatti, è lo scopo principale di questo esercizio). Semplicemente nota ciò che ti ha appena preso all'amo. Archivia questa cosa, e poi mentalmente torna sul ponte sopra le rotaie e guarda ancora una volta giù. Se rieci a stare sul ponte, la tua esperienza assomiglia alla figura precedente.
Se scompari nel contenuto, la tua esperienza somiglia a questa figura:






Ricordati che sensazioni, percezioni ed emozioni presenti sono sui binari alla tua sinistra.
I tuoi pensieri sono nei vagoni centrali. Le strategie per fronteggiare le situazioni e la spinta a fare qualcosa sono nei vagoni di destra. Guarda se riesci a stare sul ponte, se invece lo abbandoni, semplicemente nota che cosa ti è successo e poi ritorna sul ponte.
Prendi almeno tre minuti e guarda quello che ti succede.
Adesso sul tuo quaderno crea una tabella e scrivi delle cose che hai notato mentre eri sul ponte e osservavi i tre convogli di vagoni.
La tabella dividila in tre parti. Nella colonna di sinistra descrivi le sensazioni, percezioni, emozioni presenti. In quella centrale scrivi i pensieri. Nell'ultima le azioni, strategie di fronteggiamento, compreso se c'è l'evitamento.

Se ti sei perso, non hai iniziato l'esercizio o sei andato fuori strada, che cosa è successo appena prima? Che tipo di contenuto è comparso che ti ha portato giù dal ponte? (Alcuni molto comuni sono ricordi connessi a forti emozioni, a pensieri relativi all'esercizio stesso, e pensieri riguardo il tuo futuro- anche prossimo). Prenditi qualche minuto e annota queste cose:

..................................................................................................

..................................................................................................

....................................................................................................

...................................................................................................


Queste sono le cose che ti hanno preso all'amo, molto probabilmente a causa della fusione cognitiva. Il tuo compito è imparare a rimanere sul ponte più a lungo possibile e, se lasci il ponte, a ritornare indietro più rapidamente.
Questo è il compito che affronteremo da qui in avanti.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 02-Feb-2011, 13:43
AVERE UN PENSIERO VERSUS CREDERE A UN PENSIERO


Il problema si presenta quando possiamo guardare solo "dai nostri pensieri", piutosto che "i nostri pensieri". Questo restringimento e rigidità possono avere dei costi perchè in alcune aree della vita prendere alla lettera ciò che la nostra mente ci dice non è l'approccio migliore. Questo è particolarmente vero per ciò che riguarda il nostro dolore interiore, emozionale.
Considera ciò che accade quando applichiamo, per esempio, relazioni temporali e verbali valutative su un soggetto del nostro ambiente esterno. Possiamo immaginare cosa siamo capaci di farci, che cosa potrebbe accadere, possiamo valutare l'immagine che la nostra mente ha creato. L'abilità di far questo in un numero infinito di modi può essere molto utile. Possiamo facilmente testare la fattibilità di ogni azione concreta implicata dai nostri pensieri: se, per esempio, supponi che un martello può piantare un chiodo, puoi mettere alla prova la tua supposizione piantando un chiodo con il martello.
Quando i pensieri vengono applicati a emozioni e sensazioni interne sono più invischianti, difficili da mettere alla prova e per questo più arbitrari.
Guarda come le valutazioni e i giudizi prendono forma. Metti il caso di avere un pensiero ripetitivo che dice "sono uno schifo". Non è chiaro con quale criterio di "fattibilità" si può testare questo pensiero (metaforicamente, quale chiodo puoi piantare con il martello "sono uno schifo"?). Il test riguarda il fatto che questo sia realmente vero, ma è una cosa irrazionale, è un compito senza fine. La tua mente può giustificare ogni relazione. Per esempio, scegli un qualsiasi oggetto inanimato che si trovi ora nella tua stanza e cerca qualunque cosa per criticare questo oggetto: se ti ci fermi sopra riusciri sicuramente a trovare qualcosa da criticare.
Mettere direttamente alla prova tentando di disconfermare, confermare queste valutazioni focalizzate internamente rende solo la mente più occupata, e più valutante. Prova a pensare intensamente il pensiero che segue e vedi se la mente non diventa più occupata e più valutante.
"Io sono perfetto". Restaci su un momento e cerca di pensare intensamente quetso pensiero.
Che cosa è successo? Il cielo si è forse schiarito e ha iniziato a regnare la pace ora che sai di essere perfetto? Improbabile. Per la maggior parte di noi un pensiero come questo si dissolve rapidamente in una discussione interna ( del tipo "no, non lo sono" o "ma ho un sacco di difetti"). Nel mondo esterno puoi piantare un chiodo e finirla lì. In quello interno puoi arrampicarti dentro la tua mente e stabilirti lì in modo permanente.
C'è un'alternativa: puoi imparare a guardare i tuoi pensieri piuttosto che da essi (o attraverso essi). Queste tecniche di defusione cognitiva sono una componente centrale dell' ACT, ti aiutano a distinguere tra il mondo così come costruito dai tuoi pensieri e il pensare come un processo in divenire. Quando i tuoi pensieri ti riguardano, la defusione ti aiuta a distinguere tra la persona che sta pensando e le categorie verbali che applichi a te stesso attraverso il pensare.
La defusione conduce alla pace della mente, non perchè la battaglia verbale necessariamente si fermi ma perchè tu non vivi più nella zona di guerra.
"Defusione" è un neologismo, una parola inventata, non si trova nel dizionario. La usiamo perchè nei contesti normali le parole e gli eventi a cui si riferiscono sono spesso trattati quasi come se fossero la medesima cosa: sono "fuse" tra loro ( dalla radice latina che significa "versato insieme").
Quando apprenderai a vedere i tuoi pensieri come pensieri che si presentano qui e ora, tu sai ancora "che cosa significano" (le relazioni verbali sono ancora lì, cioè sai ancora a cosa i tuoi pensieri si riferiscono); ma si dissolve l'illusione che la cosa a cui stai pensando sia presente semplicemente pensandola. Questo riduce largamente l'impatto dei simboli. L'avrai notato tu stesso. Ti sari accorto che il pensiero "sto avendo la sensazione di essere ansioso" è molto differente dal pensiero "Oddio, sono così ansioso!". La prima affermazione è più defusa della seconda, per questa ragione provoca meno ansia. Quando apprendi come defondere il linguaggio, diventa più semplice essere disponibile, essere presente, essere consapevole e vivere una vita a cui dai valore, anche con il normale chiachiericcio in corso dentro la tua testa.
Alla fine di questo capitolo non solo avrai appreso alcune tecniche di defusione cognitiva che i terapeuti ACT usano con il loro pazienti ma apprenderai anche come crearne tu stesso. Apprenderai anche come riconoscere i segni e gli indicatori di quando sei fuso con i tuoi pensieri, così saprai quando queste tecniche potrebbero esserti necessarie per ripristinare il tuo equilibrio psicologico.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 03-Feb-2011, 00:26
Defusione Cognitiva: separa i tuoi pensieri da ciò a cui si riferiscono


Questa parte del capitolo descriverà e spiegherà numerose e differenti tecniche di defusione cognitiva. Queste tecniche non seguono necessariamente un ordine predefinito, in questo senso non insegnano un'abilità che porta un'altra abilità in una determinata sequenza. Piuttosto, sono un set di tecniche che si intrecciano e sovrappongono tra loro. I medesimi concetti possono essere ripetuti in molte tecniche diverse. Le presentiamo in questo capitolo in modo che pensiamo abbia un senso e che ti guiderà a una miglior conoscenza dei principi della defusione cognitiva.
Le tecniche di defusione non sono metodi per eliminare o gestire il dolore, sono metodi per imparare come essere presenti "qui e ora" in modo più ampio e flessibile. Immagina di appoggiare le mani davanti al viso e che qualcuno ti chieda:"Che aspetto hanno le tue mani?", tu risponderesti:"sono completamente scure". Se le allontani di qualche centimetro potrai aggiungere "sono rosa, hanno le dita e delle linee". Allo stesso modo, prendere un pò di distanza dai tuoi pensieri ti permette di vederli per quello che sono.
Il punto è rompere l'illusine del linguaggio, in modo da notare il processo del pensare (per esempio il ceare realzioni tra eventi), quando e come questo avviene, piuttosto che notare solo i prodotti di questo processo, cioè i tuoi pensieri. Quando pensi un pensiero, questo struttura il tuo mondo. Quando vedi un pensiero puoi ancora vedere come questo costruisca il tuo mondo (capisci cosa significa), ma puoi anche vedere che sei tu quello che fa la costruzione.
Questa consapevolezza ti dà un maggiore spazio per la flessibilità. E' come se tu indossassi sempre occhiali da sole con le lenti gialle e ti dimenticassi che li stai indossando. La defusione è come toglierti gli occhiali e tenerli un pò lontani dal volto, ad alcuni centimetri dal viso; in questo modo riesci a vedere come questi facevano apparire giallo il mondo, piuttosto che solo il mondo giallo.
Quando padroneggi la defusione, puoi dare un giudizio consapevole su quanto ti può aiutare a essere più flessibile nel vivere la vita che vuoi vivere. Il modo migliore per imparare a fare questo è fare esercizio, fare esercizio, e ancora fare esercizio. Non sarai in grado di rendere queste tecniche uno dei tuoi modelli di risposta comportamentale senza fare esercizio: non puoi solo leggere passivamente queste righe e sperare di "capire". Porta questa abilità con te nella tua vita ed applicale. Lascia che la tua esperienza sia la tua guida. La pratica non rende perfetti, ma rende queste abilità permanenti.
Detto questo andiamo avanti con la defusione.


Latte, latte, latte

Per iniziare, vorremmo che tu pensassi al latte. Che aspetto ha? Cosa ti sembra o ti provoca? Scrivi una serie di attributi riferiti al latte che vengono alla tua mente:

....................................................................................................

....................................................................................................

....................................................................................................

Ora guarda se riesci a sentire, a gustare il sapore del latte. Puoi farlo?
Se ci riesci descrivi che sapore ha per te come meglio riesci. Se non ci riesci forse puoi provare in quest'altro modo. Di cosa sa il latte inacidito?
Puoi assaggiarne un poco?

.....................................................................................................

.....................................................................................................

.....................................................................................................

Nonostante non ci sia neanche una goccia di latte nella tua bocca ora, la maggior parte delle persone può quasi sentirlo. Questo è un esempio di effetto della trasformazione di funzione incastonato all'interno del linguaggio umano.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 03-Feb-2011, 01:54
Esercizio: Ripeti la patola "latte" più velocemente che puoi.


Ora, ecco un semplice esercizio, vecchio di cent'anni, che è risultato molto efficace per catturare la "macchina del linguaggio".

Adesso vai in un luogo tranquillo dove non disturbi nesuno, in modo da poter davvero concentrarti nel fare l'esercizio. Quando sei a tuo agio, inizia a ripetere la parola "latte" a voce alta il più velocemente possibile da 20 a 45 secondi. Devi solo continuare a dire la parola "latte" per tutto il tempo. Ripetila più velocemente che puoi mantenendo sempre chiara la pronuncia. Cronometrati e guarda ciò che accade. Assicurati di fare l'esercizio per non meno di 20 secondi e per non più di 45 secondi. Le ricerche hanno infatti mostrato che questo è lo spazio di tempo necessario per stabilire ciò che ci siamo prefissati (Masuda et al., 2004). Inizia ora a dire: "latte, latte, latte.....".
Che sensazione ti ha provocato? Quale è stata la tua esperienza mentre ripetevi "latte" più e più volte? Ora, butta giù alcuni appunti sulla tua risposta:

.........................................................................................................

.....................................................................................................

......................................................................................................


Dopo aver detto "latte" molte volte e il più velocemente possibile cosa è successo al significato della parola? Cosa è successo alla cremosa, fresca e bianca sostanza che tu versi al mattino nella tua tazza? La parola evoca ancora l'immagine nello stesso modo in cui l'evocava prima che tu facessi l'esercizio?
Per concludere, hai notato se è successo qualcosa di nuovo? Per esempio, è cosa comune notare quanto suona strana la parola, come l'inizio e la fine della parola si mescolino insieme, o come i tuoi muscoli si muovono quando la pronunci. Se è così, annota gli effetti qui sotto:

.....................................................................................................

......................................................................................................

......................................................................................................

......................................................................................................

Per molte persone , il significato della parola inizia a decadere temporaneamente durante questo esercizio. Notare che le parole possono essere, nel loro nucleo, solo suoni e sensazioni, può essere molto difficile quando stai nuotando nel flusso del significato letterale. Per esempio, un bambino vede questi scritti che stai leggendo proprio ora come i motivi visivi che potrebbero essere su un plaid. Tu non vedi questi motivi visivi: semplicemente non puoi vederli, nel momento in cui i tuoi occhi si muovono su questa pagina continui a vedere delle parole, che ti piaccia o no. Allo stesso modo, gli adulti normalmente non sentono il linguaggio come puro suono, sentono solo parole.


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 03-Feb-2011, 09:58
Adesso proviamo qualcosa di diverso. Prendi un pensiero negativo su di te, su te stesso, che ti riguarda, che ti viene spesso in mente e riducilo ad una sola parola, più corta che puoi. Può essere qualcosa tratto dall'inventario dela tua sofferenza o dal diario del tuo dolore quotidiano e dagli esercizi associati. Qualunque cosa sia, cerca di riassumere la valutazione negativa di te stesso in una singola parola. Se riesci a ridurla a una parole di due-tre sillabe è l'ideale. Per esempio, se pensi di essere immaturo, dovresti riuscire a semplificare la nozione di immaturità a un livello più basso e ridurlo alla parola "bambino". Se hai paura che gli altri pensino che tu non sia intelligente, potresti riassumerlo nella parola "stupido", "incapace". Se ti da fastidio quando ti arrabbi con gli altri, potresti condensarlo in "prepotente" o "offensivo". Ce ne sono tante "coglione", "merda", "cattivo", "colpevole" (queste le ho aggiunte io PSICO smile.gif ).
Adesso scrivi la parola negativa che meglio ti descrive quando sei molto duro con te stesso:

..........................................................................................................


Dopo, valuterai questa parola per due caratteristiche.
In questo momeno, quanto è fastidioso o doloroso pensare che questa parola ti riguarda? 1 significa per niente e 100 significa fastidioso al massimo:

.....................................................................................................


In questo momento, quanto letteralmente vera o credibile questa parola sembra quando l'attribuisci a te stesso? 1 significa per niente credibile e 100 significa credibile al massimo:

.....................................................................................................


Adesso prendi la parola e fai esattamente ciò che hai fatto nell'esercizio con la parola "latte": pronuncia la parola rivolgendoti a te stesso ad alta voce, più velocemente possibile da 20 a 45 secondi. Di nuovo non andare al di sotto o sopra questo limite di tempo.

Inizia



Qual'è stata la tua esperienza? La parola ha avuto lo stesso impatto emotivo quando l'hai pronunciata velocemente? Come è cambiata? Se la parola non ha avuto lo stesso impatto emotivo, in che modo è cambiata?
In questo momento, quanto è fastidioso o doloroso pensare che questa parola è riferita a te? 1 significa per niente fastidioso e 100 significa fastidioso al massimo:

.....................................................................................................

.....................................................................................................

.....................................................................................................


In questo momento, quanto letteralmente vera o credibile questa parola sembra se la si riferisce a te? 1 significa per niente credibile e 100 significa credibile al massimo:

.....................................................................................................




Nelle nostre ricerche (Masuda et al., 2004) abbiamo visto che il 95% delle persone che fa questo esercizio sperimenta una riduzione della credibilità della parola scelta. Questo effetto inizia a manifestarsi attorno ai 20 secondi ( e raggiunge il suo massimo a 45 secondi), questo è il motivo per cui ti abbiamo chiesto di effettuare le ripetizioni per questa durata. Nota che tu sai ancora cosa vuol dire quella parola, ma per la maggior parte delle persone la sua funzione emotiva diminuisce. Detto in modo più tecnico, le sue funzioni derivate calano mentre diventano preminenti le funzioni dirette (per esempio come il suono). La parola è diventata (almeno in parte) solo una parola.
Fai spesso questo esercizo come anche quello del treno mentale e quelli che seguiranno da qui in avanti. fa in mdo che queste cose diventino delle tue abilità, da portare sempre insieme.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 03-Feb-2011, 21:29
LA NATURA CONDIZIONATA DEL PENSIERO



L'obiettivo dell'esercizio precedente era di auitarti a capire la natura del linguaggio. Oltre a ciò a cui si riferiscono, le parole sono anche semplicemente parole. Quando capisci che le parole sono solo parole e utilizzi questa comprensione come un esperienza e un'abilità da sviluppare diventa più semplice comprendere e modificare la relazione che lega le parole al tuo dolore e alla tua vita. Altrimenti rimani un bersaglio impotente di tutto ciò che il tuo condizionamento verbale presenta nella tua testa. Dopo tutto, sai da dove vengono tutte queste parole che la mente ti butta in testa?


Giocare il gioco delle parole

Ora facciamo un gioco. Completa le seguenti frasi con qualunque cosa ti venga in mente.

Chi dorme non piglia.....................................

Capuccetto...................................................

Ambarabà, cicci.............................................

Casa dolce....................................................


Perchè pensi di aver scritto quello che hai scritto? Non è forse perchè queste frasi fanno parte della tua storia?

Ora, vediamo se è facile eliminare l'effetto della nostra storia. Immagina che sia molto importante che la frase "Chi dorme non piglia....................................................." non evochi "pesci" o qualcosa che abbia a che vedere con i "pesci". Immagina che sia molto importante non pensare "pesci" neanche per un secondo, vediamo se è possibile. Scrivi una parola, ma assicurati che quello che ti viene in mente non abbia niente a che fare con i "pesci", mai neanche per un secondo.

Chi dorme non piglia.........................................


Ora, nota quello che ha fatto la tua mente e chiediti:

Hai eseguito il compito? (segnalalo qui)

. si

. no

Se hai segnato no, hai probabilmente osservato ciò che realmente è successo. Se hai risposto si, fermati per un minuto e chiediti com'è che hai saputo rispondere sì? Ricorda che ti abbiamo detto "è importante che tu non pensi 'pesci' neanche per un secondo". Se hai segnato sì, non hai pensato "dovrei cerchiare sì perchè ho scritto..........................
(qualunque cosa tu abbia appena scritto) e non ....ah....eh.....mmmm.....pesci"? Ma questo è esattamente pensare a "pesci"!
Il punto che vogliamo sottolineare è che una volta che la tua storia ha stabilito una rete relazionale, puoi solo lavorare su questa rete, non puoi mandarla via. Siamo creature delle nostre storie e ogni nostro momento si aggiunge a questa storia. Il nostro sistema nervoso funziona per addizione, non sottrazione. In un certo senso, una volta che abbiamo appreso le cose, queste rimangono parte di noi. Le parole riecheggiano al'interno delle reti verbali che costituiscono la nostra mente. Tipicamente stanno là. Quando cerchiamo di liberarcene ci si attacano come il nastro adesivo che abbiamo afferrato con l'intenzione di gettarlo via, ma che non se ne vuole andare.
Forse questo va bene, se le parole che riecheggiano sono come "Chi dorme non piglia pesci" (per quanto la frase possa essere stupida e stacanovista), ma il linguaggio non è sempre così innocuo.
Per esempio, completa le seguenti frasi:

Non sono una brava persona, io sono...............................................

Sono così triste che penso che farò solo............................................

La peggiore cosa di me è che io sono...............................................


Alcune di queste parole possono ferirti, ma tu sai come scriverle, l'hai appena fatto. Sono anche esse parte della tua storia e vengono fuori di tanto in tanto, spesso o addirittura sempre.
E la storia è molto facile da creare. Supponi che ti abbiano detto:"Stiamo cercando di trovarti per farti una domanda ( e noi sappiamo dove abiti). Se dai la risposta giusta, ti diamo un milione di euro sull'unghia. Tutto ciò che devi fare è ricordare che il gringo fa gnègnè. Ripeti...il gringo fa gnègnè. Non ti dimenticare questa frase. Potrebbe valere un milione di euro. Un giorno busseremo alla tua porta e ti chideremo di completare questa frase "Il grigo fa.............?" E se dici gnègnè, avrai un milione di euro! Allora, diciamolo ancora così non ti dimenticherai che il gringo fa........... Non lo dimenticare. Il gringo fa.................. Bene.
Ora, per essere sinceri, abbiamo mentito. Non c'è nessun milione di euro e non sappiamo dove abiti. Ma anche se sai che abbiamo mentito, non pensi che se magicamente bussassero alla tua porta domani chiedendoti "Il grigo fa..........? forse ricorderai cosa dire? E' probabile (se non pensi che sia così, il tuo prossimo compito è leggere venti volte in più il paragrafo precedente). E riguardo alla prossima settimana? Riuscirai a ricordarti che il gringo fa gnègnè? Forse anche a un anno da adesso? E' possibile, solo possibile, che se ti chiediamo sul tuo letto di morte di questi stupidi gringo, forse, e solo forse, potresti risponedere gnègnè.
Non è veramente sciocco? Eccoti a sprecare prezioso spazio cerebrale per il resto della tua vita, per nessun'altra ragione che l'aver letto uno sciocco esempio di come funziona il linguaggio, in un piccolo e strano schermo scritto da una persona che pensa strano e che neanche conosci.
Ma questo è il modo in cui funziona il linguaggio.
E' molto facile costruire una rete relazionale che duri per tutta la tua vita. Ma se qualcosa della tua storia ti fa male, è altrettanto facile riportarla anche questa alla mente e pure questa durerà una vita intera. Alcune parole nella tua testa potrebbero essere valutazioni negative, come "giù nel mio profondo, io ho paura di essere........................." Chissà da dove viene il resto della frase che hai appena pensato? Forse viene dai tuoi genitori, o dalla TV, o dalla scuola, o dalla parrocchia, o da un libro o semplicemente dalla logica stessa del linguaggio: ma potrebbe fare realmente una grande differenza, quando combatti con i tuoi pensieri più neri e oscuri, che tu sia capace di vedere anche le parole che ti fanno male semplicemente come parole. Latte, latte, latte...
L'esercizio di ripetere la parola latte più velocemente che puoi incrina solo per un momento l'illusione del linguaggio. Ma con la pratica e l'esercizio puoi sviluppare le abilità che ti servono per liberarti ogni singola volta che resti impigliato nella tua stessa rete condizionata di parole che ti stanno conducendo in una direzione che non funzionerà per te. Non c'è bisogno di farlo continuamente. Qualche volta la fusione cognitiva è utile. Per esempio quando paghi le tasse non c'è bisogno di ricordare che le parole sono solo parole mentre cerchi di seguire le complicate regole che servono per preparare una dichiarazione dei redditi: ma quando lotti con il dolore psicologico, hai bisogno di metodi che ti aiutino a vedere il processo del linguaggio, non solo i suoi prodotti.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 03-Feb-2011, 21:56
CHIAMARE L'ESPERIENZE PRIVATE PER QUELLE CHE SONO


Nel seguente esercizio apprenderai come dare un nome a ciascuna esperienza privata proprio mentre si manifesta. Un buon modo per iniziare l'esercizio è lasciare che i tuoi pensieri scorrano per alcuni minuti, come nell'esercizio Che cosa stai pensando in questo momento?. Poi presta attenzione a quello che sta facendo il tuo corpo. Poi, quando le tue esperienze private si manifestano, osservale comparire e fai il prossimo esercizio.

Esercizio: Dai un nome ai tuoi pensieri

Un modo che ti può aiutare a catturare pensieri, sentimenti, ricordi, e sensazioni corporee quando si manifestano, consiste nel chiamarli per quello che sono. Di a voce alta esattamente quello che stai facendo, piuttosto che semplicemente pensare il pensiero.
Per esempio se stai pensando che hai delle cose da fare più tardi, invece di dire "ho delle cose da fare più tardi", dai un nome al tipo di evento che ha appena avuto luogo:" Ho il pensiero che ho cose da fare più tardi". Se ti senti triste, notalo dicendo a te stesso:"Ho una sensazione di tristezza". I nomi dovrebbero assumere la seguente forma:

. Ho il pensiero che.......................(descrivi il tuo pensiero).

. Ho l'emozione di.........................(descrivi la tua sensazione)

. Ho il ricordo di.............................(descrivi il tuo ricordo)

. Ho la sensazione corporea di..........(descrivi la natura e la localizzazione della tua sensazione corporea).

. Noto la tendenza a.........................( descrivi la spinta a comportarti o la predisposizione a fare).


Ora sei pronto per provare di persona questo processo. Lascia scorrere le tue esperienze e chiamale appropriatamente, come e quando si presentano.

....................................................................................................

....................................................................................................

.....................................................................................................

.....................................................................................................

Questo processo ti permette di defonderti dai contenuti delle tue esperienze private. Per esempio ti accorgi che c'è una bella differenza tra le frasi "Io sono ansioso" e "Io sto avendo la sensazione di essere ansioso". Ti invitiamo ad applicare questo tipo di nomi nel tuo linguaggio interno, cioè quando parli a te stesso, e a essere rigoroso nell'applicarli per almeno una settimana. Poi usa questi nomi ogni volta che ti impegni nei tuoi stessi pensieri ed emozioni e hai bisogno di stabilire un pò di distanza. Probabilmente non vorrai parlare in questo modo agli altri perchè suona strano, ma se stanno al gioco lo puoi fare anche con loro.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 05-Feb-2011, 00:21
GUARDA I TUOI PENSIERI ANDARE E VENIRE


Hai sicuramente (spero) fatto pratica osservando i pensieri come ti vengono in testa (nell'esecizio Osserva il treno mentale).
Questa volta lo faremo in modo più ampio.


Esercizio: Le foglie che galleggiano sul fiume


E' un esercizio da fare con gli occhi chiusi, prima leggi le istruzioni e quando sei sicuro di averle capite chiudi gli occhi e fai l'esercizio.
Immagina un bellissimo fiume che si muove lentamente. L'acqua scorre sopra le pietre, attorno agli alberi, discende dalle colline e scorre lungo la valle. Ogni tanto una grande foglia cade nell'acqua e scorre via nel torrente. Immagina di essere seduto accanto a questo fiume in una giornata calda e soleggiata osservando le foglie che cadono e scorrono.
Ora diventa consapevole dei tuoi pensieri. Ogni volta che un pensiero compare nella tua testa, immagina che sia scritto su una di queste foglie. Se pensi informa di parole, mettile sulla foglia sotto forma di parole. Se pensi per immagini mettile sulla foglia sotto forma di immagini. Lo scopo è stare accanto al fiume e lasciare scorrere le foglie. Non cercare di far andare il fiume più veloce o più lento. Non cercare di cambiare in nessun modo quello che si presenta sulle foglie. Se le foglie scompaiono o se mentalmente vai da qualche altra parte o se trovi te stesso sul fiume o su una foglia, fermati semplicemente a notare ciò che è appena successo. Archiavia questa informazione e torna ancora con delicatezza davanti al fiume, guarda un pensiero comparire nella tua mente, scrivilo su una foglia e lascialo galleggiare sul fiume.
Continua per almeno 5 minuti, tieni un orologio vicino a te e prendi nota di quando cominci l'esercizio, ti sarà utile nel rispondere ad alcune domande seguenti. Se le istruzioni sono chiare, và avanti, chiudi gli occhi e fà l'esercizio.



Quanto a lungo sei riuscito a continuare prima di essere catturato da uno dei tuoi pensieri?

....................................................................................................


Se hai visto prima il fiume scorrere e poi fermarsi o se sei andato da qualche altra parte nella tua mente, scrivi che cosa è successo appena prima che questo si verificasse:

....................................................................................................

....................................................................................................

Se non hai mai avuto l'immagine mentale del fiume, scrivi cosa stavi pensando mentre non c'era:

....................................................................................................

....................................................................................................


Puoi pensare ai momenti in cui il fiume non scorreva come a momenti di fusione cognitiva mentre i momenti in cui il fiume scorreva sono momenti di defusione cognitiva. Molte volte noi ci fondiamo con un pensiero senza esserne nemmeno consapevoli. I pensieri di questo esercizio possono essere particolarmente "appiccicosi". Se hai pensato "non lo sto facendo correttamente" o "questo esercizio non fa per me" anche questi sono pensieri con i quali ti puoi fondere facilmente. In molti casi non riesci a notarli come pensieri. Altri pensieri particolarmente appiccicosi sono i pensieri emozionali, comparativi, temporali, o causali.

Puoi ripetere questo esercizio regolarmente per vedere se nel tempo migliori nel lasciare che il fiume semplicemente scorra.

Inviato da: bekkoblu il Sabato, 05-Feb-2011, 00:28
un piccolo OT: immagino che molti prima di me lo abbiano fatto, ma volevo ringraziarti per la tua disponibilita', la tua pazienza (postare tutte 'ste cose non è proprio una cosa veloce) e soprattutto per il fatto che, pur essendo uscito dai tuoi problemi, non dimentichi chi uesti problemi li ha ancora..grazie ancora

Inviato da: bekkoblu il Sabato, 05-Feb-2011, 00:28
un piccolo OT: immagino che molti prima di me lo abbiano fatto, ma volevo ringraziarti per la tua disponibilita', la tua pazienza (postare tutte 'ste cose non è proprio una cosa veloce) e soprattutto per il fatto che, pur essendo uscito dai tuoi problemi, non dimentichi chi uesti problemi li ha ancora..grazie ancora

Inviato da: miki_70 il Sabato, 05-Feb-2011, 01:00
PENSIERI ED EMOZIONI COME OGGETTI



Quando guardi un oggetto è abbastanza evidente che esiste una distanza tra te e l'oggetto. Quando le emozioni e i pensieri sono proprio su di te, è difficile vederli e fare loro spazio. Può essere d'aiuto portare pensieri ed emozioni dolorose nella stanza, in modo da vederli chiaramente e capire se è necessario combatterci.


Esercizio: Descrivere pensieri ed emozioni


Scegli uno degli item dolorosi che hai annotato nell'Inventario della tua sofferenza, o nel Diario del tuo dolore quotidiano, prendi un minuto per entrare in contatto esperenziale con esso. Ora nella tua immaginazione metti quell'item doloroso fuori sul pavimento di fronte a te, a un paio di metri di distanza (stai tranquillo/a che non lo lasceremo là fuori, poi ti insegneremo come riportare di nuovo dentro di te l'esperienza dolorosa). Quando l'hai messa là fuori, rispondi alle seguenti domande che la riguardano (ad ogni domanda chiudi gli occhi ed immagina):


Se avesse un colore. che colore avrebbe?...........................................

Se avesse una dimensione, quanto sarebbe grande?...........................

Se avesse una forma, che forma avrebbe?..........................................

Se aveese un potere, quanto sarebbe potente?...................................

SE avesse una velocità, quanto andrebbe veloce?.................................

Se avesse una superficie, come sarebbe al tatto?.................................


Ora guarda questo oggetto: è la manifestazione simbolica del tuo dolore fuori dalla tua mente. Guarda se puoi lasciar perdere di lottare con "lui". Questa cosa, con questa forma, colore, superficie e così via deve essere qualcosa che non puoi avere? Che cosa c'è, realmente, in questa esperienza che pensi che pensi di non potere avere così com'è?
Questa creatura deve essere tua nemica? Dopo tutto, questa povera cosa non ha altro luogo in cui andare.
Ora prenditi alcuni minuti e scrivi qui sotto alcune delle impressioni sulla tua "creatura" del dolore. Nota in particolare ogni pensiero o emozione a riguardo, e vedi se riesci a fare progressi nel lasciar perdere la tua lotta con essa.

.....................................................................................................

.....................................................................................................

Se ti accorgi di provare un senso di resistenza, lotta, disgusto, giudizio e così via riguardo a questa creatura del dolore, lasciala là fuori (a due metri da te) ma sopstala da una parte. Ora trova il tuo senso di resistenza e quando lo trovi mettilo di fronte a te, vicino alla creatura del dolore. Quando l'hai messo là fuori, rispondi alle seguenti domande che lo riguardano (leggi la domanda, chidi gli occhi ed immagina):

Se avesse un colore, che colore avrebbe?............................................

Se avesse una dimensione, quanto sarebbe grande?............................

Se avesse una forma, che forma avrebbe?...........................................

Se avesse un potere, quanto sarebbe potente?...................................

Se avesse una velocità, quanto andrebbe veloce?.................................

Se avesse una superficie, come sarebbe al tatto?.................................


Ora guarda questo secondo oggetto: è la manifestazione simbolica della tua resistenza.
Vedi se puoi mollare la lotta con lei. Mollare non significa cedere alla lotta, significa fare l'esperienza che questo oggetto simbolico ha questa forma, colore, superficie e così via.
C'è qualche cosa in questa esperienza che stai avendo che pensi di non poter sopportare di avere? Questa creatura della resistenza deve essere tua nemica? Puoi accettarla come un'esperienza privata che qualche volta hai? Dopo tutto anche questa povera cosa non ha altro luogo in cui andare.
Se riesci ad interrompere questo tiro alla fune con questo secondo oggetto, dà una sbirciatina al primo. Sembra diverso nella taglia, forma, colore e così via? se è così scrivi qui sotto cosa hai notato:

.....................................................................................................

......................................................................................................

Quando sei pronto riportali entrambi indietro dentro di te, uno alla volta. Cerca di farlo in modo amorevole, nel modo in cui accoglieresti in casa i tuoi bambini quando arrivano sporchi, puzzolenti, e stanchi dopo una lunga giornata. Non è necessario che ti piaccia il modo in cui si presentano o odorano per accoglierli nuovamente in casa: non avrebbero altro posto in cui andare.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 05-Feb-2011, 01:26
QUOTE (bekkoblu @ Venerdì, 04-Feb-2011, 23:28)
un piccolo OT: immagino che molti prima di me lo abbiano fatto, ma volevo ringraziarti per la tua disponibilita', la tua pazienza (postare tutte 'ste cose non è proprio una cosa veloce) e soprattutto per il fatto che, pur essendo uscito dai tuoi problemi, non dimentichi chi uesti problemi li ha ancora..grazie ancora

Non sò se gli esercizi vengono svolti laugh.gif
sono strani ma importanti. Io li ho fatti e sono utilissimi.
Comunque ti ringrazio per la visita PSICO smile.gif

Inviato da: SOL il Sabato, 05-Feb-2011, 15:43
Ciao Miki,
sto aiutando mia madre ad accettare che gran parte dei suoi disturbi derivano dall'ansia.
Il dolore al petto che non si placa la fa andare alla ricerca di un male che non c'è.
Tutti esami senza riscontri negativi.
E allora gli ho suggerito di distrarsi,accettare la situazione e incominciare a fare qualcosaltro anzichè stare insieme al dolore.
Poi un giorno mi è venuta un'idea.
Ho cercato qualcuno da cui prendere informazioni.
Ho iniziato a stampare alcuni dei tuoi post,li ho riletti mentre ero al letto e ho incominciato a farne un riassunto.
Li ho regalati a mia madre e le ho detto di leggerli un pò alla volta.
Inoltre dopo 40 anni sono riuscito a dirle ti voglio bene.
Non è che ci fossero problemi tra noi,sappiamo che ci vogliamo bene,ma non lo avevamo mai detto.
Ho imparato a essere più libero nell'esternare le mie emozioni.
Mia madre migliora.
Anche grazie a te


Inviato da: miki_70 il Domenica, 06-Feb-2011, 02:18
QUOTE (SOL @ Sabato, 05-Feb-2011, 14:43)
Ciao Miki,
sto aiutando mia madre ad accettare che gran parte dei suoi disturbi derivano dall'ansia.
Il dolore al petto che non si placa la fa andare alla ricerca di un male che non c'è.
Tutti esami senza riscontri negativi.
E allora gli ho suggerito di distrarsi,accettare la situazione e incominciare a fare qualcosaltro anzichè stare insieme al dolore.
Poi un giorno mi è venuta un'idea.
Ho cercato qualcuno da cui prendere informazioni.
Ho iniziato a stampare alcuni dei tuoi post,li ho riletti mentre ero al letto e ho incominciato a farne un riassunto.
Li ho regalati a mia madre e le ho detto di leggerli un pò alla volta.
Inoltre dopo 40 anni sono riuscito a dirle ti voglio bene.
Non è che ci fossero problemi tra noi,sappiamo che ci vogliamo bene,ma non lo avevamo mai detto.
Ho imparato a essere più libero nell'esternare le mie emozioni.
Mia madre migliora.
Anche grazie a te

Non ringraziare me, SOL. Ringrazia te stesso. E' un bel gesto quello che hai donato a tua madre. Dire "ti voglio bene" senza pretendere nulla ti mette in contatto con le tue paure, riconoscendole ed accettandole.
Tutti gli scritti che leggi non sono miei, ma frutto di anni di letture, ricerche, riflessioni e considerazioni. Un giorno andando alla ennesima visita psichiatrica mi son detto:" francamente mi son rotto di andare a far visite, ed arrivederci il prossimo mese, per il controllo". Mi son chiesto:"ma che cavolo ho? Posso capire e conoscere di cosa soffro? Come funziona la mia malattia? Cosa la scatena? Cosa la mantiene in vita? Cosa posso fare per migliorare il mio stato?"
Da allora sto molto meglio, anzi, sto benissimo. Dopo 15 lunghi anni di sofferenza.
Ricordati, tutti mettono in atto delle difese,ed in quei tutti ci sono veramente tutti. Anche i nostri genitori. Tutti. Fino a quando non ci si toglie l'armatura, le cose non cambiano.
L'evitamento delle proprie paure è alla base di tutto. Più le evitiamo e più stiamo male. Possiamo trovare un punto di contatto con loro? Credo proprio di si!

PSICO smile.gif

Inviato da: SOL il Domenica, 06-Feb-2011, 09:28
Si vede che stai benissimo,sembra che hai messo le ali
Hai una marcia in più e si legge dall'entusiasmo che metti nell'aiutare gli altri.
Lunga vita a Miki!

Inviato da: miki_70 il Domenica, 06-Feb-2011, 16:37
UNA VARIETA' DI VOCALIZZAZIONI


Gli esercizi di defusione a volte possono essere divertenti. Quando ci diciamo cose come "sono così stressato che sento che sto per esplodere" o "sono una persona cattiva" o "non valgo niente" o "non merito di esistere" o "non ce la faccio", etc. può essere d'aiuto defondersi da questi pensieri cambiando il normale contesto nel quale essi si presentano. Fatti al momento giusto, questi approcci divertenti possono essere enormemente liberatori. Ecco qualche esempio:


Dillo molto lentamente

Cerca di dire i tuoi pensieri preoccupanti o le tue sensazioni molto lentamente. Immagina come suonerebbe un 45 giri suonato a 33. Una sillaba per respiro è la velocità giusta: per esempio se sei intrappolato nel pensiero:"Io sono una cattiva persona" allungalo e di a te stesso la parola "Io" mentre inspiri, "sono" mentre espiri, "una" mentre inspiri, "cat-" nell'espirazione sucessiva, "-ti" nell'inspirazione sucessiva, "-va" nell'espirazione sucessiva, "per-" nell'inspiraziona sucessiva, "-so-" nell'espirazione sucessiva, "-na" nell'ultima inspirazione.


Dillo con una voce diversa

Un'altra cosa che puoi fare è dire il tuo pensiro a voce alta con una voce diversa. Per esempio se il tuo pensiero è "Io sono una nullità, non sono capace di fare nulla di buono", prova a dirlo con una voce molto bassa, o molto alta,puoi dirlo con la voce di Topolino o di Pavarotti. Puoi scegliere la voce del politico che ti piace meno PSICO-asd.gif . Ogni voce a cui riesci a pensare va bene, funzionerà. L'obiettivo non è necesariamente il modo in cui ti senti rispetto al tuo pensiero, ma rendersi conto che sono pensieri e quello che fai con loro dipense da te, non solo dalla tua macchina dei pensieri.

Crea una canzone

Cerca di inventare una canzone dei tuoi pensieri dificcili. Puoi prendere una melodia di una canzone famosa o che ti piace e adattarla o farne una tua. Canta con voce forte e piena "la mia mente è viva con i pensieri della mia tristezza".
Ogni canzone dei tuoi pensieri che riesci ad inventare va bene. Non fare questo per ridicolizzare, ironizzare, o criticare i tuoi pensieri, semplicemente nota mentre canti il "testo" che questi sono pensieri.


Cattive notizie alla radio

Immagina che la tua mente negativa sia una stazione radio e poi pronuncia con una voce da annunciatore radio:" Questa è la radio delle cattive notizie! Siamo quì tutti i giorni, 24 ore su 24. Solo cattive notizie. Tutto il tempo. Questa è la radio delle cattive notizie! Notizia flash (pronuncia il tuo nome) è una persona cattiva, che non vale niente! Una persona che pensa di non essere così buona come dovrebbe essere? Maggiori aggiornamenti alle ore 11".
Continua a "riportare" in questo modo qualsiasi cosa si presenti (se ogni tanto si presenta qualcosa di positivo puoi riportare anche quello, ma l'annunciatore potrebbe essere un pò seccato: dopotutto "Questa è la Radio delle cattive notizie! Solo cattive notizie! Tutto il tempo!).
Ti daremo altre idee per molti altri esercizi simili e alla fine potrai crearne qualcuno tu stesso. Hanno tutti lo stesso obiettivo: aiutarti a prendere al volo la macchina delle parole, piuttosto che rimanere impigliato nel mondo apparentemente costruito da essa.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 06-Feb-2011, 21:20
Descrizioni vs. valutazioni



Poichè i nostri pensieri sono così pervasivi, tendiamo a collocarli come parte del mondo esterno, dimenticandoci che lo abbiamo fatto, e poi ci sentiamo oppressi dal mondo esterno che abbiamo inconsapevolmente costruito. Un buon modo per rompere questo ciclo è apprendere a notare la differenza tra descrizioni e valutazioni.
Le descrizioni sono verbalizzazioni legate agli aspetti direttamente osservabili e alle caratteristiche degli oggetti o degli eventi. Questi aspetti o caratteristiche sono Attributi primari di un oggetto o di un evento, ovvero, non dipendono dalla storia personale e unica; rimangono aspetti dell'evento o dell'oggetto indipendentemente dalla nostra interazione con essi. Per esempio:

Questo è un tavolo di legno (i tavoli sono duri, solidi, hanno quattro o più gambe, etc; questo particolare tavolo è fatto di legno.)
Mi sento ansioso e il mio cuore sta battendo forte (l'ansia consiste in certe emozioni, sensazioni e senso di urgenza; questa volta comprende un battito del cuore accelerato).
Il mio amico sta urlando forte con me (lui/lei sta urlando e la voce è forte).

Le valutazioni sono le nostre reazioni agli eventi o ai loro aspetti; noi possiamo confrontare e paragonare gli eventi e assegnare un'etichetta valuatativa (come buono o cattivo, piacevole o spiacevole, sopportabile o insopportabile, maleducato o cortese, autoritario o permissivo, e così via). Le valutazioni sono attributi secondari. Gli attibuti secondari ruotano attorno alle nostre interazioni con gli oggetti, gli eventi, i pensieri, le emozioni e le sensazioni corporee. Per esempio:

Questo è un buon tavolo (buono è nella mia interazione con il tavolo, non è nel tavolo).

Quest'ansia è insopportabile (insopportabile è nella mia interazione con l'ansia, non è nell'ansia).

Il mio amico è ingiusto perchè mi urla (ingiusto è nella mia interazione con l'urlare, non è l'urlare).

Molta delle nostra sofferenza viene dal confondere le valutazioni con le descrizioni. Molto spesso crediamo che le nostre opinioni valutative siano proprietà primarie e così che esse siano descrizioni. Infatti, quando noi esaminiamo le nostre valutazioni più da vicino, iniziano a "puzzare" un pò.


Esercizio: Esplorare le differenze tra le descrizioni e le valutazioni

In questo esercizio vorremmo che provassi a distinguere tra descrizioni (attributi primari) e valutazioni (attributi secondari). Quando abbiamo a che fare con gli oggetti esterni, è abbastanza semplice notare la differenza tra questi due tipi di proprietà perchè, se tu scomparissi, le proprietà secondarie scomparirebbero anche loro, le proprietà primarie no. Se non ci fossero creature viventi nell'universo, cosa accadrebbe al "buono" del tavolo buono? Se ne andrebbe. Cosa accadrebbe alla parte "di legno" del tavolo di legno? Sarebbe ancora di legno. Diventa un pò più difficile quando si discute del tuo esistere interno perchè questa regola non funziona, ma se facciamo un pò di pratica con gli oggetti esterni, possiamo fare lo stesso con i nostri pensieri ed emozioni. Così cominciamo con qualche oggetto tangibile.
Ora, elenca qualche attributo di un albero:

Attributi primari (foglie, colori, etc.).....................................................

......................................................................................................

Attributi secondari (brutto, inquietante, bello, etc.)................................

......................................................................................................


Elenca qualche attributo di un film che hai visto recentemente.

Attributi primari (lungo 90 minuti, Jessica Alba era l'attrice principale, etc.)
................................................................................................

......................................................................................................

Attributi secondari (noioso, eccitante, troppo lungo, Jessica Alba è sexy, etc).
......................................................................................................

......................................................................................................


Elenca qualche attibuto di un amico che ti è molto vicino.

Attributi principali (altezza, colore dei capelli, etc.)................................

......................................................................................................

Attributi secondari (intelligente, stupido, bello, brutto, buono, cattivo, etc.)
......................................................................................................

......................................................................................................


Ora cerca di vedere la differenza fra gli attributi primari e secondari della tua esperienza emotiva.
Per prima cosa annota la tua emozione dolorosa:................................

......................................................................................................


Ora elenca gli attributi di questa esperienza, proprio nel modo in cui hai fatto sopra. Ricorda che gli attributi primari sono le qualità dirette dell'esperienza, mentre gli attributi secondari sono i modi in cui tu giudichi o valuti l'esperienza. Per esempio le persone che hanno un attacco di panico potrebbero elencare l'aumento dei battiti cardiaci e la testa leggera come attributi primari dell'esperienza, e potrebbero elencare "questa è stata la peggiore esperienza della mia vita" come un attributo secondario dell'attacco.

Attributi primari:...............................................................................

......................................................................................................

......................................................................................................

Attributi secondari:............................................................................

.....................................................................................................

......................................................................................................


La capacità di distinguere tra le descrizioni e le valutazioni dovrebbe permetterti di riconoscere quando la tua mente sta regiztrando o notando la tua esperienza attuale e quando sta dando i suoi giudizi su questa esperienza. Puoi amplificare questa distinzione aggiungendo al tuo elenco "da un nome ai pensieri" tratto dall'esercizio Dai un nome aituoi pensieri in questo capitolo.
Per esempio tu potresti dire:" Io sto avendo la valutazione che l'ansia è cattiva", oppure "sto valutando che l'ansia di stamattina è forte", etc.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 06-Feb-2011, 23:12
QUALCHE TECNICA DI DEFUSIONE IN PIU'


Ciò che segue è un'ulteriore serie di tecniche di defusione correntemente impiegate dai terapeuti ACT, come puoi vedere ce ne sono diverse. Inoltre questo è un piccolo campione perchè ogni giorno ne vengono costruite nuove. Quando comprendi i principi della defusione cognitiva puoi crearne facilmente tu stesso.
Infatti questo è ciò che stiamo preparando a fare per aiutarti a crearle.
Ti forniamo qui la lista per due ragioni. Per prima cosa, potresti essere in grado di applicare qualcuna di queste tecniche alla tua vita ed esercitare ulteriormente la pratica della defusione cognitiva. La seconda ragione è mostrarti quante ce ne sono e quante se ne possono creare.

Esempi:


La mente

Tratta la "mente" come un evento esterno, quasi come fosse un'altra persona (per esempio:"Bene, ecco di nuovo la mia mente" o "La mia mente si sta preoccupando di nuovo").

Apprezzare la mente

Ringrazia la tua mente quando ti accorgi che si oppone con preoccupazione e pareri; mostra apprezzamento per i suoi prodotti (per esempio " Stai facendo un gran lavoro oggi preoccupandoti! Grazie per l'imput!"). Questo non è sarcasmo.....dopotutto la macchina del linguaggio sta facendo esattamente quello per cui è stata progettata diversi millenni fa: risolvere problemi ed evitare pericoli.

Impegno all'apertura

Se ti accorgi che inizi a combattere con le tue esperienze interiori quando emergono contenuti negativi, chiediti se questa negatività è accettabile, e prova a rispondere di sì.

Notare semplicemente

Usa il linguaggio dell'osservazione (per esempio notare) quando parli delle esperienze private. Per esempio, "così, sto semplicemente notando che in questo momento mi sto giudicando".

"Credere ai pensieri

Usa un linguaggio attivo per distinguere tra i pensieri che semplicemente ti vengono in mente e i pensieri a cui invece credi, per esempio, "Forse sto credendo al pensiero che sono cattivo".

Mente pop-up

Immagina che il tuo chiachiericcio negativo sia come un pop-up pubblicitario di internet.

Chiamata del diavoletto

Immagina che il tuo chiachiericcio negativo sia come una chiamata sul cellulare che non puoi spegnere (per esempio, "Pronto. Questa è la tua mente che ti parla. Ti sei accorto che ti devi preoccupare?").

Ricerca di esperienze

Cerca apertamente altro materiale, specialmente se è difficile. Se la tua mente ti dice di non fare qualcosa che ti spaventa ma che è importante, ringrazia la tua mente per il grande suggerimento e fai la cosa difficile con gusto.

Portalo là fuori

Scrivi un giudizio negativo da cui tu sei pronto a defonderti (per esempio:meschino, mediocre, stupido, arrabbiato, non amabile, etc.) e mettilo su un'etichetta e indossala. Non spiegarlo a nessuno per un pò..........sempliceente senti come ci si sente ad averlo lì fuori).

Maglietta-mente

Immagina che i tuoi giudizi negativi da cui sei pronto a defonderti siano scritti a grandi lettere sulla tua T-shirts. Se ti senti particolarmente coraggioso fallo veramente!

Pensa l'opposto

Se la tua mente sta fermando un'azione, esercitati di proposito a fare un comportamento mentre provi a comandare il suo opposto. Per esempio alzati e inizia a camminare dicendo "non posso muovermi mentre leggo questa frase!".

I pensieri non sono cause

Se un pensiero sembra essere una barriera per un'azione, chiediti:" E' possibile pensare questo pensiero come a un pensiero e fare x?". Verificalo attivamente pensando di proposito il pensiero mentre fai quello che il pensiero aveva fermato.

Mostri sull'autobus

Tratta gli eventi privati spaventosi come mostri su un autobus che stai guidando. Vedi se può andar bene semplicemente continuare a guidare piuttosto che fare ciò che dicono di fare o provare a farli scendere.

Chi è che comanda qui?

Tratta i pensieri come dei bulli, usa un linguaggio colorito. Di chi è questa vita dopotutto? Della tua mente o tua?

Quanto è vecchio questo? E' questo semplicemente come te?

Quando sei dentro un pensiero, torna per un momento indietro e chiediti:" Quanto è vecchio questo schema?" o "Questo è come me?"

E questo è al servizio di che cosa?

Quando sei dentro un pensiero, torna per un momento indietro e chiediti:" Questo pensiero è al servizio di che cosa? Mi è utile?". Se non è al servizio di ciò che è importante per te, smetti di "credere" al pensiero.

Va bene, hai ragione, e adesso?

Se stai lottando per essere nel "giusto", anche se questo non ti aiuta ad andare avanti, considera che il Presidente della Repubblica o il Papa abbiano decretato che "hai ragione".
Ora chiediti:"Quindi, adesso? Che cosa posso fare io realmente per creare una vita più vicina a quello che è importante per me, da qui? e con tutto che ho ragione?.

Esci dai tuoi "ma"

Sostituisci gli usi autoreferenziali di "ma" con "e". Per esempio:"voglio andare in ufficio "ma" sono stanco" con "Io voglio andare in ufficio "e" sono stanco".

Perchè, perchè

Se ti accorgi che le tue "ragioni per cui" si stanno ingarbugliando, chiediti ripetutamente perchè l'evento c'è e perchè funziona nella maniera in cui funziona, fino a quando non fai davvero fatica a rispondere. Può aiutarti a dimostrare come la storia sia superficiale, futile, e come l'evitamento esperenzile crei il dolore per assenza.
Per esempio "non posso farlo", "perchè?", "mi sento ansioso". "e perchè questo significa che non puoi farlo?, "Ahh!... non lo so".

Creare una nuova storia

Se ti accorgi di essere impigliato in una storia "logica" ma triste sulla tua vita e sul perchè le cose sono come sono, scrivi questa storia normale, poi prendi tutte le descrizioni di fatti e scrivi gli stessi identici fatti in una storia differente. Ripeti fino a qundo ti senti più aperto a nuove possibilità con la tua storia.

Che cosa vorresti essere di più?

Se stai lottando per essere nel "giusto", anche se questo non ti aiuta ad andare avanti, chiediti, "Cosa vorrei essere di più? Nel giusto, o vivo e vitale?".

Prova a non pensare x

Scegli un pensiero da non pensare e poi nota che lo pensi.

Trova qualcosa che non può essere giudicato

Se ti accorgi di essere impigliato in giudizi negativi, guardati attorno nella stanza è nota come ogni cosa può essere giudicata negativamente se scegli di farlo. Allora perchè tu dovresti essere diverso? Questo è semplicemente quello per cui la mente si è evoluta.

Come ha funzionato questo per me?

Quando sei dentro un pensiero, torna per un mometo indietro e chiediti, "Come ha funzionato questo per me? e se non ha funzionato chiediti "Da cosa dovrei farmi guidare, dalla mia mente o dalla mia esperienza?".

Porta i biglietti

Scrivi pensieri difficili su tre biglietti 3 x 5 e portali con te. usa questa pratica come una metafora dell'abilità di portarti la tua storia senza perdere la tua abilità di controllare la tua vita.

Porta le tue chiavi

Assegna pensieri ed esperienze difficili alle tue chiavi. Poi pensa il pensiero come un pensiero ogni volta che maneggi le tue chiavi. Porta le tue chiavi e i tuoi pensieri.


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 07-Feb-2011, 21:33
Creare le proprie tecniche di defusione


Se hai fatto il lavoro e fatto le tecniche proposte in questo capitolo fino a comprendere la defusione cognitiva, dovresti essere in grado di creare le tue tecniche personali. Riuscire a fare questo rafforzerà la tua capacità di usare la defusione cognitiva come desideri.
Inizia con un pensiero con cui stai lottando. Annotalo:

..........................................................................................................

..........................................................................................................

Ora immagina un contesto in cui queste stesse parole non siano qualcosa a cui credere o non credere, ma soltanto qualcosa che potresti notare. Per esempio, quando è più probabile che tu legga, senti o ascolti parole senza lottare con il loro contenuto? Quando è più probabile che tu legga, senti o ascolti parole con divertimento o senza che la loro verità letterale sia un grosso problema? Annota qualche esempio ( per esempio, quando leggo storie su Novella 2000, quando ascolto un comico, quando ascolto musica, etc.):

......................................................................................................

......................................................................................................

Ora costruisci una tecnica di defusione che leghi il pensiero con cui stai lottando con la tua risposta all'ultima domanda. Descrivi come potresti pensare (annota il pensiero problematico) in questo modo (per esempio, nel modo in cui Novella 2000 si occuperebbe di questo pensiero, o nel modo in cui un comico tratterebbe questo pensiero):

.....................................................................................................

.....................................................................................................

.....................................................................................................

Ora, utilizziamo queta tecnica. Porta alla mente il problema e provaci seriamente. Non ti fermare fino a quando non sei sicuro di averlo fatto abbastanza a lungo da poterne valutare l'impatto.

Scrivi cosa è successo quando hai fatto questo:

.....................................................................................................

.....................................................................................................

.....................................................................................................

Dopo che hai usato la tecnica:

. Eri maggiormente in grado di vedere il pensiero come un pensiero?

. La credibilità del pensiero è diminuita?

. Lo stress causato dal pensiero è diminuito?

Se hai due o più risposte no, provala ancora una volta. Se hai ancora due o più risposte no questa non è una tecnica di defusione efficace per te.
Prova ancora e sviluppa qualcosa di diverso. Se hai la maggior parte (in particolare le prime due), o tutte le risposte si, stai esercitando la defusione.


Quando usare la defusione

Non ci accorgiamo della fusione perchè è dapertutto, sempre, applicata a ogni cosa e inarrestabile. Qui ci sono alcuni indizi che ti indicheranno quando sei fuso con i tuoi pensieri:

. i tuoi pensieri ti suonano vecchi, familiari e privi di vita;

. ti immergi nei tuoi pnsieri e il mondo esterno scompare per un pò;

. senti la tua mente paragonante e giudicante;

. sei mentalmente altrove o in altro tempo;

. la tua mente ha un aria molto "giusto e sbagliato";

. la tua mente è indaffarata o confusa;

Se non ti stai comportando al meglio ed è presente uno qualsiasi di questi indizi, guarda se c'è un pensiero con cui sei fuso e, se riesci a trovarlo, usa una delle tue tecniche di defusione.
Il prossimo passo del processo sarà quello di imparare come mantenere un atteggiamento consapevole verso i tuoi pensieri, le tue emozioni e le tue sensazioni fisiche. I prossimi due capitoli ti insegneranno che cosa è la consapevolezza (mindfulness) e come stare a contatto con il momento presente.

p.s. Io dei miei pensieri negativi ne ho fatto una canzone PSICO-asd.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 08-Feb-2011, 21:37
SE IO NON SONO I MIEI PENSIERI ALLORA CHI SONO?


In alcuni contesti i pensieri possono intrappolarti, per esempio quando prendi alla lettera (accettando "Io sono una persona ansiosa" come letteralmente vero, senza realizzare che questo è solamente un pensiero), quando li utilizzi per dare spiegazioni del tuo comportamento ("Sono un ansioso perchè nell'infanzia ho avuto delle esperienze che mi hanno portato ad essere ansioso"), o quando li utilizzi come strategie di controllo emozionale ("Devo liberarmi dell'ansia prima di poter vivere come voglio").
Le tipologie di pensiero più intrappolanti, quando si presentano nel contesto sbagliato, sono le valutazioni e le concettualizazioni su se stessi. Ti ricorderai che le concettualizazioni di sè e le valutazioni sono due modi di pensare particolarmente fusi. Le valutazioni sono giudizi soggettivi che facciamo degli eventi interni ed esterni: esse sono particolamente problematiche perchè portano quasi immediatamente a inutili forme di evitamento.
Per questo, raggiungere l'obiettivo dell'accettazione non è possibile quando la fusione cognitiva domina i processi di pensiero. Certo ricorderai che la fusione cognitiva domina i processi di pensiero. Certo ricorderai che la fusione cognitiva si riferisce alla tendenza a guardare dai tuoi pensieri piuttosto che guardare i tuoi pensieri. Quando sei impegnato nella fusione cognitiva, prendi le affremazioni della tua mente come verità letterali e assolute, senza nemmeno essere consapevole che queste affermazioni sono il prodottodi un continuo processo di pensiero in atto.


Prendere in considerazione le tue concettualizzazioni su di te

Le concettualizzazioni di sè sono affermazioni che la tua mente fa su di te come persona e che tu prendi implicitamente come verità assolute. Le concettualizzazioni di sè sono problematiche per un motivo leggermente differente, perchè accrescono la rigidità psicologica.
Per esempio, considera le seguenti affermazioni. Per favore inserisci negli spazi sottostanti qualsiasi risposta ti venga in mente. Se desideri dare più di una risposta sei libero di farlo.

Io sono una persona che è................................................................

Io sono una persona che non è.........................................................

La parte che io preferisco di me è......................................................

La parte di me che meno preferisco è che............................................

Io ho sbagliato perchè altre persone hanno.........................................

Io sono una persona che non è capace di............................................


Prendi una delle tue risposte negative. Concentrati su di essa. Ora immagina che possa avvenire un miracolo e che, senza nessun bisogno di cambiamento nella tua storia e nelle circostanze esterne, questo problema possa semplicemente sparire mentre tu continui a vivere la tua vita. Per esempio, supponi di avere scritto la parola "un agorafobico" in risposta alla frase "Io sono una persona che è .......". Se improvvisamente quella agorafobia scomparisse, senza dover vivere una storia diversa, o essere una persona diversa, o vivere in un contesto di situazioni diverse, chiediti:" Chi ha sbagliato in questa storia?".
Se la domanda non ha senso per te, siediti e pensaci sopra qualche minuto. Poi chiediti nuovamente:"Chi sbaglia?"







Riesci a vedere quanto sei coinvolto, quanto investi, nelle tue etichette, nelle tue storie e nelle tue ragioni? Anche se detesti l'etichetta (per esempio, magari odi l'idea di essere un agorafobico), se l'applichi a te stesso o al tuo comportamento in un modo fuso, hai fatto un investimento su quell'etichetta. Se l'evidenza e i fatti sostengono il suo utilizzo, quanto meno hai ragione, sei nel giusto. In modo perverso, questo significa anche che la tua mente investe segretamente affinchè le cose rimangano rigidamente sempre le stesse, anche se adesso stai soffrendo terribilmente.
Il problema con l'identificarsi con ogni singolo aspetto di chi sei tu è che una volta che rimani attaccato a quel particoloare aspetto della tua identità, cominci a vedere in modo distorto il mondo anche solo per confermare questa visione di te stesso. Questo è vero sia per gli aspetti positivi che per quelli negativi. Per esempio, supponi di aver detto "sono gentile" in risposta alla domanda "La parte che preferisco di me è che.......". Va bene, ma tu sei sempre gentile? Dovunque? Con chiunque?......Bugiardo!
Gli esseri umani sono complessi. Ogni volta che dici "Sono x", semplicemente non dici tutta la verità, non è possibile. Sicuramente ci sono volte in cui sei x, o non lo sei stato. Non importa se x è postivo o negativo. Se ha scritto "Io sono una persona ansiosa", sicuramente puoi pensare ad almeno un momento in cui non sei stato ansioso, ma nota come ti senti quando ti accorgi che x non è vero al 100%. Per la maggior parte di noi, notare questo porta a un senso di inquietudine.
Questa inquietudine non proviene solamente dall'esserci "sbagliati", proviene anche dal bisogno di sapere chi siamo. Considera ancora una delle concettualizzazioni negative di te stesso che hai scritto. Concentrati su di essa. Adesso, utilizzando le tecniche di defusione che hai imparato, distanzia te stesso completamente dal contenuto di questa concettualizzazione negativa su di te, ovvero, defonditi dal tuo pensiero e guardalo con una postura consapevole. Osservalo senza giudicarlo.
Per fare questo, puoi utilizzare una qualsiasi delle tecniche fornite precedentemente. Per esempio, supponi di aver scritto la parola "depresso o ansioso" in risposta alla frase "Io sono una persona che è......" e supponi di trovarti bene a considerare i tuoi pensieri come pensieri, riconoscerli, e a permettere a essi di galleggiarsene via. In questo caso, utilizza questi metodi con questo pensiero, come per esempio "Sto avendo il pensiero che io sono una persona depressa. Grazie del pensiero, mente!". E poi lascialo galleggiare come una foglia sul fiume, come hai fatto con l'esercizio delle foglie.
Se riesci a farlo, prosegui allo stesso modo con alcune delle sue implicazioni e potresti riuscire a vedere dove emergono altre forme di rigidità e attaccamento. Supponi di essere defuso da tutte le categorie di auto-concettualizzazione. Supponi che ognuna delle concettualizzazioni di te fatte sopra (e tutte le miriadi di altre varianti che possono essere evocate da altre domande) siano semplicemente dei pensieri in divenire. Niente di più e niente di meno. Se così fosse, allora c'è qualcos'altro che deve essere affrontato.
Una volta abbiamo lavorato con un paziente ansioso che si stava defondendo da tutte le auto-concettualizzazioni, una dopo l'altra. La maggior parte delle sue concettualizzazioni erano estremamente negative, e mentre proseguivamo in questo lavoro, l'atmosfera nella stanza iniziava ad alleggerirsi mentre il paziente lasciava andare il suo attaccamento a una auto-valutazione temuta dopo l'altra.
Dopo un pò di tempo tuttavia, man mano che facevamo progressi, l'umore cambiò. Il paziente cominciò a piangere. Infine chiese con una voce timorosa:" Se io non sono i miei pensieri, allora chi sono?". Era come se stesse morendo e, in un certo senso, era così.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 09-Feb-2011, 20:00
I tre sensi di sè

In accordo con la teoria del linguaggio che è alla base dell'ACT, ci sono almeno tre sensi di sè che emergono dalle nostre abilità verbali; il sè concettualizzato, il sè come processo continuo di auto-consapevolezza e il sè che osserva (Barnes-Holmes, Hates e Dymond, 2001).

Il sè concettualizzato

Il sè concettualizzato sei tu come oggetto di categorizzaziioni e valutazioni verbali sommarie. E' l'"Io sono....." verbale, come per esempio: Io sono vecchio, Io sono ansioso, Io sono gentile, Io sono meschino, Io non sono amabile, etc. Il sè concettualizzato è saturo di contenuti e questi contenuti sono la storia su te stesso e sulla tua vita che ti sei raccontato e che "vendi" a te stesso. Contiene tutti i pensieri, i sentimenti, le sensazioni corporee, i ricordi e le predisposizioni all'azione che hai "comprato", inserito e integrato in uno stabile ritratto verbale di te stesso. Questo è il sè che ti è probabilmente più familiare in quanto è il prodotto della normale applicazione del linguaggio a te stesso e alla tua vita.
Il sè concettualizzato è quello che più ti intrappola nella sofferenza, perchè si inserisce e ti rinchiude in una storia che fornisce le ragioni per le tue azioni e ti fissa in un sè che rende coerenti le tue esperienze. E' una coerenza confortante ma allo stesso tempo soffocante, che porta inesorabilmente ad avere "ancora e ancora della stessa cosa". Hai mai notato che se qulacuno pensa di essere una persona inutile, la maggior parte degli eventi della sua vita sembrano confermare questo suo modo di vedere? O hai mai osservato che se qualcuno si vede come una vittima, in qualche modo finisce sempre (nella sua mente e/o nella realtà) per essere vittima?
Se stai soffrendo per l'ansia, la depressione o lo stress, la tua identificazione con questi disturbi è quasi certamente parte del tuo sè concettualizzato. I tuoi problemi emozionali sono diventati parte della storia che ti sei raccontato sulla tua vita. Questo non significa che i fatti come tu li conosci e li hai vissuti, non siano reali. La maggior parte dei fatti sono probabilmente corretti, ma la storia della tua ansia o della tua depressione non racconta tutta la storia della tua vita e, ciò nonstante, dice di più di quanto ti sia possibile conoscere.


Esercizio. Ri-racconta la tua storia

Prendi un foglio bianco e scrivi la storia della tua sofferenza come avresti potuto scriverla prima che iniziassi a lavorare con questi scritti. Sii breve. Descrivi i tuoi principali problemi, le ragioni e le motivazioni storiche, situazionali e personali della loro presenza nella tua vita.
Adesso torna indietro e leggi quello che hai scritto sottolineando tutti i fatti. I fatti sono descrizioni, non conclusioni. Escludi ogni analisi causale (le analisi causali possono essere identificate dall'uso di parole come "perchè". Se ci sono delle analisi causali non sottolinearle). Adesso prendi i fatti che hai sottolineato e che riesci a estrarre da quanto hai scritto e scrivi una soria completamente differente e con un finale totalmente diverso usando tutti i fatti. Questa non è una promessa, una predizione o una valutazione. E' solamente un esercizio. Guarda se puoi prendere i fatti oggettivi e integrarli in una storia molto differente.
Adesso osserva come il significato degli stessi fatti nelle due storie cambia e diventa differente. Se senti che questo processo è difficile, o non ne vedi l'utilità, prendi ancora gli stessi fatti e scrivi un'altra storia che integri tutti quegli stessi fatti in una storia diversa. Poi, ancora una volta, nota come il significato degli stessi fatti nelle due storie cambia e diventa diverso.


Nell'insegnarti a fare questo esercizio, non vogliamo dirti che tutto è possibile o che la vita è senza limiti, e sicuramente non stiamo cercando di ridicolizzare la storia della tua vita per come normalmente tu la pensi.
Piuttosto, il nostro punto è che a) i fatti nelle nostre storie non determinano le storie nelle quali compaiono, nonostante ciò che la nostra mente ci dice, molte storie sono possibili; b) i fatti sono significativi a causa delle storie di cui fanno parte. Questo significa che ciò che realmente può fare la differenza è qualcosa che può essere modificato. Conosciamo i fatti, non cambieranno: ma la storia sui fatti e la concettualizzazione su di te che risulta dalla storia sono aspetti della nostra vita che non abbiamo cambiato a causa del nostro attaccamento e della fusione con essi. Forse questo (la nostra storia e il nostro attaccamento a essa) può cambiare.
La parte eccitante nel vedere il proprio sè concettualizzato come qualcosa a cui ti aggrappi arbitrariamente è che nuove narrazioni, che per adeso sono esterne alla storia attualmente raccontata, sono realmente possibili.
Ma può essere spaventoso aprirsi a possibilità che vanno al di là del tuo sè concettualizzato. Se tu non sei i tuoi pensieri, allora chi sei?
Quando lasci andare l' attaccamento al tuo sè concettualizzato sei come un bambino,aperto a qualsiasi cosa sia possibile, e disponibile a trovare che cosa lo sia, ma prima devi lasciare andare il tuo attaccamento al tuo sè concettualizzato. Solamente i più coraggiosi tra noi lo farebbero senza avere un punto psicologico di approdo. Per questo motivo, torneremo al problema del sè concettualizzato più avanti nel capitolo, dopo aver identificato un alleato cruciale dentro noi stessi.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 09-Feb-2011, 20:38
Il sè come processo continuo di auto-consapevolezza

L'auto-consapevolezza di sè in divenire è la tua fluida e continua conoscenza delle tue stesse esperienze nel momento presente. Assomiglia al sè concettualizzato, nel senso che tu ti stai applicando delle categorie verbali a te stesso.
E' diverso dal sè concettualizzato in quanto le categorie non sono valutative e sommarie, ma descrittive, flessibili, non-valutative e legate al presente, come per esempio:"Adesso io sto sentendo questo.....", "adesso io sto pensando a quello...", "adesso io sto ricordando questo", "adesso io sto vedendo quello".
Ci sono prove scientifiche che questo senso di sè sia molto importante per un buon funzionamento psicologico:per esempio, le persone che non sanno identificare le emozioni che provano sono chiamate "alessitimiche".
Questo deficit clinico correla con un ampia gamma di problemi psicologici, e non ti sorprenderà scoprirlo, correla in modo forte con l'evitamento esperenziale (Hayes, Strosahl et al., 2004). Una persona che non è capace di osservare e descrivere la propria esperienza attuale è come sordo e cieco rispetto a ciò che accade nel momento presente.
Ci è stato insegnato a parlare delle nostre storie personali e delle predisposizioni attuali all'azione localizzando e identificando ciò che sentiamo e proviamo. Per esempio, a un bambino si chiede:"Hai fame?" che è un modo per chiedergli "Se io ti do del cibo tu lo mangerai?". I bambini molto piccoli hanno a volte difficoltà a rispondere in modo accurato a questa domanda perchè il loro senso di sè si sta ancora sviluppando e non hanno ancora imparato che cosa significano le loro emozioni e sensazioni. Di conseguenza magari diranno che non hanno fame e poi chiederanno da mangiare pochi minuti dopo, oppure dicono di aver fame e poi non mangiano il cibo che hanno davanti quindi, nei fatti, non hanno fame (ogni genitore con bambini molto piccoli conosce questo tipo di "disconnessione").
Prendere contatto con il momento presente e con le esperienze che questo produce è più probabile quando fusione ed evitamento sono indeboliti. Le persone che evitano le emozioni in modo cronico non sanno che cosa provano perchè il "non conoscere" è esso stesso una potente forma di evitamento.
Questo più fluido senso di sè come processo continuo di consapevolezza, è indebolito anche quando l'attaccamento al sè concettualizzato è dominante.
Notare le reazioni che non sono in accordo con la storia dominante diventa minaccioso per il sè concettualizzato: per esempio, una persona che è presumibilmente "sempre caritatevole e dolce" avrà delle difficoltà ad ammettere sensazioni, sentimenti o pensieri di rabbia, gelosia, risentimento mentre emergono nel momento presente. La defusione e l'accettazione sostengono naturalmente lo sviluppo del sè come processo continuo di consapevolezza.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 10-Feb-2011, 21:42
Il sè che osserva


E' probabile che il sè che osserva sia il senso di sè meno familiare a livello verbale, nonostante sia l'aspetto più importante dell'individulità e sia quello che è stato con te più tempo. Ci sono molti nomi per questo senso di sè: sè come contesto; sè trascendente; senso di spiritualità; se come non cosa; sè che osserva (solo per citarne alcuni). Qui utilizzeremo il "sè che osserva."
A differenza del sè concettualizzato e del sè come processo continuo di auto-consapevolezza, il sè che osserva non è un oggetto di relazioni verbali.
Ecco perchè noi "conosciamo" meno di questo senso di sè. Il sè che osserva non è un senso di sè basato su un contenuto che possa essere descritto direttamente. Ciò nonostante la teoria alla base dell'ACT suggerisce che il sè che osserva emerge come risultato dell'uso del linguaggio ed è fondamentale per la salute psicologica.
Quando eri bambino e stavi acquisendo il linguaggio, hai imparato a descrivere gli eventi da una prospettiva coerente. Quando descrivevi ciò che mangiavi, o vedevi, o facevi, hai imparato che dovevi far riferimento a quella prospettiva coerente.
Considera questa domanda:" Dov'è qui?". I bambini piccoli hanno difficoltà con questo concetto. "Qui" non è un posto specifico come un indirizzo o un angolo della casa, è il posto da cui si osserva. Qualsiasi altro luogo è "là".
Considera quest'altra domanda:"Quando è adesso?". I bambini piccoli hanno difficoltà anche con questa idea. "Adesso" non è uno specifico momento come lunedì alle 18.00, piuttosto è il momento dal quale vengono fatte attualmente le osservazioni. Qualsiasi altro tempo è "dopo".
Allo stesso modo considera questa domanda:"Dov'è Io?". I bambini piccoli hanno difficoltà pure con questa idea. "Io" è anche esso il luogo dal quale le osservazioni sono attualmente fatte. Le osservazioni fatte da un'altra prospettiva sono "tu" e non "io".
Queste relazioni verbali sono deittiche, termine che significa mostrare o far vedere. Le relazioni deittiche possono essere espresse solamente attraverso la dimostrazione, perchè non sono cose materiali: sono relative a una prospettiva di osservazione.
Il sentire un luogo dal quale le osservazioni consapevoli vengono fatte è un sentire strano poichè, per la persona che ne sta facendo esperienza, non ha confini conosciuti. Non ne può mai conoscere consciamente i limiti, perchè tutta la conoscenza verbale esiste con riferimento a te come conoscente. Adesso, torna indietro con la tua memoria, alla tua prima infanzia. Pensa a un ricordo, può essere un ricordo dolce o doloroso, e rivivilo per qualche momento. Guarda se riesci ad avere la sensazione di guardare il mondo da dietro i tuoi occhi così come erano allora. Adesso rispondi a questa domanda e guarda se riesci a farlo in modo esperenziale (non semplicemente logicamente):"Chi era che vedeva quegli eventi mentre si stavano svolgendo?".
Adesso rispondi a un'altra domanda:"Chi è che mangiava la tua colazione stamattina?". Immagina la colazione e ancora una volta prova a guardare il mondo da dietro i tuoi occhi.
Adesso nota chi sta leggendo queste parole sullo schermo. Ancora una volta nota se riesci a guardare il mondo da dietri ai tuoi occhi. Considera che in questo momento sei tu, qui, che stai leggendo e anche che la persona che è dietro questi occhi che stanno leggendo era lì quando mangiavi la colazione questa mattina ed era lì quando eri bambino. Tu sei stato tu per tutta la tua vita, nonostante ci siano stati molti cambiamenti nei tuoi pensieri, nei tuoi sentimenti, nei tuoi ruoli e nel tuo corpo. Nel preciso momento in cui stai guardando queste righe sullo schermo del tuo monitor, nota chi è che sta guardando.























ciao! PSICO smile.gif

Tu sei stato tu fin da quando, nella prima infanzia, sei apparso come essere umano consapevole e la tua amnesia infantile è scomparsa (circa allo stesso momento in cui questi frames deittici io/tu; qui/là e adesso/dopo sono comparsi). Questo "io" è quello che alcuni chiamano il sè che osserva (Deikman, 1982). E' un senso che trascende sia il tempo che lo spazio, non in modo letterale ma in modo esperenziale dato che questo senso di sè è dovunque tu vada. Qualunque cosa ti accada, questo "io" sarà parte della tua conoscenza verbale di quell'esperienza.
Questo "io" è senza confini, illimitato, in quanto non puoi avere esperienza di nulla che tu sappia (o meglio, che tu sappia di sapere) senza "tu-come-prospettiva" essendoci dentro. Perchè? Perchè senza questo senso di sè, come locus, non c'è continuità alla consapevolezza stessa; non c'è una prospettiva psicologica dalla quale vedere ciò che è conosciuto.
Se questo senso di sè è illimitato in senso esperenziale (ovvero per come è provato dalla persona che sta avendo le esperienze), allora non è provato completamente come una cosa. Questo è un fatto unico. La maggior parte degli eventi che possiamo descrivere sono esperibili come cose, come eventi con dei confini conosciuti. Nonostante ciò, proprio qui, nell'esatto centro della conoscenza verbale stessa, c'è un evento senza distinzione. Gli eventi senza distinzione comprendono le non-cose (o come la nostra comunità verbale è arrivata a scrivere "nulla" dal latino "nulla", sottointeso "res") e il "tutto" (ogni cosa:"omnia res"). E basta.
Questo è il motivo per cui le filosofie orientali chiamano questo senso di sè "tutto/nulla" e lo indicano con modi di dire e frasi criptiche del tipo "Ovunque tu vada, eccoti qui".

Forse hai cominciato a sentire un contatto con il tuo sè che osserva quando hai lavorato con gli esercizi sulla defusione, precedentemente.
Forse sei stato capace di guardare i tuoi pensieri fluttuare via nel fiume della tua mente senza esserti attaccato a essi. Ma chi è l'osservatore che ti osserva mentre stai pensando i tuoi pensieri? Non cercare di rispondere a questa domanda trasformando questo senso di sè in una cosa:questo è esattamente ciò che non è. Tu conosci questo senso di sè indirettamente, per esempio attraverso un senso di tranquillità, di calma trascendentale o di pace. Per alcuni questo senso di sè può spaventare perchè fa sentire come se si cadesse nel nulla. E in un certo senso, in senso buono, questo è abbastanza vero.
Questo è il senso di sè con il quale speriamo entrerai in contatto in questa parte di scritti, perchè questo è il luogo dal quale è pienamente possibile essere accettanti, defusi, presenti nel momento e in contatto con i propri valori. E' immutabile e solido, non perchè è una cosa che non cambia, ma più precisamente proprio perchè non è una cosa.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 11-Feb-2011, 20:24
Essere il sè che osserva


Entrare in contatto con il sè che osserva è una questione di esperienza. Non c'è una semplice formula che possiamo darti per localizzare questo senso di più grande consapevolezza e presenza. La strada è, e deve essere, indiretta per le motivazioni che abbiamo appena discusso: questo senso di sè non è una cosa (quanto meno non lo è quando se ne fa esperienza dall'interno). Quello che possiamo fare è proporti degli esercizi e delle metafore che ti aiuteranno a dirigerti nella giusta direzione. Per la maggior parte di noi ciò dovrebbe essere sufficiente in quanto questo è un senso che è stato con te per tutta la vita. E' stato solamente schiacciato dai contenuti della consapevolezza: perciò, noi non stiamo nè tentando di costruire qualcosa nè tanto meno di scoprire qualcos'altro. Entrare in contatto con il sè che osserva è più simile a provare a ricordare qualcosa che conosciamo molto bene, come ricordare una canzone che hai canticchiato sottovoce in un posticino in fondo alla tua mente per anni.


La metafora degli scacchi

Immagina una scacchiera che si prolunga all'infinito in tutte le direzioni. Su questa scacchiera iniziano ad entrare dei pezzi, alcuni sono neri e altri sono bianchi, proprio come nel gioco degli scacchi, essi si avvicinano al centro della scacchiera e iniziano ad allinearsi in due squadre separate, poste ai lati opposti della superficie.
Adesso immagina che ogni pezzo rappresenti una diversa emozione, un pensiero, un ricordo o una sensazione. Alcuni di questi pezzi sono positivi, come la felicità, la gioia, i sentimenti piacevoli, i ricordi cari: stanno insieme come una squadra. Gli altri pezzi rappresentano il tuo dolore, le tue paure, i tuoi fallimenti e i tuoi punti deboli. Forse sei molto depresso, o forse ti è stato diagnosticato un disturbo d'ansia. Guarda se non è vero per te che i pensieri negativi e i sentimenti associati con queste condizioni stanno insieme anche essi come una squadra, una squadra molto diversa da quella dei pezzi positivi, ma sempre una squadra.
Ora immagina che i vari pezzi inizino una battaglia. E' una guerra lunga e sanguinosa: i pezzi vengono spaccati e ridotti in frammenti, sparsi tutti intorno a te. Questa battaglia si è prolungata per anni. I pezzi neri si muovono in avanti e i bianchi iniziano a retrocedere, cercando disperatamente di resistere al nemico. Devono combattere perchè, dalla prospettiva di ogni squadra, l'altra squadra rappresenta una minaccia per la vita stessa.
La cosa che vogliamo che impari, non è vincere la guerra, ma come abbandonare il campo di battaglia.
Adesso hai percorso molta strada e puoi iniziare a considerare la possibilità che fosse solo una illusione che all'inizio ti ha portato dentro la battaglia. Hai agito come se la tua squadra emotiva e cognitiva favorita dovesse assolutamente vincere questa partita a scacchi. Ma questo avrebbe senso solamente se tu fossi gli scacchi bianchi e non fossi gli scacchi neri: in questa prospettiva, tu devi combattere, perchè questi nemici così diametralmente opposti sono una minaccia diretta alla tua sopravvivenza.
Se la frase "Io sono una persona cattiva" è vera al 100%, allora "Io sono una persona buona" viene cancella e viceversa. Quindi lasciare o abbandonare la battaglia non è un opzione; è una sentenza di morte. La guerra deve andare avanti e tu devi vincerla, perchè sei salito sulla schiena della Regina Bianca e l'hai eletta a essere te. Lei (quindi tu) non può permettersi di smettere di combattere.
Ma supponi che tu non sia nessuno di questi pezzi. Tu in questo scenario chi sei? Non puoi essere il giocatore di scacchi, dal momento che anche il giocatore è qualcuno che sta cercando di vincere la guerra e di difendere alcuni pezzi piottosto che altri. C'è solamente una parte della metafora che è in contatto con tutti i pezzi. Se tu non sei i pezzi, e se puoi continuare a essere ancora tu e non avere un enorme investimento nell'esito della guerra, allora chi sei tu?

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 11-Feb-2011, 21:30
Essere chi sei, non chi non sei


Che cosa succederebbe se tu fossi la scacchiera sulla quale si sta giocando la partita? Pensaci. Come sarebbe per te? Che cosa succederebbe se non fossi definito dal tuo dolore, ma piuttosto ne fossi il contenitore cosapevole? Che cosa significherebbe tutto ciò per te?
Iniziare a vedere i fatti dalla propsettiva della scacchiera significa entrare in contatto con il sè che osserva. A livello della scacchiera, tutti i pezzi sono tenuti dritti mentre giocano la loro partita infinita. Ci sono solo due cose che la scacchiera può fare stando al suo livello di scacchiera: 1. tenere dritti i pezzi (tutti); 2. portarli tutti in giro mentre la scacchiera stessa si muove. Per spostare solo alcuni pezzi ti devi muovere da ciò che sei, da chi sei (un essere umano consapevole di tutte queste reazioni, ovvero il livello della scacchiera), a chi non sei (identificandoti solamente con specifiche emozioni, pensieri, o ricordi e non con altri). Detto in un altro modo, fin dal principio, tu non sei mai stato realmente in guerra: era tutta un illusione.
Il prossimo esercizio ti aiuterà a connetterti momentaneamente con il tuo sè che osserva. Noi diciamo "momentaneamente" perchè il sè che osserva, per definizione, non può essere guardato. Tanto per cominciare non è esperibile come una cosa. In secondo luogo, se tu potessi guardarlo, chi sarebbe a guardare? Puoi solamente cogliere scorci, apparizioni fugaci come l'ultimo bagliore di sole. Ma a un altro livello, senza parole, tu sei stato presente per tutto il tempo, concreto e certo come la seggiola su cui sei seduto o il pavimento su cui poggi i piedi. La battaglia finalmente perderà importanza nel momento in cui ti stabilirai nella vitalità che proviene dall'essere di cui tu hai esperienza e che continuamente sperimenti di essere (sè che osserva), senza pretendere delle prove dalla tua mente, che consisterebbero nel vedere il tuo sè che osserva. La battaglia può iniziare a diminuire di importanza se tu operi sulla base di chi sei tu, piottosto sulla base di chi non sei.


Esercizio. In modo esperenziale, io non sono questo

Qusto è un esercizio di meditazione. Le istruzioni sono semplici e facili da ricordare per fare l'sercizio. Siediti semplicemente in una posizione confortevole su una seggiola di fronte a un piccolo tavolo vicino a un muro. Dovrebbero esserci diversi oggetti sul tavolo. Fai un paio di respiri profondi e poi inizia cominciando con il guardare un punto sul muro mentre respiri profondamente e in modo regolare. Mantieni il tuo sguardo fisso su un punto del muro per almeno 10/15 secondi.
A un certo punto, dopo questo tempo (non correre), si presenterà l'esperienza che tu stai guardando il muro e perciò a un livello esperenziale (in un senso del termine), tu non sei il muro. Questa è una distinzione che è possibile nell'esperienza diretta. Non stiamo parlando della credenza verbale che tu non sei il muro: se questo fosse il punto, non avremmo bisogno di un esercizio di meditazione poichè pochi di noi credono di essere il muro!
Se la tua mente inizia a parlottare con te circa la veridicità o falsità di questa credenza ("Beh, in un certo senso tu sei il nuro. Dopotutto, sei la somma delle tue esperienze....bla bla bla") semplicemente ringrazia la tua mente per questo pensiero e nota che la persona che osserva questo pensiero non è in sè il pensiero che stai osservando e poi riporta la tua attensione nuovamente al muro. Non lasciare che la tua mente ti metta fretta e non colludere con la tua mente nel cercare di spiegare tutto questo. Questo non è un esercizio verbale bensì un esercizio esperenziale.
Quando questa distinzione esperenziale tra il sè che osserva e gli eventi osservati si manifesta alla consapevolezza, semplicemente notalo e lascialo andare dolcemente (non cercare di credere a questa distinzione, o la tua mente comincerà a parlottare, argomentando, discutendo e così via). Ora sposta il tuo sguardo su un oggetto che si trova sul tavolo. Ripeti lo stesso processo con il nuovo oggetto (guarda l'oggetto fino a che la distinzione fra te, l'osservatore consapevole, e ciò di cui sei consapevole, ti si presenta in modo esperenziale, non solamente sotto forma di qualcosa a cui creder o non credere). Continua a fare questo fino a quando tutti gli oggetti non sono stati guardati (non correre!).
Poi chiudi i tuoi occhi e nota di volta in volta ciò che compare nella tua consapevolezza (sensazioni corporee, pensieri e così via) esattamente come hai fatto con gli oggetti esterni. Dopo averlo fatto per un pò di volte (fallo pure quante volte vuoi), apri gli occhi e riprendi a guardare il muro fino a che la distinzione esperenziale tra l'osservatore e ciò che viene osservato diventa evidente.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 12-Feb-2011, 20:08
Il contatto con il momento presente


Dal mometo in cui inizi a sperimentare e fare esperienza di quell'aspetto di te stesso al "livello portante", diventerà più facile sentire quello che tu senti, pensare quello che tu pensi e ricordare quello che tu ricordi. I pezzi sulla scacchiera diventano meno minacciosi. Che minaccia sono i pezzi per la scacchiera? Che cosa importa se i pezzi si affollano su un'area della scacchiera o su un'altra?
Semplicemente, sostenere i pezzi è qualcosa che è possibile fare solamente al livello di scacchiera, "il livello portante". La defusione, l'accettazione e l'essere chi sei tu possono per questo essere approfonditi entrando in contatto con quello che sta succedendo proprio ora, in questo momento. Gli esercizi sucessivi di questo capitolo e del prossimo sono stati creati in modo specifico per aiutarti ad entrare in contatto con il mometo presente.
Tradizionalmente, questi esercizi vengono chiamati tecniche di "mindfulness" e noi useremo questo termine nei capitoli che seguono. Comunque, vogliamo chiarire che la parola "mindfulness", utilizzata in questo contesto, ha poco a che fare con la "mente" da cui abbiamo cercato di defonderti attraverso il percorso di questi scritti. Qui ci riferiamo a ciò che alcune tradizioni orientali chiamano "la grande mente". Il sè che osserva con cui sei appena entrato in contatto fa parte di questa "grande mente" nel senso che è senza distinzioni (tutto/nulla).
La mindfulness è una consapevolezza volontaria, non giudicante, defusa, accettante, degli eventi dell'esperienza, così come accadono nel momento presente. Questo comporta e coinvolge ogni aspetto delle cose con cui abbiamo già lavorato.
Poichè ci sono così tante cose di cui essere consapevoli e così tanti modi di praticare la mindfulness, il resto del capitolo si focalizzerà su alcuni semplici esercizi a una dimensione. Nel capitolo che seguirà ci focalizzeremo su esercizi più sofisticati che ti chiederanno di entrare in contatto con molteplici esperienze sensoriali ed emozionali, ma prima che tu inizi, vorremmo spendere alcune parole su come praticarla.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 13-Feb-2011, 23:50
QUOTE (miki_70 @ Martedì, 01-Feb-2011, 00:56)
Tenere un diario del dolore

Durante questa settimana vorrei che teniate traccia del vostro dolore per far si che vengano alla luce alcuni pensieri che si presentano mentre stai lottando. Questo richiederà un pò di tempo e dedizione, ma sarai ripagato.
Prendi il tuo solito quadernetto che utilizzi per gli esecizi, dividilo in quattro colonne.
Nella prima colonna partendo da sinistra scrivi le ore. Comiciando dalle ore 1 fino alle 24. Così:


1
2
3
4
5
6
7.....e così via.

Nella seconda colonna scrivi " Che cosa stavi facendo o cosa è successo"

Nella terza " Con che cosa hai iniziato a lottare psicologicamente?"

Nella quarta "Quali pensieri (in aggiunta a quelli della teraza colonna) ti sono venuti in mente in associazione con questa lotta?"

Fa una copia delle tue colonne una per ogni giorno per sette giorni.

Metti la data d'inizio ad ogni copia.

Porta il tuo diario o copia della giornata con te, ogni momento.

Ogni volta che ti trovi in lotta con il disagio emotivo, con pensieri difficili, ricordi dolorosi, sensazioni corporee fastidiose o urgenze interne indesiderate, tira fuori il tuo diario del dolore e registra questa informazione.
Non è necessario riempire tutte le ore (per esempio non ti devi alzare nel pieno della notte per compilare il diario, anche se lo puoi certamente compilare se rimani sveglio). Semplicemente compila il foglio quand realmente ti trovi a lottare con qualche tipo di disagio psicologico o fisico.
Se non puoi gestire il diario nel momento reale in cui hai un problema, allora tornaci su e scrivi quando ne hai tempo. Il punto più importante è che dovresti essere diligente nello svolgimento di questa attività in modo tale da avere un catalogo del tipo di dolore che ti disturba e di cosa succede quando provi quel dolore.
Potrebbe essere veramente di grande valore se ti sei particolarmente focalizzato sul nucleo di lotta che hai identificato nell'esercizio chiamato "Il tuo inventario del dolore". Non ti focalizzare solo su quello, ma potrebbe essere una buona idea prestare particolarmente attenzione ai momenti in cui le tue reazioni associate con questi problemi appaiono.
La maggior parte delle domande di questo esercizio è abbastanza semplice. Dovresti essere in grado di rispondere con relativa facilità.

Prendiamo come esempio qualcuno bloccato in un lavoro che proprio non ama e che lotta con l'ansia sociale, il suo diario del dolore quotidiano potrebbe essere come segue.


- ore 7

- Che cosa stavi facendo o cosa è successo?

Mi sono alzato sentendomi incavolato.

- Con che cosa hai iniziato a lottare psicologicamente?

Quanto odio il mio lavoro

- Quali pensieri (in aggiunta a quelli della terza colonna) ti sono venuti in mente in associazione con questa lotta?

Sto sprecando la mia vita in questo stupido lavoro.



- ore 8

- che cosa stavi........................................

Stavo guidando per andare ad una riunione con il capo.

- Con che cosa hai iniziato..........................

Ho notato che il mio cuore stava pulsando velocemente e ho pensato:"OH Dio!"

- Quali pensieri..........................................

No posso sopportare ancora questa sensazione d'ansia.


La continuazione dell'esercizio e la spegazione è fra sette giorni.
Nel frattempo discutiamo ancora.

Per chi ha fatto l'esercizio, o lo farà. PSICO smile.gif


Guardando il tuo diario del dolore quotidiano


Una volta che hai tenuto il tuo diario del dolore quotidiano per una o due settimane, avrai un idea più chiara delle situazioni in cui lotti, del contenuto della lotta e dei pensieri che ti vengono in mente in associazione con la tua lotta.
Adesso, riguarda quello che hai scritto e guarda se ci sono particolari pensieri, sentimenti o eventi che tendono a portarti a lottare (gli item della seconda colonna a sinistra). Scrivi adesso tutte le ricorrenze che hai osservato (non ti preoccupare se non ne hai osservate sei, uno o due basteranno se è tutto ciò che vedi).

1. ................................................................................................

2. .................................................................................................

3. ................................................................................................

4. ................................................................................................

5. ................................................................................................

6. ................................................................................................


Adesso guarda le cose con le quali tendi a lottare psicologicamente (item nella terza colonna). Evita ciò che riguarda il mondo esterno, in altre parole concentrati su ciò che ti succede interiormente. Se hai annotato eventi esterni, guarda se questi possono adattarsi meglio alla seconda colonna. Mentre scrivi le ricorrenze, guarda se puoi anche categorizzarle come pensieri, sensazioni corporee, ricordi o urgenze comportamentali, e se puoi farlo, aggiungi queste categorie descrittive tra parentesi dopo la tua descrizione della lotta. Scrivi le ricorrenze che noti:

1. ..............................................................................................

2. ..............................................................................................

3. ..............................................................................................

4. ..............................................................................................

5. ..............................................................................................

6. ..............................................................................................

Adesso fai attenzione ai pensieri che emergono in associazione con la tua lotta psicologica (item della quarta ed ultima colonna).
Cerca il tuo modello ricorrente: se guardare i tuoi pensieri ti porta ad avere ancora più pensieri (ovvero, che cosa pensi quando rileggi il tuo diario?), metti pure anche questi nella lista. Scrivi quale tipo di pensieri tendi a pensare.
Mentre scrivi le ricorrenze, guarda se puoi classificarle in valutazioni (i giudizi che dai delle cose); previsioni (i tentativi di prevedere il futuro); post-visioni (i tentativi di capire o classificare attraverso il passato, questo può succedere se vieni coinvolto in "e se avessi fatto" nelle esperienze passate); concettualizzazioni di sè ( i giudizi che dai su te stesso; queste spesso emergono sotto forma di affermazioni "Io sono...."); e se così, aggiungi questa categoria descrittiva tra parentesi dopo aver descritto il pensiero.
Per esempio, "non posso sopportare quest'ansia" sarebbe una valutazione; "non valgo nulla" sarebbe una valutazione e concettualizzazione di sè.
Scrivi tutte le ricorrenze che vedi:

1. ..................................................................................................

2. .................................................................................................

3. ................................................................................................

4. ................................................................................................

5. .................................................................................................

6. .................................................................................................


Infine scrivi qualunque ricorrenza vedi nella relazione tra la colonna due, tre e quattro. Certi sentimenti e pensieri sono più probabili in certe situazioni? Se sì, scrivile (per esempio "mi sembra che quando mi chiudo, poi lotto con la solitudine o con l'anisa e alla fine mi auto-critico").


1. ................................................................................................

2. ................................................................................................

3. ...............................................................................................

4. ................................................................................................

5. .................................................................................................

6. ................................................................................................


E' importante non attaccarsi a tutte queste formulazioni e provare a risolverle (per esempio pensando "dovrei smettere di criticarmi"). Lavoreremo insieme su cosa fare con queste (vedi esercizi di defusione)
Per adesso il lavoro è più semplice: guarda se riesci a vedere ciò che è successo. Il tuo compito ora è semplicemente sederti con la conoscenza che hai raggiunto.



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Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 16-Feb-2011, 00:35
Come praticare la mindfulness


Alcune indicazioni che torneranno utili nel momento in cui tu praticherai la mindfulness.


Se ti perdi in un pensiero, semplicemente ritorna dolcemente all'esercizio.
Quando inizi a essere consapevole dei pensieri e delle sensazioni che si verificano nella tua mente e nel tuo corpo, noterai dei momenti in cui comincerai a seguire il pensiero piuttosto che semplicemente guardarlo. Ti ricordi l'esercizio "guardare il treno mentale"?. Praticamente tutti quelli che fanno quell'esercizio finiscono prima o poi in uno dei treni. Tu stesso ne hai probabilmente fatto esperienza, è perfettamente naturale. Per praticare questi esercizi, quando ti ritrovi tirato dentro in un pensiero, o lo segui dove và, semplicemente osserva cosa sta succedendo e dolcemente riportati indietro alla posizione dell'osservatore. Poi continua con la pratica.

Defonditi dai tuoi giudizi.
Mentre pratichi la mindfulness, una delle cose che noterai immediatamente è che la tua mente comincia a produrre giudizi. Se rimani intrappolato nei tuoi pensieri magari comincerai a dirti: "Dannazione. Sono un fallimento. Non riesco neanche a fare bene questi maledetti esercizi". Oppure quando ti senti particolarmente consapevole, ti dici: "Wow! lo sto facendo veramente, io sono proprio bravo in questo esercizio di mindfulness!". Oppure puoi pensare che questi esercizi sono una perdita di tempo, dicendo tra te e te "Perchè sto perdendo il mio tempo con queste sciochezze? Ho tante cose da fare!". Questi sono solo alcuni esempi della miriade di giudizi che la tua mente può produrre.
Ognuna di queste affermazioni ti offre alcune importanti informazioni. Ti dice che ti stai rinchiudendo nella tua macchina delle parole. Non è importante la forma del giudizio o la prova della sua veridicità o falsità, quello che è importante è che ti stai ingabbiando e invischiando in un giudizio.
Quando ti trovi preso all'amo del giudicare, prendi dolcemenete nota che la tua mente sta producendo dei giudizi, riconoscile gli sforzi che sta facendo per te, e poi ritorna a fare l'esercizio come prima.

Accetta le tue emozioni.
Quando farai questi esercizi, incontrerai alcune delle emozioni negative con cui hai lottato tutto questo tempo. A dire il vero, alcuni esercizi sono stati progettati per portarti in contatto con queste emozioni. Se, per esempio, stai soffrendo di depressione o di ansia, questo potrebbe essere a volte difficile.
Se hai un disturbo da attacchi di panico e spendi un sacco di tempo ed energie a controllare le tue sensazioni corporee. Forse sei particolarmente preoccupato della velocità del tuo ritmo cardiaco, molte persone che soffrono di panico sono convinte di avere un infarto anche quando non è così.
Questa paura ti può prendere mentre svolgi questi esercizi.
Magari sei depresso e lotti per liberarti dai cicli di rimuginazione ossessiva.
Quando entri in contatto con le emozioni o con i pensieri negativi, rimani bloccato in questi. Allora cominci a credere che pensieri ed emozioni negative siano le uniche cose che accadono nel momento presente.
Lo scopo di questi esercizi è quello di aiutarti a vedere che il presente è un evento in cuntinuo divenire e cambiamento, un processo che accade in momento in momento. Quando cominci a lottare con le sensazioni di panico, o ti intrappoli nelle rimuginazioni negative, questo è un segno sicuro che tu stai entrando nuovamente nella zona di guerra. Ancora una volta, tranquillamente, nota che sei qui come essere umano consapevole che osserva e prova ad aprirti a questi sentimenti e pensieri come a dei semplici sentimenti e pensieri. Non metterti a discutere con loro o non cercare di mandarli via.

La mindfulness non è una tecnica di distrazione
Gli esercizi di mindfulness non hanno lo scopo di distrarti dai contenuti negativi della tua mente: infatti, mindfulness e tecniche di distrazione sono antitetiche. Pensare di essere "abbastanza consapevoli da non sentire più il dolore" è solamente un'altra storia che la tua macchina delle parole ti sta raccontando. Utilizzare le tecniche in questo modo è semplicemente un'altra forma di evitamento che ti riporta immediatamente al dolore che stai cercando di evitare. Non cercare di scappare dalla tua ansia, dal tuo stress o dalla tua depressione attraverso la mindfulness.
Se arrivano sensazioni dolorose semplicemente notale e vai avanti.

La pratica.
La mindfulness è probabilmente una "posizione" che tu non sei abituato a tenere. Per sviluppare questa abilità, hai bisogno di praticarla. Nel momento in cui cominci a capire i punti chiave della pratica della mindfulness, la porterai naturalmente con te nel tuo contesto di vita. La mindfulness è una pratica che puoi intraprendere ogni giorno e in ogni momento della giornata, di fatto l'ACT ti fornisce gli strumenti per fare proprio questo.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 18-Feb-2011, 02:35
Per iniziare


Ora che hai una idea delle insidie da cui guardarti mentre pratichi la mindfulness, possiamo iniziare con qualche esercizio. Quello che segue può essere pensato come la "mindfulness per tutti". Queste sono alcune tecniche di base che ti aiuteranno ad avere il senso di cosa significa osservare quello che sta accadendo nella tua mente e nel tuo corpo senza rimanere attacato ai tuoi pensieri e alle tue emozioni.


Esercizio: Monitorare i tuoi pensieri nel tempo.


Poichè ci sono tante cose di cui essere consapevoli e questa pratica non è facile da sviluppare, vogliamo cominciare da una cosa semplice, monitorare i tuoi pensieri lungo una singola dimensione: il tempo.
Quando i pensieri, i sentimenti, o le sensazioni corporee si manifestano, tendono a essere associati ad un certo periodo di tempo della tua vita. Alcuni si rifanno al passato, alcuni al presente altri al futuro, persino le fantasie che non hanno nessun fondamento nella realtà sono generalmente associate a un particolare contesto temporale.
Per vedere tutto ciò più chiaramente, vorremmo che tu impiegassi i prossimi 5 minuti per vedere e monitorare dove sono collocati i tuoi pensieri nel tempo. Prendi un momento per concentrarti su te stesso. Respira profondamente con la pancia per un pò di volte ( se non riesci a respirare con la pancia, respira profondamente). Quando sei rilassato, lascia vagare la tua mente a suo piacimento e osserva ciò che si presenta. Se vuoi, puoi utilizzare l'esercizio delle "Foglie che scorrono nel fiume" che hai imparato precedentemente per aiutarti a osservare i pensieri, sentimenti e sensazioni corporee.
Mentre fai ciò, metti le dita sulla linea temporale sottostante. Puoi disegnarla sul tuo quadernetto degli esercizi. Mantre emergono i tuoi pensieri e sentimenti, scorri il dito sul punto della linea temporale: passato remoto, passato prossimo, presente, futuro prossimo e futuro remoto. Puoi scegliere qualsiasi punto per ogni pensiero che ti viene. Nota che in ogni caso questa linea è un continuum e se c'è un punto intermedio che ha più senso, sentiti libero di indicare quello.
Cerca di essere accurato rispetto a ciò che succede, senza giudicare quello che emerge.
Osserva semplicemente ciò che accade e nota in quale punto temporale si collocano i pensieri, le sensazioni o i sentimenti.
Ora, per i prossimi 5 minuti lascia vagare la tua mente e colloca i tuoi pensieri nel tempo.





Che cosa hai notato rispetto ai tuoi pensieri? C'è un tempo specifico che si presenta, o i toui pensieri si muovono lungo il tempo? Scrivi qualche nota sul tuo quaderno circa la tua esperienza avuta:

......................................................................................................

......................................................................................................

......................................................................................................


Probabilmente i tuoi pensieri si sono mossi lungo il tempo, se continuavano a tornare a un punto preciso nel tempo, va bene ugualmente. Lo scopo è semplicemente notare i pensieri e dove si collocano nel tempo. Non c'è bisogno di dare nessun giudizio su queste informazioni.
Imparare ad essere consapevole di dove si collocano i pensieri nel tempo può essere utile per spostare e focalizzare l'attenzione sul momento presente.Proviamo a ripetere l'esercizio, questa volta con un intento leggermente differente, quello di stare di più nel presente. Quando la tua mente si muove alla deriva e quando il tuo dito si sposta a destra o a sinistra, semplicemente nota cosa succede ora nel momento presente. Se vai alla deriva, semplicemente notalo, se hai un pensiero sul futuro o sul passato, nota che stai avendo un pensiero. Voilà! In questo modo torni nel momento presente e il dito potrà muoversi tornando nel mezzo.
Nota che se lo fai troppo intenzionalmente ("Per i prossimi cinque minuti dovrò assolutamente stare con il mio dito sulla parola presente") entri nel futuro o nel passato verbali ("Non sono riuscito a farlo!"). Se succede questo, nota che ora stai avendo un pensiero e molla la tua fusione con il contenuto di quel pensiero.
Con la pratica riuscirai a stare nel presente per un bel pò di tempo e le tue dita saranno una specie di biofeedback per farti conoscere tutti i metodi che la tua mente usa per farti uscire dal presente. Questo esercizio può essere effettuato in ogni luogo e in ogni momento. Per esempio, metti il tuo dito sui tuoi pantaloni e lascialo andare a sinistra se stai entrando nel passato, o a destra se stai pensando al futuro. Puoi farlo facilmente mentre cammini, sei seduto o sei in piedi; è divertente e utile.


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Inviato da: miki_70 il Sabato, 19-Feb-2011, 01:43
Osservare le sensazioni corporee


Ora, vogliamo che impiegassi i prossimi minuti per osservare le tue sensazioni corporee così come vanno e vengono.
Più sotto troverai una figura del corpo umano: sulla sinistra c'è una lista di parole che descrivono varie sensazioni che si presentano comunemente al corpo umano. Per fare questo esercizio concentrati ancora su te stesso per qualche minuto, poi inizia a dare attenzione alle diverse sensazioni che arrivano al tuo corpo. Forse la tua schiena duole per aver sollevato un peso, o forse il tuo stomaco è sottosopra per il nervosismo.
Nota semplicemente come senti il tuo corpo.
Quando le sensazioni si presentano indica la parola sul lato sinistro al corpo umano che descrive più accuratamente la tua sensazione. Con l'altra mano, indica il punto del tuo corpo in cui risiede la sensazione. Per esempio, se le tue spalle sono tese metti l'indice sinistro sulla parola "teso" e il destro sulle spalle della figura. Adesso prenditi 5 minuti per notare le sensazioni fisiche che vanno e vengono dal tuo corpo.
All'inizio questo esercizio è difficile (specialmente avendo bisogno di cercare le parole). Man mano che lo ripeti diventerà più semplice e fluido e sarai in grado di focalizzare l'attenzione sull'osservare, mentre permetti alle tue dita di fare le "descrizioni".





Finito l'esercizio, prenditi alcuni minuti per scrivere alcuni appunti riguardo la tua esperienza.

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Probabilmente hai notato che durante l'esercizio si manifestano diverse sensazioni. Le sensazioni corporee tendono a cambiare, momento dopo momento, vanno e vengono, semplicemente come ogni altra cosa.


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Inviato da: miki_70 il Sabato, 19-Feb-2011, 10:43
Defondersi dalle valutazioni implicite


Nell'esercizio precedente forse hai notato che le esperienze che hai registrato avevano in sè un'implicita valutazione. La tua mente valuta in modo automatico le emozioni, i pensieri e le sensazioni corporee man mano che emergono. Per esempio, se hai una sensazione corpora gradevole, hai il pensiero "Bene!". Se nell'esercizio del tempo sei scivolato in un futuro distante, forse hai pensato "Male!". Se l'obbiettivo centrale della mindfulness è stare nel presente, lo è anche defonderti da queste valutazioni.
Hai appena fatto pratica nell'individuare quando scivoli via dal presente; ora ci piacerebbe che facessi pratica nell'individuare quando scivoli dentro le valutazioni. E' abbastanza facile farlo quando i pensieri valutativi sono espliciti, è più difficile quando sono impliciti: quando si presentano combinati con altre esperienze è più facile perderli. L'obiettivo del prossimo esercizio è imparare a individuare le valutazioni implicite, in modo da mollarle e defonderti da esse.
Gli psicologi hanno mostrato che le valutazioni possono essere affidabili solamente su un numero limitato di dimensioni. Buono/cattivo e forte/debole sono due di queste principali polarità. Guarda il riquadro sottostante: ci sono quattro termini nelle differenti aree del riquadro. Pensa a questo come a un luogo in cui puoi fisicamente prendere nota delle tue valutazioni, di quanto siano buone o cattive, o di quanto siano forti o deboli.
Perciò, in questo esercizio, stai seduto in silenzio e diventa consapevole di quello che c'è nel momento presente. Mentre noti le tue esperienze, renditi conto se lo fai in modo non giudicante. Se ti scopri a valutare implicitamente, nota la natura di questa valutazione mettendo il dito dovunque sia andata la tua mente e guarda se riesci ad abbandonare ogni attaccamento alla valutazione.
Per esempio, immagina di avere il pensiero "Sono ansioso". Se hai notato questa sensazione in modo non giudicante va bene, non fare niente e continua ad osservare. Forse hai notato anche che, sullo sfondo del tuo pensiero, stavi pensando e facendo tua l'idea che questa sensazione è un male o è troppo forte. Se hai sentito questa valutazione implicita, metti il dito nella sezione superiore a destra del riquadro, poi guarda se riesci a mollare questo giudizio. Se ti defondi dalle valutazioni noterai che muovi il tuo dito in giù, nella parte medio bassa del riquadro (debole, nè buono, nè cattivo). E poi muovilo completamente fuori dal riquadro.
Nei prossimi minuti osserva semplicemente la tua esperienza, individuando i giudizi impliciti quando si mostrano e ponendo il dito nel riquadro come una sorta di descrizione di quello che stà avvenendo. Usa il feedback che questo processo ti fornisce per aiutarti a mollare la fusione con il giudizio stesso. Prova con tranquillità ad avere momenti più lunghi senza far tua e credere a nessuna valutazione che può presentarsi.





Ancora, prenditi alcuni minuti per rispondere alla tua esperienza.

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.....................................................................................................


Che cosa è successo in questo esercizio? Hai visto che le tue valutazioni si sono mosse quando la tua mente si è mossa da un pensiero al sucessivo? Sei riuscito a vedere le valutazioni implicite che normalmente ti sfuggono? Sei riuscito a lasciare andare questi giudizi?


Il passo sucessivo


Questi esercizi sono pensati per iniziare la pratica di oservare momenti defusi e non giudicanti nella tua esperienza presente. Nel prosimo capitolo presenteremo altri esercizi formali di mindfulness. Adesso che hai un'idea di base su come osservare eventi singoli, ti aiuteremo ad apprendere come essere consapevole di molti e diversi pensieri, sentimenti e sensazioni proprio così come arrivano e se ne vanno nel tempo.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 19-Feb-2011, 21:48
Mindfulness


La mindfulness è difficile, non perchè sia faticosa ma perchè è sfuggente, inafferrabile. Noi siamo costantemente presi all'amo dalle nostre previsioni e valutazioni verbali. Inoltre, la vita è complessa. Ci sono molte, moltissime cose di cui essere consapevoli e, con gli eventi che diventano più complessi è più facile perdere la nostra strada. Magari ti eserciti a focalizzare la tua attenzione su un solo aspetto della tua esperienza, come hai fatto nell'ultimo capitolo, ma alla fine tutto questo limita molto la portata e la ricchezza della tua reale esperienza.
La mindfulness non ti sarà di grande aiuto se ti limiti a fare gli esercizi e poi te ne dimentichi. E' necessario che tu faccia uno sforzo per portare la tua attenzione in modo più completo sui numerosi momenti della tua vita, pienamente, senza difese, in modo non giudicante, defuso e accettante. La pratica formale può aiutarti ad acquisire le abilità, ma è la pratica informale, l'utilizzo di queste abilità nella tua vita di tutti i giorni, a essere più importante.
Questo capitolo ti aiuterà a sviluppare modalità di approfondimento della tua esperienza con la mindfulness, chiedendoti di prestare attenzione ai numerosi e diversi tipi di esperienza nel momento in cui giungono alla tua consapevolezza. Ti darà inoltre idee concrete su come inserire la pratica della mindfulness nella vita di tutti i giorni.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 20-Feb-2011, 12:47
QUOTE (miki_70 @ Sabato, 19-Feb-2011, 20:48)
Mindfulness


La mindfulness è difficile, non perchè sia faticosa ma perchè è sfuggente, inafferrabile. Noi siamo costantemente presi all'amo dalle nostre previsioni e valutazioni verbali. Inoltre, la vita è complessa. Ci sono molte, moltissime cose di cui essere consapevoli e, con gli eventi che diventano più complessi è più facile perdere la nostra strada. Magari ti eserciti a focalizzare la tua attenzione su un solo aspetto della tua esperienza, come hai fatto nell'ultimo capitolo, ma alla fine tutto questo limita molto la portata e la ricchezza della tua reale esperienza.
La mindfulness non ti sarà di grande aiuto se ti limiti a fare gli esercizi e poi te ne dimentichi. E' necessario che tu faccia uno sforzo per portare la tua attenzione in modo più completo sui numerosi momenti della tua vita, pienamente, senza difese, in modo non giudicante, defuso e accettante. La pratica formale può aiutarti ad acquisire le abilità, ma è la pratica informale, l'utilizzo di queste abilità nella tua vita di tutti i giorni, a essere più importante.
Questo capitolo ti aiuterà a sviluppare modalità di approfondimento della tua esperienza con la mindfulness, chiedendoti di prestare attenzione ai numerosi e diversi tipi di esperienza nel momento in cui giungono alla tua consapevolezza. Ti darà inoltre idee concrete su come inserire la pratica della mindfulness nella vita di tutti i giorni.

La pratica quotidiana


Prima di procedere alla sucessiva serie di tecniche di mindfulness parliamo un momento di quando praticare la mindfulness.
Alla fine la risposta è "sempre". Il problema, con questa risposta, è che probabilmente non sei abituato a mettere in pratica la mindfulness. E' improbabile che ti ricordi casualmente di applicare le abilità di mindfulness nella quotidianeità, momento dopo momento, prima che queste abilità siano ben consolidate.
Per affronatare questo problema è una buona idea quella di trovare un pò di tempo da dedicare ogni giorno alla pratica della mindfulness. Una volta diventato naturale (se mai lo sarà), vedrai se questo sia ancora necessario.
L'idea di esercitarsi tutti i giorni nella mindfulness può sembrare scoraggiante, ma l'utilità è immediata e dopo un pò diventa piacevole farlo. Comunque, al di là del fatto che piaccia o meno, queste preferenze sono solo un altro contenuto che la mente produce, e tutta la questione stà nel riprendere il controllo della tua vita togliendolo alla macchina dei pensieri e delle parole.
Detto questo, è molto più efficace prendere semplicemente la decisione di esercitarsi ogni giorno e poi, semplicemente, farlo. Qui ci sono alcuni modi da utilizzare per impostare una pratica quotidiana della mindfulness.


1. Trovare il tempo. All'inizio è utile dedicare una quantità di tempo prestabilita ogni giorno, oppure ogni settimana, per praticare la mindfulness.
La prima cosa da fare è pensare quante volte alla settimana vuoi praticarla: il nostro consiglio è di esercitarsi in qualche forma di mindfulness ogni giorno, ma se nella tua giornata questo è impossibile, pensa a quanto tempo puoi dedicare.
Come seconda cosa, è una buona idea stabilire un tempo per la tua pratica. Un buon punto di partenza è dedicare tra i 15-30 minuti alla volta, poi, vedendo come va, puoi adattare questo tempo a tua scelta.

2. Rilassamento e distrazioni.Le persone sono spesso tentate di usare la pratica di mindfulness come un momento per rilassarsi. Questo è un errore: se sei rilassato, va bene, ma se sei teso, anche questo va bene. Lo scopo comunque non è rilassarsi ma essere consapevole di qualunque cosa ti stia succedendo senza evitamento nè fusione. Si tratta di acquisire e consolidare abilità che possono essere utili quando il repertorio verbale comincia a dominare le altre forme di esperienza.
Inizialmente è una buona idea trovare un luogo dove mettere in pratica le tecniche senza avere altro da fare, ma questo non significa eliminare ogni distrazione che la tua mente ti presenta. Se ti distrai, è semplicemente un fatto da notare. Osservalo, notalo, e poi procedi o continua nella pratica.

3. Star troppo male per far pratica. Non esiste una cosa come star troppo male per far pratica. In alcuni dei prossimi esercizi vedrai che, mentre stai effettivamente lavorando, emergeranno dei contenuti negativi: questo è solo un altro insieme di esperienze di cui essere consapevole (mindfulness). Non è un problema; è un'opportunità. Imparare che cosa fare quando queste esperienze emergono è quindi centrale e di vitale importanza per i tuoi obbiettivi. Far pratica sentendo per esempio un fastidioso prurito non è, in linea di principio, per nulla diverso dall'applicare le stesse abilità, per esempio, all'ansia e alla depressione.
Questo non significa intestardirsi contro circostanze impossibili. Se ti fa male la schiena e ti devi curare allora fallo. La perseveranza senza l'auto-consapevolezza è solo un tipo diverso di trappola. Con il tempo vedrai che se usi il dolore come scusa per scappare dalla pratica, e se te ne accorgi, allora potrai imparare come fare qualcosa di nuovo con il dolore.

Alla fine, la midfulness dovrebbe essere praticata come consapevolezza momento per momento, in tempo reale. Non è uno stato speciale in cui devi "entrare" come una trance o un'auto-ipnosi. Queste linee guida si propongono semplicemente di iniziare a mettere in pratica le tecniche: una volta che ti accorgi che la mindfulness entra nella tua vita quotidiana, deciderai se continuare con un ritmo di questo tipo.

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 21-Feb-2011, 19:55
La Pratica


La pratica della mindfulness consiste nell'entrare in contatto con la tua esperienza, momento per momento, in modo defuso e accettante.
Nelle tecniche precedentemente discusse, ti è stato chiesto di essere consapevole di specifiche areee della tua esperienza (per esempio i pensieri nel tempo, le sensazioni fisiche, la defusione dai giudizi impliciti): in questo capitolo ti verrà chiesto di prestare attenzione ad altri aspetti, ma le tue risposte non avranno bisogno di essere guidate da nient'altro che dall'esperienza che si presenta.
A volte ti si possono presentare molte cose contemporaneamente. Ci sono diversi modi in cui puoi gestire tutto ciò: a volte puoi passare da una sensazione all'altra in modo alternato, a volte sarai in grado di mantenere contemporeaneamente, nella sfera della tua consapevolezza, un numero diverso di cose. Alcuni esercizi, in effetti, ti chiedono di essere consapevole di più cose nello stesso momento.
Parte dell'inafferabilità della mindfulness è dovuta al fatto che è intenzionale e il concetto di intenzionalità evoca quello di giudizio e di valutazione. In realtà il fine ultimo della consapevolezza è quello di imparare come defondersi dai propri giudizi e valutazioni: il miglior modo di farlo è che non esiste un modo giusto o sbagliato di essere consapevoli. Sii semplicemente chi senti, e sperimenta esperienza diretta di essere nel momento presente (un sè consapevole che osserva). Se emergono valutazioni o giudizi, allora osservali, senza crederci e senza "non crederci". Se prendi alla lettera i tuoi giudizi verbali sui tuoi progressi, questo sarà un altro caso di fusione con la storia verbale che la tua mente genera. Se stai credendo ai pensieri che ti giudicano bravo o non bravo a essere consapevole, è proprio la macchina delle parole che sta prendendo il controllo ancora una volta.
Nell'esercitarti, permetti a te stesso di diventare più consapevole delle sensazioni, dei pensieri e dei sentimenti che stanno accadendo per te. Sii gentile e non giudicante (persino con i tuoi giudizi!). Questo non è un test, è solo vivere.

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 21-Feb-2011, 20:47
Esercizio. Sii dove sei.


Dopo aver letto questo testo per un pò di volte, chiudi gli occhi, e segui le istruzioni date.
Se vuoi puoi anche chiedere a qualcuno vicino a te di leggere le istruzioni mentre fai l'esercizio. Puoi anche registrare le istruzioni su un'audiocassetta e ascoltarle mentre pratichi l'esercizio (io ho fatto in questo modo PSICO-green.gif ).
Ricordati di non andare in panico se ti distrai durante l'esercizio, semplicemente riporati al momento presente e continua a seguire le istruzioni (una volta che avrai memorizzato i principi base dell'esercizio potrai farlo senza queste istruzioni).
Trova una posizione comoda. Puoi stare seduto su una sedia o sdraiarti sul pavimento o sul tuo letto. Chiudi gli occhi e fai qualche respiro profondo. Rilassati. Non lasciarti scivolare nel sonno, ma permetti al tuo corpo di riposarsi.
Adesso, lentamente, porta la tua consapevolezza ai polpastrelli delle dita. Senti le tue dita. Sfrega i tuoi polpastrelli uno sull'altro. Com'è questa sensazione? Puoi sentire le piccole scanalature sulla punta delle dita, che sono le tue impronte digitali? Prendi tempo e prova a sentirle. Come sono? I tuoi polpastrelli sono ruvidi per il molto lavoro o sono lisci e setosi? Che sensazione ti dà strofinarli uno sull'altro? Nota le sensazioni e poi prosegui.

Ora lascia riposare le tue dita dov'erano prima. Che cosa toccano adesso le dita? Stanno riposando sul copriletto? Oppure sul bracciolo della tua sedia? Com'è la sensazione che ti danno? E' soffice o dura? Ha altre caratteristiche particolari? Ne percepisci le fibre?
Il bracciolo ha qualche segno o è liscio? Prenditi il tempo per assorbire completamente il modo in cui senti questi oggetti sui tuoi polpastrelli.
Ora porta la tua attenzione alle tue mani e alle tue braccia. Come le senti? Forse sono rilassate e pesanti. Forse sono ancora tese da un lungo giorno di lavoro. In entrambi i casi va bene. Non c'è bisogno di giudicare, osserva semplicemente le sensazioni delle tue braccia e delle tue mani. Hai prurito o dolore? Prendine nota ma non fissarti su questo.
Nota semplicemente il dolore o il prurito e prosegui.
Sposta la tua attenzione in basso, sulle dita dei piedi. Muovile un pò. Sono nelle scarpe o sei scalzo? Sono libere di muoversi? Muovile avanti e indietro, sentendo ciò che c'è sotto. Com'è questa sensazione? Puoi dire cos'è solo attraverso la sensazione? Sei in grado di dirlo solo attraverso il tatto? Semplicemente nota le sensaioni mentre porti la tua cosapevoleza sui tuoi piedi.
Com'è messa la tua testa? Se sei seduto, la testa è allineata con la colonna vertebrale o è abbassata sul petto? Senza cercare di cambiare la posizione della testa nota semplicemente dov'è messa. Non c'è un modo giusto in cui deve stare la testa, semplicemente lascia che stia dov'è. Ora pensa alle sensazioni nella tua testa. Hai mal di testa? La testa è rilassata? E la faccia? Come senti la tua faccia? Ci sono tantissime sensazioni da esplorare sulla faccia. Pensa alla fronte. E' liscia e piatta o è corrugata per la tensione? Nuovamente, non cercare di cambiarla, semplicemente notala. Ora porta la tua consapevolezza al naso, riesci a respirare liberamente o è intasato? Inspira ed espira attraverso il naso alcune volte.
Com'è questa sensazione? Puoi sentire l'aria fresca che entra nei polmoni o è aria calda?
Presta attenzione a questa sensazione per un momento. Ora pensa alla tua bocca. In che posizione è la tua bocca? E' contratta? E' aperta? E' chiusa? E l'interno della tua bocca?
E' bagnato o asciutto? Riesci a sentire la tua saliva che riveste l'interno della bocca e della gola? Esplora tutte le sensazioni sulla faccia. Forse puoi sentire la pelle grassa o forse secca, forse non c'è nessuna sensazione. Semplicemente, notalo e procedi.
Ora porta la tua attenzione al petto e alla pancia. Metti una mano sul petto e una sulla pancia. Puoi sentirti respirare? Com'è? Respiri lentamente o velocemente? Il respiro và nell pancia o nel petto? Inspira attraverso il naso ed espira attraverso la bocca. Che sensazione ti da questo? Ora fai l'inverso, inspira attraverso la bocca ed espira attraverso il naso. Passa un pò di tempo con il tuo respiro poi rimetti le mani dov'erano prima.
Adesso pensa al tuo intero corpo. Non c'è bisogno di muoversi, semplicemente osserva.
Ora pensa alla stanza in cui sei. Dove sei posizionato nella stanza? Hai una percezione di dove sia la porta? E il soffitto? Riesci a sentire il tuo corpo nel contesto di questo spazio più esteso?
Quando sei pronto apri gli occhi e guarda intorno nella stanza, puoi muoverti se vuoi.
Nota dove sono i vari mobili nella stanza. Che aspetto hanno? Puoi passare tutto il tempo che vuoi a esaminare i differenti aspetti dei mobili. Ricordati di non giudicare, osserva semplicemente.
Quando sei pronto, puoi smettere questo esercizio e proseguire con la tua giornata.



Quando hai completato l'esercizio "Sii dove sei" per la prima volta, prenditi qualche minuto per commentarlo. Se vuoi, puoi continuare questa abitudine di scrivere le tue reazioni su un diario dopo ogni sessione, ma non è necessario.

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Inviato da: miki_70 il Martedì, 22-Feb-2011, 21:57
Esercizio. Camminata silenziosa


Molte culture hanno sviluppato diverse forme di meditazione camminata. Questo esercizio è una variante.
Prendi 10 minuti (o di più) e cammina in silenzio. Puoi camminare in cerchio nel tuo cortile, attorno a casa tua, o per il tuo quartiere. Prova a rimanere in silenzio durante tutto il percorso della camminata così da "ascoltare" il contenuto che la tua mente sta producendo.
Quando la tua attenzione è attirata da particolari oggetti nel tuo ambiente, da pensieri nella tua mente, o da sensazioni del tuo corpo, tira fuori queste cose dicendole tre volte.
Lo scopo della breve ripetizione di parole è di sostenerti nella defusione dei tuoi pensieri sull'evento. Per esempio, se cammini nel quartiere e vedi passare una macchina, dì a voce alta "macchina, macchina, macchina". Se ti senti stressato durante la camminata, di "stress" per tre volte. Nota quello che succede mentre lo fai.
Nota ogni volta che la tua attenzione è ripetutamente attratta da qualcosa. Per esempio, se vedi che continui a ritornare su certi pensieri o sentimenti durante la camminata, conserva con cura questa informazione. E' buona idea concentrarsi su queste questioni con altre abilità presentate in questo o nei capitoli precedenti.


Esercizio. Inscatolare


In questo esercizio ti verrà chiesto di notare la categoria del tuo contenuto psicologico così come si presenta. Questo esercizio può essere svolto da solo, praticamente insieme a qualsiasi altro esercizio di questi scritti, o può essere fatto mentre prosegui nelle tue normali attività quotidiane. Quando i pensieri, i sentimenti, o le sensazioni corporee si presentano, consapevolmente nota a quale categoria appartengono. Fallo ad alta voce se ti trovi in un luogo in cui puoi farlo. Non dare un nome specifico al pensiero o all'emozione; il punto è focalizzarsi solo sulla categoria alla quale il contenuto appartiene.
Ecco una lista delle diverse categorie tra le quali scegliere. Indubbiamente ne esistono molte altre, ma per lo scopo di questo esercizio, riferisciti alla lista seguente:

. emozione

. pensiero

. sensazione corporea (dì semplicemente "sensazione");

. valutazione

. urgenza di fare qualcosa (dì semplicemente "urgenza")

. ricordo


Quando fai questo esercizio fai precedere la descrizione del contenuto dalle parole "c'è".
Per esempio se senti che il tuo battito cardiaco è accellerato, dì "c'è una sensazione". Se reagisci a questa accelerazione con la paura che ti stia per venire un attacco di panico, puoi dire "c'è un'emozione". Se la paura è così grande da sentire il bisogno di chiamare un dottore potresti dire "c'è un'urgenza".
Puoi fare questo esercizio mentre sei seduto, ma anche mentre guidi, di notte mentre sei coricato a letto e sei sveglio, mentre cammini, e così via. Una volta iniziato cerca di continuarlo per almeno qualche minuto, se riesci anche di più. Se ti scopri a lungo silenzioso guarda se sei stato preso all'amo da un pensiero o da un sentimento che stavi seguendo. Poi ritorna all'esercizio.


Dare un nome al contenuto psicologico in base alla tipologia ti aiuterà a rapportarti al contenuto in modo più defuso. Per esempio su quello che dovrai fare più tardi, la classificazione "c'è un pensiero" ti iuta a rimanere presente con ciò che sta accadendo attualmente. Il pensiero può riguardare qualcosa da fare nel futuro, ma questo è puro contenuto: infatti il pensiero stesso si sta manifestando ora e notare questo è un'efficace abitudine mentale. Coltivare questa abitudine può essere utile anche quando si resentano dei contenuti psicologici molto più difficili (per esempio il pensiero che più tardi ti potrà venire un attacco di panico).


Inviato da: miki_70 il Giovedì, 24-Feb-2011, 20:46
Esercizio. Mangiare l'uva passa


L'uva passa è un frutto strano e piccolo e quando lo mangiamo, siama soliti buttarlo giù, senza pensarci più di tanto. E' sbalorditivo scoprire quanto possa essere più profonda l'esperienza con un'uvetta, se si tratta in modo pienamente consapevole.
Primo, prendi un acino di uva passa e mangiala nel modo in cui fai di solito.
Ora, prendi un'altro acino d'uvetta, mettila sul tavolo di fronte a te ed esaminala. Nota le grinze sulla buccia. Guarda le varie forme che le grinze fanno. Prendi un secondo acino di uvetta e mettila vicno alla prima, e nota come esse siano diverse. Non esistono due uvette identiche.
I due acini sono della stessa misura? Pensa a loro nei termini dello spazio che occupano nella stanza, nel mondo, nell'universo. Pensa alla loro in relazione una all'altra.
Ora prendi uno dei due acini di uvetta e fallo rotolare tra le dita. Sentine la consistenza sulla superficie esterna del frutto. Senti le tracce leggermente appiccicose che lascia sulle dita, mentre lo muovi avanti e indietro.
Porta in bocca l'uvetta. Falla rotolare in bocca, sopra e sotto la lingua. Nascondila nella fessura tra la mascella e la guancia. Non masticala per almeno trenta secondi o più.
Quando sei pronto, mordi l'uvetta e notane il sapore. Nota il modo in cui la senti tra i denti mentre la mastichi. Senti come scivola giù in gola quando l'ingoi.
Ora mangia il secondo acino di uvetta ma, stavolta, masticando molto, molto lentamente.
Masticalo più volte che puoi, finchè non diventa una poltiglia liquida nella tua bocca. Il sapore è diverso quando viene mangiato in questo modo rispetto a quello precedente? In che modo cambia? Cosa senti in bocca quando si fa in pezzi? Come la senti quando l'ingoi? Com'è rispetto all'uvetta mangiata precedentemente? Che cosa cambia quando mangi l'uvetta in modo pienamente consapevole, rispetto a quando semplicemente la butti giù? Scrivi sul quaderno le risposte a queste domande:

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Esercizio. Bere il tè


Ora proveremo un esercizio simile con un atazza di tè.

1. fai bollire un pentolino d'acqua

2. prendi una bustina di tè o un filtro riempito di foglie di tè e mettilo in una tazza

3. versaci sopra l'acqua bollente e riempi la tazza

4. lascia riposare l'infusione


Mentre le foglie di tè si bagnano osserva l'acqua cambiare colore. Mentre la versi sopra il tè, l'acqua diventerà di un leggero colore marrone, verde o rosso (a seconda del tipo di tè che stai usando). Presto sarà più scura. Lascia riposare per qualche minuto e poi rimuovi il filtro. Guarda attentamente il colore del tè: c'è qualcosa che non avevi notato riguardo al colore prima? Se è così, annota le tue osservazioni:

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Ora metti le mani attorno alla tazza calda. Hai mai sentito prima d'ora una tazza di tè in questo modo? Come la senti? E' bollente o solo calda? Nota la temperatura.
Porta la tazza alle labbra. Senti il vapore che ti arriva. Soffia nella tazza e senti il vapore salire verso le labbra. Annusa il tè. Aspira con un lungo respiro. Il novanta per cento del gusto è controllato dal naso. Se non stai annusando il tuo tè, non lo stai gustando.
Ora bevi un sorso. Scotta le tue labbra? E' troppo bollente? O è piacevole e caldo? Di cosa sa?
Cerca di notare le tue esperienze senza giudicarle. Poi descrivi la tua esperienza:

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Se non ti piace il tè non importa. Prova semplicemente l'esercizio. Nota quanto non ti piace il tè mentre loassaggi e scrivi questa eseprienza, non bisogna certamente praticare la consapevolezza del presente solo nei momenti di piacere. In questo modo si eliminirebbe metà della vita. Sai che avrai delle esperienze spiacevoli, così puoi provare a esperire anche queste pienamente, per quelle che valgono veramente.


Esercizio. Mangiare consapevolmente

Per iniziare, fa tutto lentamente durante il pasto. Prendi tempo per eseguire ogni azione e nota qual'è la tua esperienza mentre ci sei dentro. Mentre porti una forchetta alla bocca o tagli la carne, nota com'è questo per te. Mentre metti in bocca un pezzo di cibo e lo mastichi, pensa al sapore e alla consistenza del cibo. E' piacevole o sgradevole? Non giudicarlo, notalo semplicemente.
Vedi che pensieri o sentimenti particolari si presentano durante il pasto? Se è così nota semplicemente anche questo. Puoi usare alcune delle tecniche utilizzate in questi scritti per aiutarti a fare questo.
Stai mangiando con un amico o un partner? Stai mangiando da solo? Prova a osservare la tua mente mentre interagisci con le persone con le quali stai mangiando. E' interessante notare anche il tipo di pensieri ed emozioni che si presentano mentre mangi da solo.
Poichè tutti per vivere abbiamo bisogno di dedicare del tempo al mangiare, mangiare consapevolmente è un ottimo modo per praticare il contatto con il momento presente e sfruttare al meglio il proprio tempo.




Gli esercizi precedenti sono un piccolo sottoinsieme di una pratica più ampia nota come mangiare consapevolmente (mindful eating). Ci sono tanti modi per praticarlo quante sono le scuole che praticano la mindfulness. Alcuni metodi ti chiedono di mangiare lentamente, altri di masticare ogni boccone di cibo cinquanta volte, alcuni di mangiare un limitato numero di pasti, altri di osservare le tue risposte di fame mentre stai mangiando, e così via.
In molte culture occidentali (in particolare negli Stati Uniti), non prestiamo molta attenzione al cibo che mangiamo. In un mondo dove ogni cosa è sovra dimensionata e dove il buger è king, tendiamo a pensare al cibo come a poco più che un fattore necessario per la sopravvivenza. Ancor peggio, tendiamo a credere che questo fattore sia scontato come l'aria che respiriamo. Crediamo che il nostro cibo sia garantito.
Nel contesto di questi scritti il fine di mangiare consapevolmente non è l'attività di mangiare in sè: è un modo per praticare la mindfulness. Diventare consapevole del proprio comportamento di nutrizione piuttosto che farlo solamente in fretta e di corsa è un modo eccellente per riportare se stessi al momento presente. Ossrevare te stesso mentre mangi è un ottimo modo per esercitarti a spostare te stesso dal tuo sè concettualizzato. Non importa se ami magiare. La cosa impotante è praticare il contatto con il momento presente.
Per fare ciò puoi usare delle tecniche e dei modi già usati per gli esercizi precedenti, continua solamente la pratica per un intero pasto. Prenditi un pò di tempo nel prossimo pasto e prova a farlo.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 25-Feb-2011, 21:03
Esercizio. Ascoltare la musica classica


Questo è un esercizio interessante che ti può fornire un'idea sul modo in cui focalizzare la tua attenzione su aspetti specifici di un insieme complesso di stimoli, fare concentrare su diverse cose allo stesso tempo, o semplicemente permettere a tutta la tua esperienza di essere completamente raccolta in una canzone che fluisce. La musica classica può servire da interessante metafora a riguardo; inoltre ascoltare musica classica può essere di per sè un otimo esercizio di mindfulness.
Scegli un pezzo di musica classica, quello che preferisci, una sinfonia, un concerto, o un quartetto d'archi, l'importante che sia un pezzo suonato da diversi strumenti contemporaneamente. Una sonata solo per piano o violino non funziona per questo esercizio (anche se non ami la musica classica prova lo stesso; l'attività può essere fatta anche con altre forme di musica, ma abbiamo trovato che certe distinzioni appaiono più chiaramente nella musica classica rispetto agli altri generi; certamente puoi fare questo esercizio anche in una sala da concerti).
Accendi lo stereo e comincia l'ascolto come faresti solitamente. Dopo esserti scaldato un pò con la musica, porta la tua attenzione su un suono particolare o su un gruppo di strumenti, se è una sinfonia ascolta per esempio la sezioni d'archi. Riesci a distinguere il suono del violoncello da quello dei violini? E il contrabasso? Riesci a separare il suono del contrabasso dal resto degli archi?
Ora sposta la tua attenzione su uno strumento o su una sezione di orchestra diversi. Riesci a sentire i corni? E le percussioni? E gli strumenti a fiato? Prova a nominare i diversi strumenti mentre li senti. Se la musica classica non ti è particolarmente familiare, basta che tu noti i diversi tipi di suoni.
Noti che succede qualcosa mentre sposti l'attenzione avanti e indietro tra i diversi strumenti? Inizi a focalizzare sul suono di un singolo strumento o di una sezione? In questo caso, dove vanno le altre sezioni dell'orchestra? Sperimenta questo spostando il focus dell'attenzione avanti e indietro, tra i diversi suoni.
Ora prova a tenere in mente due gruppi di suoni alla volta: per sempio, cerca di seguire gli archi e i corni e cerca di non farti prendere dalla musica. Nota consapevolmente e dà un nome ai suoni. Puoi allargare questo esperimento cercando di seguire allo stesso modo altri gruppi di strumenti; oppure osservando il modo in cui la tua mente si sposta avanti e indietro tra i suoni. In quale momento sei consapevole di molteplici suoni? Se vuoi puoi giocare un pò con questi aspetti.
Quando hai sperimentato l'ascolto di singoli suoni e la differenza rispetto all'ascolto di molteplici suoni, riporta la tua attenzione sull'intero brano musicale. Diventa consapevole di tutti gli strumenti che suonano contemporaneamente. Ti trovi a notare certi suoni più di altri? Riesci a sentire tutti i differenti strumenti mentre ascolti il brano di musica nella sua interezza? Che cosa accade quando ascolti tutti gli strumenti insieme? Cambia in un suono diverso e più gande? Cerca di identificare il momento in cui i singoli suoni vengono assorbiti, compresi, dall'intero brano di musica. Osserva con consapevolezza il modo in cui interagisci con il suono.

n-b. effettivamente questo esercizio è abbastanza difficile, si può provare con altre forme musicali. La cosa interesante è che la modalità in cui scoltiamo la musica, in un certo modo, imita il modo in cui ascoltiamo la macchina delle parole che noi chiamamo mente.





Esercizio. Sii consapevole dei tuoi piedi mentre leggi questo


Porta la tua attenzione su i tuoi piedi. Pensa a come li senti esattamente dove sono. Cerca di rimanere consapevole dei tuoi piedi mentre leggi le prossime righe.

Ambarabà cici cocò
Tre civette sul comò
Che facevano l'amore
Con la figlia del dottore
Il dottore si ammalò
Ambarabà ciccì cocò


Sei stato in grado di rimanere consapevole dei tuoi piedi mentre leggevi questa filastrocca da bambini? Hai notato che la tua consapevolezza si spostava avanti e indietro tra il contenuto delle frasi sopra e i tuoi piedi? O eri in grado di mantenere la cosapevolezza sui tuoi piedi mentre leggevi le frasi?
Prenditi alcuni minuti per rispondere a queste domande.

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Questo esercizio è particolarmente interessante a diversi livelli. In primo luogo ti chiede di dividere la tua attenzione a metà, rimanendo cosapevole dei tuoi piedi mentre leggi una filastrocca per bembini. L'altra cosa interessante di questo esercizio è che somiglia al modo in cui talvolta siamo talmente presi dalle nostre stesse storie, da dimenticarci delle altre cose che ci stanno succedendo.
Quando la storia della tua depressione, della tua ansia, o della bassa tua autostima ti afferano succede che ti scordi che ci sono altre cose che ti stanno succedendo. Quella storia è l'unica cosa di cui ti interessi, l'unica cosa che noti. Potresti fare attenzione anche ai tuoi piedi, alle tue mani, alla qualità dell'aria intorno a te, o ai milioni di altri fattori che si stanno svolgendo dentro di te e nel tuo ambiente, nello stesso tempo in cui le storie del tuo stress psicologico sono generate. Tuttavia, ricorda che l'obiettivo non è quello di pensare ai tuoi piedi per dimenticare o ignorare il dolore in cui ti trovi. Focalizzarsi sui tuoi piedi serve a essere nel momento presente, deliberatamente e in modo flessibile, come tu desideri.
Puoi fare questo stesso esercizio mentre leggi il giornale, o anche questi scritti. Seleziona qualcosa di specifico a cui essere presente e vedi se tu puoi focalizzarti su di esso mentre, simultaneamente, rimani molto focalizzato sulla tua lettura.



Inviato da: miki_70 il Domenica, 27-Feb-2011, 10:26
Esercizio. Stare semplicemente seduti


E' una forma di meditazione nella quale non ci sono "obiettivi" di cui parlare. Ci sono, tuttavia, alcune cose da tenere in mente durante la pratica. Ricordi l'esercizio in cui osservavi i tuoi pensieri trasportati dalla corrente sopra foglie galleggianti? Buona parte della meditazione seduta riguarda questa abilità. Non hai bisogno di focalizzarti su nulla in particolare e non devi nemmeno provarci. Semplicemente lascia che la tua mente generi ciò che vuole e osserva cosa fa nel tempo. Lascia che i pensieri arrivino e se ne vadano: osservali semplicemente passare.
Inevitabilmente, ci saranno momenti in cui rimmarrai impigliato nei tuoi pensieri. Forse cominci a sognare ad occhi aperti, o resti intrappolato nel tuo dolore psicologico. Forse pensi a cosa hai mangiato a colazione, a che ora torneranno da scuola i bambini, che film vorresti vedere questa sera, o a un ex ragazza/o che non vedi da anni: come sai, la mente è estremamente abile a creare pensieri. Probabilmente stando seduto silenziosamente, ti sembrerà che questo talento naturale della tua mente sia amplificato. Ci saranno forse milioni di pensieri che fluiscono attraverso la tua mente ed è probabile che ti trovi impigliato in loro di tanto in tanto.
Quando ciò accade, nota solo che è avvenuto, e cerca di riportarti indietro al momento presente a al tuo sè che osserva. Nota che sei stato in un pensiero e poi ritorna ai qui e ora: avendo praticato questa abilità nel corso degli esercizi precedenti dovresti ormai avere una sensibilità su come farlo.
Puoi utilizzare alcune tecniche di defusione che hai imparato precedentemente: una particolarmente efficace nella meditazione seduta, è quella di dare un nome ai tuoi pensieri, mentre guardi i tuoi pensieri passare davanti all'occhio della tua mente puoi dire:" Ho il pensiero di aver bevuto un cappuccino a colazione", o " Ho il sentimento di essere triste". E' utile anche notare quando piano piano ti allontani e persino il pensiero con cui ti sei allontanato:" Ho sognato a occhi aperti la mia ex ragazza. Ho il pensiero di aver sognato a occhi aperti".
Puoi anche utilizzare l'esercizio "Inscatolare" descritto precedentemente, che è particolarmente efficace mentre stai semplicemente seduto, perchè è breve ma ti permette comunque di notare i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti e le tue sensazioni fisiche quando vanno e vengono.


Segui il tuo respiro


Un' altra pratica che puoi aggiungere alla meditazione seduta è il seguire il tuo respiro. Basta solamente osservare il tuo respiro entrare e uscire dal corpo. E' un fatto naturale: senti il respiro entrare, senti il respiro uscire. Lascia che avvenga senza ostacolarlo. Se vuoi puoi contare i tuoi respiri, da uno a dieci: una volta che hai raggiunto il dieci, ritorna a uno. Semplicemente, continua a osservare il tuo respiro.
Quando stai semplicemente seduto, arriverà qualsiasi tipo di contenuto. La tua rabbia, la tua depressione, l'ansia, la bassa autostima, tutte queste potranno emergere. Osservale semplicemente andare e venire. Quando si presentano, trattale con gentilezza, allo stesso modo in cui daresti un buffetto sulla testa a un bambino ospite per riconoscere la sua presenza.


Dolore fisico


Un aspetto che molto probabilmente comparirà mentre stai seduto, in particolare quando stai seduto per periodi sempre più lunghi di tempo, è il dolore fisico. Il dolore può essere un forte elemento di distrazione per rimanere seduti. Il dolore fisico è un fenomeno incredibile. E' sorprendente quanto la tua mente vi si possa focalizzare. Ti ricordi gli studi sul dolore cronico e sulla disponibilità a provarlo? Cercare di liberarsi dal dolore fisico, può essere un evitamento dell'esperienza, tanto quanto cercare di fuggire dal dolore emotivo. Per questo raccomandiamo di provare a stare seduto con il tuo dolore, piuttosto che alzarti e spostarti quando senti di "non farcela più". Se fai pratica, scoprirai che si può convivere con molto più dolore di quanto tu abbia mai creduto possibile.
E' molto probabile che il dolore fisico costituirà la tua più grossa tentazione a muoverti. Per i principianti, questa è una regola quasi universale. Tutti passano all'inizio per il dolore nello stare seduti. Stai seduto con il dolore più tempo che puoi: se proprio non ce la fai a tenere la posizione, muoviti solamente quanto basta per assestarti, poi riprendi la posizione. Se abbandoni ed eviti l'esperienza che il dolore porta, ti condizionerai a non sederti affatto.
Se sei tu a scegliere di non sederti, è una cosa: se permetti all'evitamento esperenziale di importi questa scelta, allora sei caduto nella stessa vecchia trappola.
Certo, devi prenderti cura di te stesso, se hai un problema fisico te ne devi occupare. Sii gentile con te stesso. Spingiti dolcemente in avanti e continua con la tua pratica.


La posizione


Quando ti siedi sulla sedia assicurati di mantenere la colonna vertebrale dritta. Non appoggiare la schiena contro lo schienale della sedia, siedi più verso il centro o l'esterno della sedia e lascia che il corpo mantenga una posizione eretta senza il supporto della sedia. Le ginocchia formeranno un angolo di novanta gradi con l'articolazione dell'anca. I piedi dovrebbero poggiare saldamente sul pavimento, con un'apertura corrispondente all'incirca alla larghezza delle spalle, con le dita dei piedi che puntano dritto di fronte a te.

Inviato da: giovannalapazza il Martedì, 01-Mar-2011, 14:46
non ho il coraggio di spostare nemmeno questo
magari i nuovi vedono prima questa cartella che l'altra
lo copierò

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 02-Mar-2011, 00:12
QUOTE (giovannalapazza @ Martedì, 01-Mar-2011, 13:46)
non ho il coraggio di spostare nemmeno questo
magari i nuovi vedono prima questa cartella che l'altra
lo copierò

Capo, come ritieni più opportuno PSICO smile.gif
Vorrei informare gli utenti che leggono questo programma, che se vogliono, possono scrivere qui commenti, considerazioni, fare domande, etc, etc, etc.

PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 02-Mar-2011, 01:43
La mindfulness nel contesto


Tutti i materiali forniti in questo 3d funzionano insieme. Molte tecniche che hai imparato in questo capitolo ti saranno utili mentre entri nelle altre componenti del programma ACT. Non solo vorrai portare con te la mindfulness nella tua vita quotidiana, ma avrai bisogno di portarla con te in questo programma. In effetti, puoi prendere con te la mindfulness e muoverti anche all'indietro negli scritti.
Se senti di aver bisogno di fare più esercizio nella defusione cognitiva, prendi con te queste strategie di mindfulness e rivedi alcuni post ed esercizi precedenti.
E' anche vero che, come detto in diversi punti di questo capitolo, molte delle tecniche presentate qui possono essere usate congiuntamente ad altre.
Prova e vedi che cosa funziona per te. Sentiti libero di usare, allo stesso tempo, diverse pratiche di mindfulness e di combinare le tecniche se vedi che per te funziona. Non ci sono regole rigide per dirti come "devi" essere consapevole. Fà ciò che ha senso per te.
Non c'è sempre un modo "giusto" di essere. Fingere che ci sia ti condurrà semplicemente indietro, nelle trappole che i tuoi repertori verbali generano così bene. La mindfulness non è un modo di vivere più "giusto" di quanto non lo sia qualsiasi altro. La pratica serve ad aiutarti a incrementare la tua flessibilità psicologica, a permetterti di allargare il repertorio di risposte che puoi dare in ogni data situazione. Molti studi hanno dimostrato che incrementare la flessibilità psicologica è molto utile per quelle persone che stanno soffrendo di quel tipo di stress che ti hanno portato a prendere visione di questo 3d e lavorare con esso.
Nessuna delle tecniche presentate in questo capitolo funzionerà semplicemente leggendola, non più di quanto leggere di ginnastica potenzierà i tuoi muscoli. Le tecniche avranno valore per te solo se le metterai in atto, e se lo fai ripetutamente. Se hai letto questo capitolo con lo scopo di capire, bene. Hai capito. Ora mettilo in pratica. Avrai bisogno di queste abilità mentre ci muoviamo ora, deliberatamente, verso la parte più importante di tutto il programma, cioè verso il dolore.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 02-Mar-2011, 21:11
Disponobilità:

che cos'è

e che cosa non è



Abbiamo precedentemente definito l'accettazione e la disponibilità approsimativamente come una risposta alla domanda "mi accetti per quello che sono?".
Abbiamo detto che essere accettante e disponibile vuol dire rispondere di si all'universo di esperienze private vissute nel momento presente. C'è una frase di Dag Hammarskjold, ex segretario generale delle Nazioni Unite, che esprime un pò del potere che ha il dire sì a ciò che la vita e la tua esperienza offrono:


"Io non so chi- o cosa- ha posto la domanda, non so neanche quando è stata fatta. Io non ricordo nemmeno di aver risposto. Ma a un certo punto io ho risposto di sì a qualcuno- o a qualcosa- e da quel preciso istante sono stato sicuro che la mia esistenza era piena di sgnificato e che, per questo, la mia vita, affidandomi, avesse un obbiettivo".


In questa parte che riguardano specificatamente il concetto di disponibilità proveremo a definire cosa significa dire di sì e faremo pratica nel farlo. Prima, comunque, devi decidere se questo è per te il momento giusto. Per farlo è necessario che tu abbia chiaro che cosa c'è da accettare. Se sai che cosa ti è necessario accettare in modo che tu possa procedere verso ciò che ti sta veramente a cuore nella vita, allora questo è il momento.
Se non ne sei sicuro, aspetta. Per adesso leggi soltanto.


Che cosa è necessario accettare

In un certo senso l'accettazione delle tue esperienze è necessaria, anche quando la situazione richiede a gran voce di cambiare intenzionalmente la tua esperienza. Se, accidentalmente tu poggiassi la mano su una stufa bollente, la tireresti via immediatamente. Se fai abbastanza in fretta, riesci anche a evitare che la pelle si lesioni e il dolore può passare in pochi secondi. Ma, per fare questo, prima devi sapere che ti stai facendo male.
Uno degli effetti collaterali più tragici dell'indisponibilità cronica a sentire, è che iniziamo a perdere la capacità di sapere che cosa stiamo evitando. L' "alessitimia" (letteralmente: mancanza di parole per le emozioni") è un chiaro esempio di questa indisponibilità e riluttanza a entrare in contatto con ciò che si prova. Se eviti cronicamente quello che provi, alla fine non capirai più cosa stai provando. Questo è male per due ragioni. Inanzitutto è molto più facile che questo ti porti a commettere errori importanti nella tua vita, per esempio avviare una pessima relazione affettiva, perchè non senti e non riconosci quei segnali che le tue stesse emozioni potrebbero darti riguardo al fatto che il nuovo partner è molto simile a quelli passati che non andavano bene per te.
Oppure, non riconoscendo quelle sottili emozioni che avrebbero potuto avvertirti, inizi un lavoro malsano o eccezionalmente stressante. Proprio come la persona che ha perso la sensibilità al dolore, chi evita l'esperienza può mettere la sua "mano psicologica" sulla stufa bollente e lasciarla lì a bruciare senza accorgesene. In secondo luogo, è noto che chi evita le proprie esperienze, in realtà tende a rispondere più intensamente agli eventi, sia positivi che negativi (Sloan, 2004). Per mantenere la distanza dal dolore, che altrimenti potrebbe sentire più acutamente di altri, chi evita l'esperienza rimane distaccato anche dalla gioia che potrebbe sentire più intensamente delle altre persone.
Il nostro punto di vista generale è che l'accettazione non significa che le tue emozioni cambieranno, proprio come la defusione non significa che i tuoi pensieri cambieranno. Ironicamente, se un cambiamento è possibile, è molto più probabile che avvenga quando adottiamo un atteggiamento accettante e defuso. Quando, per esempio, eviti di entrare in una relazione malsana hai evitato sia il dolore che il danno, proprio come togliere la mano dalla stufa evita sia il dolore che il danno: ma prima hai dovuto sentire il dolore, altrimenti non avresti tolto la mano.
Ci sono altri tipi di dolore che non sono come una stufa bollente. Sono forme di dolore che accompagnano azioni sane oppure sono di natura storica, condizionata, e non basate sulla situazione corrente. Se fai esercizio fisico molto intensamente, i tuoi muscoli saranno doloranti; se studi duramente, poi sarai stanco; se ricordi una perdita passata, sarai triste, se ti apri a una nuova relazione intima, ti sentirai vulnerabile, se ti sta a cuore il mondo, saprai che ci sono altre persone che stanno soffrendo. La maggior parte del dolore psicologico sembra essere di questo tipo.
L'ansia non è solitamente basata su un pericolo reale; la depressione non è solitamente basata sulla situazione obbiettiva attuale. I sentimenti di natura storica, condiizionata, e non causati direttamente dalla situazione attuale, sono così. Alcuni di questi sentimenti e sensazioni non sono buone guide per agire: per esempio, una persona che ha sofferto per un abuso può essere spaventata dall'intimità, anche se il partner attuale di questa persona è sensibile e gentile.
In questo genere di situazioni, accettazione e disponibilità sono necessarie per una seconda ragione: senza di loro, non sono possibili azioni salutari. Prendi una persona con un disturbo da attacchi di panico che ha avuto forti attacchi nei centri commerciali e da tempo non osa tornarci: l'ansia è in gran parte, una reazione condizionata. Se lo shopping, la libertà di movimento, lo svago e così via, sono importanti per questa persona, alla fine, sarà ora di rientrare in un centro commerciale. Questo non significa che il condizionamento sarà allora megicamente sparito. Quando questa persona entrerà nuovamente in un centro commerciale, indovina cosa affronterà? L'ansia. Se questo è inaccettabile, questa persona adesso ha una barriera insormontabile davanti.
Ironicamente, come già detto prima, l'ansia è solamente accresciuta dai tentativi diretti di liberarsene. Se questa persona decidesse di aspettare finchè l'ansia non sparisca, dovrebbe aspettare veramente parecchio tempo prima di ricominciare nuovamente a vivere.
In questo programma, quando parliamo di "accettazione" o di "disponibilità", non ci riferiamo all'accettare situazioni, eventi, o comportamenti facilmente e prontamente modificabili. Se sei abusato da un'altra persona, non è richiesta e non è utile "l'accettazione dell'abuso". Ciò che si richiede è l'accettazione del fatto che tu stia provando dolore, l'accettazione dei ricordi difficili che questo produce e l'accettazione della paura che verrà nel percorrere i passi necessari per fermare quell'abuso.
Se hai un problema di dipendenza, l'accettazione del tuo abuso di sostanze non è ciò che ti è richiesto o che probabilmente è utile. Ciò che si richiede è l'accettazione della spinta e della sensazione di urgenza nell'utilizzare la sostanza, o l'accettazione del senso di perdita che può risultare dal rinunciare alla tua strategia di fronteggiamento favorita, o l'accettazione del dolore emotivo che arriverà quando smetterai di affidarti alle droghe o all'alcool per regolare le tue emozioni.
Già adesso potresti sapere ciò che devi accettare per andare avanti.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 02-Mar-2011, 21:30
Ora guarda le seguenti domande e vedi cosa emerge per te. Se non sai cosa scrivere, puoi semplicemente passare alla domanda sucessiva.


Esecizio. Cosa è necessario accettare


I ricordi e le immagini che io evito di più comprendono:

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Evitare questi ricordi e queste immagini mi costa nei seguenti modi:

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Le sensazioni fisiche che io evito comprendono di più:

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Evitare queste sensazioni fisiche mi costa nei seguenti modi:

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Le emozioni che io evito di più comprendono:

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L'evitare queste emozioni mi costa nei seguenti modi:

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I pensieri che io evito di più comprendono:

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Evitare questi pensieri mi costa nei seguenti modi:

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Le predisposizioni all'azione e gli impulsi che io evito di più comprendono:

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Evitare queste predisposizioni all'azione e gli impulsi a rispondere mi costa nei seguenti modi:

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Abbiamo appena elencato cinque domini di evitamento (ricordi e immagini, sensazioni fisiche, emozioni, pensieri, predisposizione all'azione e impulsi) e ti abbiamo chiesto quali costi stai pagando in ciascuno di questi domini. Se sei riuscito a rispondere alle domande in due o più domini della lista e se due o più di questi hanno costi chiari, allora sei pronto per procedere.



Inviato da: Le Cimetière des Arlequins il Giovedì, 03-Mar-2011, 11:28
Molto interessante, grazie Miki.

Gli attacchi di panico non mi fanno più paura, la TBS mi ha insegnato a gestirli senza esserne spaventata.
Però fa sempre bene soffermarsi a riflettere su certe dinamiche.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 05-Mar-2011, 00:29
QUOTE (Le Cimetière des Arlequins @ Giovedì, 03-Mar-2011, 10:28)
Molto interessante, grazie Miki.

Gli attacchi di panico non mi fanno più paura, la TBS mi ha insegnato a gestirli senza esserne spaventata.
Però fa sempre bene soffermarsi a riflettere su certe dinamiche.

Grazie a te, Eli PSICO-kiss.gif

Inviato da: miki_70 il Sabato, 05-Mar-2011, 02:08
L'obiettivo della disponibilità


L'obiettivo della disponibilità è la flessibilità. Quando sei in grado di essere pienamente presente nel qui e ora, senza essere giudicante e senza allontanare le esperienze (pensieri, sentimenti, emozioni, sensazioni fisiche, etc.) hai moltà più libertà per intraprendere i passi necessari per agire. Se sei disposto ad avere un'emozione, un sentimento, un pensiero o un ricordo, invece di tentare di controllarlo, allora l'agenda del controllo è indebolita e tu sei libero dalle inevitabili conseguenze di questa agenda. Queste conseguenze sono abbastanza prevedibili. Innanzitutto, tu perdi la guerra con i tuoi stessi contenuti interni. Se ti rifuti di avere questi contenuti interni, ce li hai. Se non sei disposto a perderla, l'hai persa. Poi, perdi l'abilità di controllare il tuo stesso comportamento in modo flessibile ed efficace.


Cosa non è la disponobilità.


Non è facile essere disponibili, anche se ciò non richieda molti sforzi. La disponibilità è difficile nel senso che è "sfuggente", non nel senso di "faticosa". E' sfuggente perchè è ua azione che gli esseri umani possono apprendere, le menti nò. Le nostre menti non possono comprendere pienamente la disponibilità, poichè la disponibilità è non- giudicante ed esiste nel presente, mentre le modalità con cui le menti funzionano è basata su relazioni temporali e su valutazioni (ricordi come abbiamo usato le nostre menti per trovare il modo di togliere una vite dalla tavola di legno?). Per questo motivo, per iniziare il lavoro sulla disponobilità è utile chiarire ciò che essa non è. In questo modo, quando la tua mente ti dirà che la disponibilità è qualcosa che non è, il messaggio può essere preso con un pizzico di buon senso.



La disponibilità non è "volere".


Nell' ACT, all'inizio, ai pazienti si chiede, se sono disponibili ad avere particolari esperienze private (per esempio, un'emozione negativa), la risposta più comune è "No, non la voglio". Ma questa risposta è piùttosto eloquente: la disponibilità non è una questione di "volere".
Il "volere" indica il desiderare cose che mancano, non avendole. Se guardi le risposte che hai scritto - i ricordi, le immagini, le sensazioni fisiche, le emozioni e i pensieri che eviti - non stavi certo dicendo che ti "mancano".
Se disponibilità significasse volere, nessuno sarebbe disponibile ad avere dolore. Una persona con un disturbo d'ansia non salterà mai giù dal letto la mattina dicendo:" Ehi, mi manca il mio attacco di panico!".
Puoi pensare alla disponibilità allo stesso modo in cui penseresti di accogliere e dare il benvenuto a un ospite. Immagina di voler invitare a casa tua, per una festa tutti i tuoi parenti. Tutti decidono di venire: il tuo preferito, zio Maurizio, il tuo secondo cugino Filippo, la tua cara sorella Chiara. Arrivano a casa tua decine di persone, e ognuno, te compreso, sembra trascorrere piacevolmente il tempo. Quando ti guardi attorno, sei contentissimo nel vedere che sono venuti e tutti sembrano altrettanto felici e vanno d'accordo tra di loro. Poi, quando vedi una certa macchina arrivare davanti a casa, il tuo cuore sobbalza: si tratta della famigerata zia Ida. Lei si lava molto raramente, non ha parole gentili per nessuno, e specialmente per te. Adora lanciarsi sul tuo cibo e divorarlo, ma raramente dirà qualcosa come un grazie. Ma tu hai detto a tutta la famiglia :"Ognuno è il benvenuto".

La domanda allora è :"E' possibile dare veramente il benvenuto a zia Ida, anche se realmente non volevi che lei fosse qui?". Molti di noi si sono trovati in questa situazione e sappiamo la risposta: dare il "Benvenuto" e accogliere non è la stessa cosa di "Volere". Al livello di base, puoi dare il benvenuto a zia Ida facendola entrare nella tua casa, riconoscendo la sua presenza, chiedendole come sta e lasciando che si unisca alla festa. Tu lo fai perchè tieni alla tua famiglia, e zia Ida è parte della famiglia. Nulla di questo richiede che tu prima decida "A questa festa manca zia Ida". "Volere" che lei venga alla tua festa non è il punto. Essere disponibili ad averla lo è.
Ora supponi di decidere :"Al diavolo! Non la lascerò entrare!". le sbatti la porta in faccia e quando lei bussa, ti appoggi alla porta, e le gridi :"Vai via!". Sicuramente poi accadranno diverse cose. Primo, la tua non è più una gran festa, non fai più cose divertenti, stai solo cercando di tenere fuori zia Ida. Secondo, gli altri invitati sentono tutta la tensione che c'è nell'aria, si agitano, si mettono a discutere con te, vogliono lasciare la festa, o si isolano in una parte lontana della casa: quando loro iniziano a lasciare il salotto, zia Ida diventa sempre più al centro dell'attenzione. Terzo, tu non sei più in grado di muoverti; sei bloccato alla porta, almeno per te la festa è finita. Chiuso.
Ora, immagina che invece di cercare di tener zia Ida fuori dalla porta, tu decida di lasciare il tuo attaccamento ai tuoi "voglio" mantenedo la decisione iniziale di dare il benvenuto a tutti i tuoi ospiti. Mostri a zia Ida dov'è il vino, le offri qualche pasticcino e l'aperitivo e l'inviti a sedersi in salotto in mezzo agli altri.
Ora, anche se continui a non volere che zia Ida sia qui, tu e i tuoi ospiti potete gustarvi la vostra festa, puoi mescolarti a loro, sei libero di andare e venire, fare e brigare. Allo stesso modo zia Ida. La disponibilità è esattamente così.
Quello a cui si riferisce questa metafora sono chiaramente tutte le emozioni e i ricordi e i pensieri che emergono e che non ti piacciono. Ci sono molte zia Ida alla tua porta. Se aspetti che se ne vadano prima che la festa inizi, questa non inizierà. Il punto è come ti poni riguardo alle tue proprie esperienze.


PSICO smile.gif

Inviato da: DrowningLessons il Sabato, 05-Mar-2011, 14:40
Questo ultimo post è meraviglioso. Grazie Miki. Verrà stampato, e messo nella cartellina speciale...spero di riuscire a seguire i suoi insegnamenti...

Inviato da: miki_70 il Domenica, 06-Mar-2011, 00:10
QUOTE (DrowningLessons @ Sabato, 05-Mar-2011, 13:40)
Questo ultimo post è meraviglioso. Grazie Miki. Verrà stampato, e messo nella cartellina speciale...spero di riuscire a seguire i suoi insegnamenti...

I suoi insegnamenti? blink.gif
Ti riferivi a me o a Steven C. Hayes? laugh.gif

Inviato da: DrowningLessons il Domenica, 06-Mar-2011, 11:22
In realtà, mi sono espressa male...tongue.gif Intendevo i consigli che vengono proposti DAL POST. In particolare, la parte sull'accettazione ci sta tanto con la mia terapia.
Ma apprezzo anche gli insegnamenti che Lei ci mette a disposizione con tanta generosità, Sir Miki PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 06-Mar-2011, 21:59
La disponilità non è condizionale.


Esistono modalità efficaci e inefficaci per limitare la disponibilità . Inanzitutto cerchiamo di avere ben chiare le modalità inefficaci. Apprendere a essere disponibile è come apprendere a saltare giù da qualcosa: tu lasci andare il tuo corpo nello spazio e la gravità lo porta giù. Puoi saltare giù da un foglio di carta sul pavimento, o da un libro molto spesso, o da un tavolino, o dal tetto della tua casa, o da un aereoplano, l'azione è esattamente la stessa, solo la situazione è diversa. Così, persino quando stai saltando giù da un foglio di carta, stai imparando come saltare e le stesse azioni saranno necessarie per saltare da un libro, da un tavolino, da una casa o da un aereoplano.
Ora, supponi di dire "Bene, io voglio imparare a saltare.....ma mi fa molta paura, allora invece scenderò un passo alla volta. In questo modo io avrò il controllo in ogni momento". Questo ha senso, ma non funzionerà perchè è generalizzabile solo a poche situazioni. Puoi fare un passo giù da un foglio di carta o da un libro o presino da un tavolino, ma non puoi fare un passo giù dal tetto o da un aereo. Così, se fai un passo giù da un foglio di carta, non stai imparando a saltare, e non stai imparando qualcosa che potrai utilizzare ogni volta che ne avrai bisogno. Semplicemente non è la stessa cosa.
Quando discutiamo questo concetto con i pazienti, questi solitamente pensano a elementi della loro vita che gli somogliano. Uno scalatore in terapia una volta disse " è come muoversi sulle pareti. Sò che se faccio un movimento a metà, mi staccherò dalla parete e resterò appeso, penzolando dalla fune. Se faccio pratica con un movimento, devo fare pratica fino in fondo". Una pattinatrice spiegò che se faceva un salto solamente abbozzato, sicuramente inciampava e cadeva. Doveva fare i salti semplici e quelli difficili allo stesso modo, salti completi le richiedevano attenzione completa.
Un ballerino ha spiegato come dovesse lasciarsi andare e semplicemente ballare o non sarebbe stato altro che "un paio di piedi sinistri".
Ora pensa alla tua vita. Ci sono stati momenti in cui le mezze misure semplicemente non hanno funzionato? Scrivi qualche esempio:

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Ora considera la possibilità che la disponibilità sia qualcosa come quello che hai scritto.
Questo non significa che la disponibilità non possa essere limitata; la puoi limitare scegliendo le tue situazioni e i tuoi tempi. Puoi essere disponibile ad andare al minimarket con la tua ansia, ma non al centro commerciale. Puoi essere disponibile a parlare di eventi dolorosi del passato con tuo fratello, ma non con tua madre. Puoi essere disponibile ad andare al centro commerciale per dieci minuti, ma non per venti.
E' come riconoscere la differenza tra essere disposti con le condizioni appropriate per quella disponibilità e il non essere affatto disposti. Non è sicuro limitare la tua disponibilità in base alla quantità o alla qualità delle esperienze private dolorose che ti si potrebbero presentare. "Io sono disposto se non diventa troppo intenso", non è sicuro. Non è sicuro perchè fondamentalmente significa "Io non sono disposto per niente". Giudicare quanto permetterai a te stesso di provare prima di andare avanti, assomiglia più a uno scendere che a un saltare. Tuttavia dire "Io sono disposto per i prossimi cinque minuti" è sicuro: hai preparato e fissato un limite, ma non di qualità, è un limite di tempo, di durata, o di situazione.


La disponibilità non è provare


Quando hai pazienti viene chiesto se sono disponibili, spesso la risposta è "ci proverò". Questo è un segno certo di essere disponibili solo a metà.
La parola provare deriva da parole che originariamente, significano "stabilire la verità di una cosa con ragionamenti e dimostrazioni convenienti". Questo è il motivo per cui una prova legale è chiamata prova. Provare e prova hanno la stessa origine. Il problema di provare è che stabilire è una questione di giudizi condizionati e di valutazioni (nota che chiamiamo "giudizio-sentenza" i risultati di una prova legale). Ma la disponibilità è l'esatto opposto di un giudizio e di una valutazione condizionale. La disponibilità è un salto attivo verso ciò che non si conosce. Provare possiede la qualità del soppesare o del vedere se: è pervaso di passività e giudizio.
A volte aiutiamo i pazienti a vedere la qualità passiva del provare mettendo una penna sul tavolo e dicendo "prova a prenderla". Se la prendono, gli si grida forte "no, no! l'hai presa per davvero. Ti ho chiesto solo di provare a prenderla".
L'altra connotazione di provare è con molto sforzo. Anche questa definizione non è applicabile perchè la disponibilità, compresa correttamente, non a niente a che vedere con uno sforzo. Puoi spostare una gran pietra facendo un grande sforzo, ma non puoi garantirne il risultato. Questo non è applicabile alla disponibiltà perchè la disponibilità è semplicemente rispondere sì alla tua effettiva esperienza presente. Non è una questione di sforzo o di vedere se lo sforzo produrrà un risultato. E' un semplice si o no. Se la disponibilità è applicata a un'emozione o a una sensazione, non stiamo parlando di sentire cose che non provi, ma stiamo parlando di sentire quello che tu stai già provando.
Se qui c'è un qualunque sforzo, questo è nella direzione opposta.
Per vedere questo aspetto in modo chiaro, prenditi un minuto per toccarti il braccio sinistro con la mano destra. Toccalo e nota cosa senti.
Ora toccati il braccio sinistro con la mano destra, toccalo, e non sentire assolutamente nulla.
Quale tra queste due opzioni richiede più sforzo? hai dovuto provare a sentire quello che già sentivi o semplicemente lo hai sentito automaticamente?

Inviato da: miki_70 il Martedì, 08-Mar-2011, 19:52
La disponibilità non è questione di credere


Quando ai pazienti viene chiesto se siano disponibili, a volte, la risposta è "io non credo di riuscirci". Poichè abbiamo già speso tanto tempo sulla defusione, probabilmente riesci a vedere la trappola: la disponibilità non è una questione di credere o non credere. Lasciaci spiegare.
Torniamo a sentire quello che senti quando ti tocchi il braccio. Ripeti queste parole più volte a voce alta:" non posso toccarmi il braccio. Non posso sentire il mio tatto". Continua a ripetere queste frasi ancora e ancora.
Ora, mentre continui a dire che non puoi, muovi la mano destra e toccati il braccio sinistro e nota cosa senti.
E' probabile che tu abbia sentito il tuo braccio, nonostante quello che ti stavi dicendo. Sentire quello che stai già sentendo non è una questione di credere. Va bene pensare che tu non lo posa fare e va bene se pensi di poterlo fare. In ogni momento la questione è la stessa: tu sentirai ciò che stai sentendo quando lo senti? Questa è una questione di si o di no. Si può rispondere solo in due modi: si o no.
Esattamente nello stesso modo, la disponibilità non è qualcosa che tu puoi sperare di avere, un desiderio di poter fare, un proverò a farlo più tardi e così via. La disponobilità è una questione di si o no in questo momento.


La disponibilità senza se e senza ma


A volte i pazienti, dentro di loro, non rispondono si alla domanda della disponibilità, fanno finta di dire sì, nello sforzo di imbrogliare se stessi. Il segno certo di questa segreta non disponibilità è che, dopo aver detto la parola sì, essi dicono la parola se, e quello che segue la parola se non è qualcosa che può essere controllato volontariamente. Questi sforzi di ingannarsi sono destinati al fallimento.
Questa situazione è come avere un bambino che fa capricci e scenate per fare quello che vuole. Immagina che in casa tua ci sia la regola che non si può giocare ai videogiochi finchè non siano stati finiti tutti i compiti.
Tuo figlio strilla, piange e urla che sei un genitore terribile. Ora supponi di pensare tra te e te "sono disponobile a lasciargli fare i capricci senza cedere..... a meno che non usi un linguaggio da maleducato". Ora immagina che la tua mente sia come un libro aperto in cui il bambino può leggere i tuoi pensieri, come se li stessi pronunciando ad alta voce. Indovina che cosa otteresti? Riceveresti della parolacce che farebbero arrossire un marinaio.
Ora supponi di pensare tra te e te "sono disponibile a lasciargli fare i capricci senza cedere...a meno che non faccia i caprici per più di cinque minuti". Se lui potesse leggere nella tua mente, indovina cosa otterresti? lui farebbe i capricci giusto più di cinque minuti.
Scendere a patti con i pensieri, emozioni, sensazioni e così via non è fattibile perchè la tua mente ha molto spazio sia per l'evento evitato che per l'inganno: è esattamente come la situazione dei capricci. Suppono di essere disponibile ad avere l'ansia, ma di escludere una di queste condizioni pericolose nella tua risposta sulla disponibilità. Tu non rispondi "sì" ma "sì, se" e il "se" non è qualcosa che tu puoi controllare. Diciamo che la tua risposta sia "sì, se l'ansia non sale sopra i 60, in una scala da 1 a 100". indovina quanto salirà la tua ansia?

Inviato da: miki_70 il Martedì, 08-Mar-2011, 20:35
La disponibilità come manipolazione non è affatto disponibilità


Questo è un concetto che le menti non riusciranno mai a capire. Secondo la tua mente, il contenuto del tuo dolore è la fonte della tua sofferenza poichè il dolore è cattivo. Di conseguenza tu puoi misurare la sofferenza in base alla quantità del dolore (cattivo). Per una persona che lotta con l'ansia, un "buon giorno" è un giorno con meno ansia. Per una persona che lotta con la depressione, un "buon giorno" è un giorno con poca depressione. E così via.
Disponibilità significa abbandonare questo metro di misura. La sofferenza non è più sinonimo del contenuto del tuo dolore, ora è sinonimo del mettere il vivere la tua vita al servizio di vincere la lotta.
Quando rispondi veramente sì alla domanda della disponibilità, il gioco cambia subito completamente e il vecchio metro di misura tipo "quanto sei depresso o ansioso?" non è più rilevante. E' come una persona che sta perdendo punti su punti in una partita di tennis, che improvvisamente si siede in mezzo al campo ancora vestito con il completo da tennis e si mette a dipingere un quadro. Domande come "quanti punti hai fatto?", o "stai vincendo?" semplicemente non sono più rilevanti.
In realtà, disponibilità significa cambiare la tua agenda dal contenuto del tuo dolore al contenuto della tua vita. Se questo è vero, la disponibilità come metodo di auto-manipolazione non è affatto disponibilità. Le menti non possono mai imparare questa cosa, fortunatamente, le persone possono.
Un paziente ACT che aveva lottato per anni con un disturbo di panico e che ha trasformato la propria vita come risutato della terapia, lo descrive in questo modo:

Noto, soprattutto quando sono in situazioni in cui ero solito intrapplarmi nella lotta, che la scelta della lotta è quasi scomparsa. Io l'ho fatto e so come funziona. In una situazione in cui ero solito lottare, fuggire o quant'altro, sento ancora la tentazione di andare avanti a lottare: semplicemente provo a tornare indietro a un livello più spirituale e a vederla per quello che è, e andare avanti.
La mia stessa agenda è davvero cambiata. Solitamente era organizzata e ruotava attorno all'ansia. Ora riguarda la lotta e persino la lotta con la lotta. Lo vedo più come una semplice filosofia o come un modo di vivere, non solo come una terapia per la fobia, lo vedo più come una filosofia di vita. E' come se mi fosse stato dato colore: io vedevo la mia intera vita in bianco e in nero e ora è come se vedessi arcobaleni e cose così. Molte delle emozioni che pensavo di non potere avere e che non ero disposto ad avere....io posso trarre da queste, come da ogni altra cosa, molto piacere adesso.
La tristezza era una, l'ibarazzo un altro e poi l'ansia. E l'ansia e ciò su cui ancora mi focalizzo di più perchè qualche volta sembra una minaccia per la mia vita. Sono molto in contatto con la "mortalità" ora e, come ho detto, arriva un dolore lancinante al torace, l'intorpidimento, e il non riuscire a respirare, e tu sai che questo cattura la tua attenzione.
Ma in un certo senso io apprezzo tutto. Così per la tristezza, la tristezza era una cosa terribile... era così schiacciante in alcune aree che quasi la sentivo come un pericolo per la mia vita. Riguardava alcuni punti della mia esistenza ed era così intensa che io pensavo che se l'avessi avuta pienamente, o se l'avessi sentita pienamente, non ero davvero sicuro di quello che sarebbe potuto succedere. Non potevo concepire di essere così triste.
Ora è tutta una nuova luce. E' a colori con una migliore visione. Voglio dire: vedo le cose del mio passato e nel presente così diversamente da come le vedevo solo fino a pochi mesi fa, che semplicemnete non finisce mai di stupirmi. Così, mi sento come se stessi crescendo tutto il tempo. La mia vita non riguarda più solo l'agorafobia. La mia vita riguarda il vivere, le persone e me stesso e la comprensione.



Inviato da: miki_70 il Giovedì, 10-Mar-2011, 19:46
Disponibilità: che cos'è e che cosa non è


Disponibilità è:

Tenere il tuo dolore come terresti in mano un fiore delicato;

Abbracciare il tuo dolore come abbracceresti un bambino che piange;

Sederti con il tuo dolore nel modo in cui ti siederesti con una persona che ha una malattia grave;

Guardare il tuo dolore nel modo in cui guarderesti un incredibile dipinto;

Camminare con il tuo dolore nel modo in cui cammineresti mentre porti un neonato singhiozzante;

Onorare il tuo dolore nel modo in cui onoreresti un amico ascoltandolo;

Inalare il tuo dolore nel modo in cui prenderesti un respiro profondo;

Abbandonare la guerra con il dolore come un soldato che depone le armi per incamminarsi verso casa;

Stare con il tuo dolore nel modo in cui berresti un bicchiere di acqua pura;

Portare il tuo dolore nel modo in cui porti una fotografia nel portafogli;



Disponibilità non è:

Resistere al tuo dolore;

Ignorare il tuo dolore;

Dimenticare il tuo dolore;

"Comperare" il tuo dolore;

Fare quello che il dolore ti dice;

Non fare quello che il dolore ti dice;

Credere al tuo dolore;

Non credere al tuo dolore;


Inviato da: miki_70 il Domenica, 13-Mar-2011, 20:17
Dato che la disponibilità non è qualcosa che le menti possono comprendere, è improbabile che le parole su citate abbiano molto impatto di per sè. Per iniziare a farti praticare la disponibilità come azione, dovremmo avvicinarci furtivamente a essa nei capitoli seguenti attraverso una combinazione di metafore ed esercizi.
Diciamo che l'immagine seguente è quella della tua testa. Dentro questa testa scrivi una singola emozione fastidiosa, un ricordo, un pensiero o un impulso con cui hai lottato. Ora guarda quello che hai scritto: ti evoca sensazioni, pensieri o altre esperienze forti e difficili che sono esse stesse obiettivo della tua lotta? Se è così, scrivi dentro alla testa anche queste perchè sono "compagne di viaggio" del tuo dolore iniziale. Continua finchè hai scritto tutto. Se non riesci a far stare tutto ciò che vorresti su questo foglio di carta, fai una fotocopia della testa e riempi tutte le "teste vuote" che vuoi.
Quando avrai scritto tutto il tuo dolore e il chiachiericcio fai una copia della pagina con il dolore che hai e che inonda la tua testa.
Come abbiamo detto all'inizio, riconoscere che stai lottando con una testa piena di questi problemi è di per sè una forma di disponibilità. La disponibilità è la risposta "sì" alla domanda "mi accoglierai e mi farai entrare come sono e per quello che sono?". Metaforicamente la disponibilità è come prendere la copia che hai fatto dell'immagine della tua testa con tutto il dolore che c'è dentro e metterla in tasca per portarla come gesto che dice "lo porterò con me, non perchè debba farlo, ma perchè io scelgo di farlo". Prima di farlo effettivamente, tuttavia, vediamo se ora è chiaro che cosa non è la disponibilità, rispondendo alle seguenti domande.





Questa testa piena di tutti i tuoi problemi la devi volere per portarla in tasca? Speriamo che ti sia chiaro che la risposta è no: la disponibilità non è volere.
Devi prima cambiare quello che hai scritto per poterlo mettere in tasca? Speriamo che ti sia chiaro che la risposta è no: la disponibilità non è condizionale, eccetto per il fatto che puoi scegliere di limitarla nel tempo e nelle situazioni (per esempio, puoi mettere il disegno in tasca per un solo minuto o per una settimana intera, o puoi portarlo con te al lavoro o solamente a casa).
Mettere quello che hai scritto nella tua tasca è qualcosa che richiede molto sforzo, tanto che dovrai provare per vedere se ce la fai a farlo? Speriamo ti sia chiaro che la risposta è no: disponibilità non è questione di "provare".
Devi credere qualcosa riguardo questo disegno per poterlo mettere in tasca? Speriamo ti sia chiaro che la risposta è no: la disponibilità non è una questione di "credere", le credenze sono solo altri problemi che potrebbero essere scritti dentro la testa.
Fingere di metterti in tasca il foglio è la stessa cosa di metterlo in tasca? Speriamo che ti sia chiaro che la risposta è no: la disponibilità non è ingannrsi.
Se spendi un pò di tempo in quest'attività, potresti ritrovarti con qualcosa che sembra la testa che vedi qui sotto.
La testa sembra molto occupata. Ma deve essere tua nemica?
Come metafora fisica per un reale cambiamento di direzione nella tua vita, sei disposto a mettere la tua testa sul foglio di carta in tasca e a tenerla per un pò? Noi suggeriamo di portarla per un'ora o più al giorno, ma se un'ora per adesso è troppo, decidi per quanto tempo la porterai e impegnati a farlo.
Se la risposta è "sì, se....." e il "sè" è qualcosa che non controlli, prova ancora. Se la risposta è no, scava in questa risposta per capire a cosa serve, e guarda se ciò è realmente nel tuo interesse. Se la tua risposta è un sì pieno, pulito, allora mettila in tasca.





Ora torna alla lista delle cose che compongono la disponibilità e guarda se puoi portare questo foglio di carta in quel modo. Durante il tempo in cui scegli di portarlo, datti periodicamente un colpetto sulla tasca per ricordare a te stesso cosa stai portando. In qesta metafora fisica, guarda se ti va bene avere tutta quella roba sul foglio di carta e continuare a fare quello che devi fare nella tua vita mentre vai avanti vivendo giorno dopo giorno. Lascia che portare l'immagine della tua testa piena dei tuoi problemi sia un modo per chiedere a te stesso se la "roba" sul foglio stia realmente tra te e il vivere una vita forte e vitale, o se piuttosto tu puoi, nei fatti, portarlo dolcemente, amorevolmente e con disponibilità, per come è e non per quello che dice di essere.

Inviato da: Merien il Mercoledì, 16-Mar-2011, 18:25
Grazie Miki. Molto interessante. PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 17-Mar-2011, 21:35
DISPONIBILITA': IMPARARE COME SALTARE 10


La vita ti sta facendo una domanda. La domanda, una volta era assurda, inconprensibile, quasi non udibile. Non è una sorpresa che tu non abbia risposto di sì, ma, sfortunatamente, non rispondere o rispondere di no, danno praticamente gli stessi risultati, e danno questi risultati, che tu sappia o meno che ti è stata posta una domanda.
Un obbiettivo di questo 3d è aiutarti a sentire questa domanda. Un altro è quello di scoprire se è realmente nel tuo interesse continuare a dare alla vita la stessa risposta o non rispondere affatto. Se non è nel tuo interesse continuare, rispondendo negativamente o non rispondendo, allora lo scopo di questo 3d è aiutarti ad arrivare a dire sì alla vita.
La domanda è complessa nella forma, ma semplice nella sostanza: la chiamiamo "la domanda della vita". Ora leggi diverse volte le frasi seguenti, fino a quando non riesci a considerarle come un'unica domanda:

. partendo dalla distinzione tra te come essere umano consapevole da un lato, e dall'altro da tutte le esperienze private di cui sei conscio e con cui lotti,

. sei disposto a sentire, pensare, percepire e ricordare tutte queste esperienze private,

. pienamente e senza difese,

. per quello che sono nella tua esperienza diretta, e non per quello che la tua mente ti dice che sono,

. e a fare qualsiasi cosa serva a muoverti nella direzione di ciò che consideri davvero di valore,

. in questo particolare momento e in questa particolare situazione?

. SI' o NO?


E' tempo di iniziare a saltare. Usando tutte le abilità che hai imparato sin qui, ora è il momento. Rispondere "sì" alla "domanda della vita", non importa come sia posta, è un gran salto, è un salto nell'ignoto. E' un salto in un mondo in cui non è più necessario liberarti dalla tua storia o gestirla, per iniziare a vivere la vita che veramente vuoi vivere. E' un modo di autoaccettazione, di apertura, di ambiguità di contenuto e di chiarezza di scopo.
E' il mondo della flessibilità psicologica, in cui tu molli la lotta e vivi, ti preoccupi meno di avere ragione e di più di essere vivo.
Non devi dire di sì. La vita accetterà entrambe le risposte. Tuttavia, c'è un costo nel silenzio o nel rispondere "no". In effetti, hai già provato questi costi. Il tuo dolore è il tuo più grande alleato qui. Non ti basta quello che hai sofferto?
Non ti vogliamo spaventare. Non devi mica cominciare saltando dalla Torre di Pisa: puoi saltare giù da un foglio di carta o da un libro, ma se inizi, inizia! In realtà, hai già iniziato alla fine del precedente capitolo: hai portato in giro la tua testa con te. Avere una rappresentazione della tua testa su un foglio ti ha impedito di fare ciò che dovevi fare? Ha davvero causato quello che ti è accaduto? Se hai provato che sei in grado di portarla in giro con te, allora perchè non puoi fare lo stesso con altri problemi con cui hai lottato?


La scala della disponibilità


Nell'esercizio seguente, ti viene chiesto di identificare un pensiero, un ricordo, un emozione o una sensazione che tendi a evitare, e che ti è costato caro a causa del tuo evitamento (per esempio ansia, rabbia, senso di colpa, depressione, confusione e così via). Puoi usare i problemi che hai individuato mentre lavoravi con il capitolo 9, o riferirti al tuo "Inventario della sofferenza", o ai vari esercizi per rilevare i contenuti interiori che hai fatto finora. Ognuno di questi potrebbe fornire buoni punti di partenza, ma cambiali pure se qualcos'altro ti sembra più fattibile o più importante.
Quando hai in mente il pensiero, il ricordo o la sensazione, scrivilo qui (lo chiameremo "bersaglio"):

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....................................................................................................

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Ora, immagina le due manopole della radio di cui parlavamo all'inizio del 3d: una facilmente visibile, l'altra meno visibile e difficile da notare.
La manopola facilmente visibile si chiama "Disagio" e comprende problemi come senazioni o emozioni spiacevoli (per esempio rabbia, ansia, senso di colpa o depressione) o pensieri o ricordi spiacevoli. Ora immagina che questa manopola abbia una scala da 0 a 10. Sebbene sembri una normale manopola che può essere regolata a ogni valore che desideri, in realtà la manopola del Disagio si muove da sola; quando la giri, essa ritorna rapidamente al valore in cui si trovava, incurante delle tue preferenze.
Ora scrivi l'intensità della manopola del Disagio associata al tuo bersaglio:

.....................................................................................................


Pensiamo che una ragione per cui stai spendendo del tempo con questo 3d, sia perchè il volume della tua manopola del Disagio è regolata troppo alta per i tuoi gusti. Questo non significa necessariamente che sia un valore elevato, anche se generalmente è così. A volte un volume regolato a 2 o 3, è creduto "troppo alto". Ricordi che hai imparato che ci sono due manopole? Quella sul retro non è così ovvia. La chiameremo "manopola della Disponibilità" e anche questa ha un ampiezza che va da 0 a 10. Se sei aperto al massimo a provare la tua esperienza così com'è e per quello che è, direttamente, senza cercare di modificarla, evitarla, fuggirla o cambiarla, hai regolato la manopola della Disponibiltà sul 10: questa è la regolazione che stiamo cercando.
Se sei chiuso al massimo a provare la tua esperienza così com'è, questa è a 0.
Ora, guardando indietro a dov'eri quando hai cominciato a leggere questo 3d per la prima volta, scrivi su che numero avevi regolato la manopola della Disponibiltà rispetto al tuo bersaglio:

.....................................................................................................



Scoprire che la tua manopola del Disagio indica un valore alto e quindi regolare quella della tua Disponibilità su un valore basso è una combinazione terribile. Regolare la manopola della Disponibilità su un valore basso, è come regolare una chiave da idraulco a blocco. Una volta che è stata agganciata, la chiave con il dente di arresto può girare solo in una direzione. Se la tua manopola della Disponibiltà è regolata ad un valore basso, non c'è modo in cui la rabbia, l'ansia, la depressione, il senso di colpa o i ricordi spiacevoli (la manopola del Disagio) che tu provi nel momento presente possano calare consistentemente. Per esempio, se sei veramente, veramente, veramente non disposto a sentire l'ansia, e poi l'ansia ti si presenta, quest'ansia diventa qualcos'altro per cui essere ansioso. Ti trovi in un circolo vizioso che si auto amplifica.
Se regoli la tua manopola della Disponibilità sul 10, allora la chiave bloccata si sgancia. Questo non significa che il tuo disagio si abbasserà, può essere ma anche no. Se regoli la manopola della Disponibilità su un valore alto, per mandare la manopola del Disagio in basso, essa si comporterà come avesse dentro una molla. Il tuo livello di Disponibilità tornerà automaticamente di nuovo a un livello basso. L'auto-inganno, il prendersi in giro con accordi segreti, secondi fini e agende nascoste, quì non funziona. Se regoli la manopla della Disponibilità a un valore elevato, ciò significa abbandonare il valore che la tua manopola del Disagio ti fornisce come misura del progresso nella tua vita, per lo meno per questa specifica istanza o area.
Se non riesci a regolare la tua manopola della Disponibilità a un valore elevato in modo da poter controllare il tuo livello di Disagio, allora perchè regolarla alta comunque? Una risposta che ti dà il tuo stesso dolore è che non regolarla a un valore elevato è associato con l'infinito dolore della tua vita non vissuta. Non funziona così. Una risposta inattaccabile è semplicemente, "perchè no"?. Se l'alternativa non funziona, perchè no?
La risposta meno superficiale è forse più diretta, ma può essere facilmente fraintesa. Non sarà compresa appieno finchè non inizierai a svolgere gli esercizi dei capitoli sucessivi. Tu programmi il tuo livello di Disponibilità a un valore elevato, per vivere una vita più piena, vitale e di valore.
L'ultimo motivo per cui dovresti regolare la manopola della Disponibilità a un valore elevato, è semplicemente perchè, a differenza della manopola del Disagio , quella della disponibilità è sotto la tua responsabiltà.
La tua esperienza ti dice che tu controlli la tua manopola del Disagio? Probabilmente no, altrimenti perchè non è regolata sempre al minimo? Sembra una manopola che puoi regolare, e che puoi ruotare, ma in realtà funziona più come un indicatore che come un controllo che puoi regolare.
Ma nota chi controlla il volume della Disponibilità. Non è chiaro che sei tu a farlo? In realtà, tu sei l'unico che può farlo. La vita può alzare o abbassare bruscamente il volume del Disagio. Una persona amata muore: Boom. La manopola del Disagio si muove. Scopri che la tua vita è minacciata da una grave malattia fisica:Boom. Il tuo partner è infedele: Boom. Ma indipendentemente da quali di questi infelici eventi ti capiti, la manopola della Disponibilità è qualcosa che tu e solo tu puoi girare. Perciò, con quale preferisci lavorare? Con la manopola che non puoi controllare o con quella che controlli?

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 17-Mar-2011, 21:36
QUOTE (Merien @ Mercoledì, 16-Mar-2011, 17:25)
Grazie Miki. Molto interessante. PSICO smile.gif

PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 20-Mar-2011, 13:42
Fare un salto


E' il momento di saltare. Guarda il bersaglio che hai scritto prima e fatti questa domanda:" Che cosa sta tra me e la regolazione della mia manopola di Disponibilità a un valore elevato rispetto al mio bersaglio?". Dopo aver riflettuto su questo aspetto per un pò puoi capire che nessun contenuto ti può togliere la libertà di regolare la manopola in qualsiasi punto tu scelga di regolarla. Se è così, allora è il momento di fare il tuo primo salto di disponibilità.
Puoi limitare in modo sicuro il tuo salto in base al tempo o alla situazione. Per esempio, nel foglio di lavoro sottostante, puoi scrivere un 10 per esprimere la tua disponibilità a provare ansia, e poi aggiungere una specificazione per il tempo, per esempio:" durante lo shopping nel Minimarket questo pomeriggio per 5 minuti". Questo significa che permetterai a te stesso di sentire l'ansia pienamente quanto la puoi provare mentre fai shopping (senza uscire dal negozio, senza bloccarti nel tuo percorso, senza separarti dalla tua esperienza, e così via), ma che ti impegnerai a farlo solo per 5 minuti. Non scegliere di fare un passo di disponibilità più lungo ella gamba. Non c'è un autovelox puntato su di te. La velocità non è importante, è più importante imparare a saltare, piuttosto che iniziare cercando di saltare da un grattacielo con un singolo balzo. Tutavia, se sai che un grande salto è la cosa giusta da fare, procedi. Se non ne sei sicuro, parti con poco. Partire adagio significa limitare il tempo e il contesto, ma non la regolazione della manopola della Disponibilità. Se non puoi regolare la manopola a 10, non vale la pena farlo neanche per un secondo.


"Una volta lavorai brevemente con una paziente di un collega amico. Fui consultato per il caso. La paziente sentiva una solitudine così terribile che credeva che, se si fosse lasciata andare a sentirne i suoi effetti, sarebbe stata distrutta dalla loro intensità. Il suo matrimonio era andato in pezzi, non aveva un lavoro e le mancava l'istruzione adeguata per trovarne uno qualunque, tranne che i più umili; i suoi amici l'avevano abbandonata, sopravviveva a mala pena con l'assicurazione d'invalidità, aveva tentato di suicidarsi e aveva fallito. La sua vita sembrava assolutamente vuota e senza signficato. In una sessione di terapia, io e il collega le chiedemmo se voleva aprirsi alla possibilità di sentire la sua solitudine, e lei continuò a dire di nò, finchè non ottenemmo il suo consenso a essere disposta a farlo pienamente per un solo secondo. Acconsentì a sentirsi sola, apertamente e senza difese per un secondo. Questo fu l'inizio.
Dopo mesi di lavoro con l'ACT, la paziente terminò la terapia. Passarono anni. Perdemmo completamente le sue tracce, ma ci telefonò poche settimane prima dalla stesura del mio libro. Ora, più di dieci anni dopo, lei ha un diploma, un lavoro, un partner, nuovi amici ed uno scopo. Lei ha una vita. Ha camminato attraverso l'inferno per arrivare dove è adesso, un passo alla volta, momento dopo momento. E quel viaggio è cominciato da qualche parte. Cominciò con la sua disponibilità a sentirsi sola, a sentirlo deliberatamente e senza difese, così come tu potresti allungarti e toccare un morbido tessuto, per un singolo solitario secondo
" (Steven C. Hayes).


Esercizio. Foglio di lavoro della scala della Disponibilità

Ora, compila quanto segue.
Per ciò che riguarda il mio bersaglio, io sto settando la mia manopola della Disponibilità a (vedi se puoi arrivare a 10! Se no, fermati e pensaci sopra. Funziona più come un interruttore che come una manopola, così qualsiasi valore inferiore a 10 potrebbe non funzionare. Guarda se ce la fai ad arrivare a 10!):

.......................................................................................................................

Le mie limitazioni sono (limita la tua disponibilità solo in base al tempo e alla situazione, non in base all'intensità, alla presenza o assenza di altre esperienze private).

.......................................................................................................................

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Inviato da: miki_70 il Giovedì, 24-Mar-2011, 20:26



Immagina di stare navigando su una nave in alto mare.
Sotto il ponte della tua barca, si trova un'orda di demoni, che si nascondono alla vista. E tutti quanti hanno denti affilati come rasoi e hanno fatto un patto con te: fino a che manterrai la barca alla deriva, senza meta, resteranno tutti nascosti sotto al ponte in modo che tu non li debba vedere.
Ma se mai dovessi decidere di avvicinarti alla riva, allora salterebbero immediatamente sopra il ponte e minaccerebbero di distruggere tutto. Ovviamente questo non ti aggrada, per ciò dici: mi dispiace demoni, non intendevo farlo. Per favore tornate sotto.
Giri la barca e ritorni a navigare alla deriva.
E i demoni spariscono sotto al ponte e fuori dalla vista di nuovo.
Tiri un sospiro di sollievo. Tutto è a posto di nuovo. Per un po'.
Il fatto è che presto ne hai piene le scatole di girare a vuoto senza meta. Inizi a sentirti annoiato, solo, infelice, risentito, ansioso, depresso. Osservi tutte le altre barche dirigersi verso la riva e sei consapevole che è lì che vuoi andare in realtà.
E così un bel giorno ti fai coraggio e giri il timone e cominci a dirigerti verso la riva.
Ma nello stesso momento, quei demoni tornano sul ponte e di nuovo cominciano a minacciarti di farti a pezzi.
Ma ecco qui la cosa interessante: sebbene questi demoni siano molto bravi a minacciarti, in realtà non ti causano mai un danno fisico. Perché no? Beh, perché non possono. Tutto ciò che possono fare è ringhiare, far ondeggiare i vestiti e terrorizzarti, ma fisicamente non possono toccarti.
L'unico potere che possiedono è la capacità di intimidirti. Quindi, se credi che faranno ciò che dicono che faranno, allora essi avranno davvero il controllo della barca.
Ma non appena ti renderai conto che in realtà non possono farti male fisico, beh, a quel punto sei libero. A patto che tu riesca ad accettare la presenza di questi demoni, tutto ciò che devi fare per raggiungere la terra ferma è lasciare che i demoni ti circondino, lasciarli urlare quanto vogliono, e continuare a dirigere la barca verso riva.
I demoni potranno anche urlare e protestare, ma non hanno alcun potere per fermart

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 24-Mar-2011, 20:33




Immagina che un giorno tu decida di organizzare una festa per tutti i tuoi amici. Prendi il telefono e inizi ad invitare gente. Desideri una festa in grande, perciò dici: “chiunque è invitato”.
Quando arriva il gran giorno cominci i preparativi per la festa, non vedi l'ora di vedere i tuoi amici.
In breve tempo arrivano gli ospiti.
Dopo un po', tutti coloro che aspettavi sono arrivati e ti stai divertendo un mondo, ma all'improvviso suona il campanello e pensi – mi domando chi possa essere, senz'altro qualcuno di cui mi sono scordato – .
Si tratta di una persona che non volevi assolutamente venisse alla tua festa: il tuo vicino di casa, Brian.
Brian è senza alcun dubbio una delle persone più irritanti che tu conosca: è maleducato, scontroso, si lamenta parecchio e non spicca per igiene personale.
E' l'ultima persona che avresti voluto alla tua festa. Ma prima che tu te ne renda conto, si fionda in casa senza nemmeno salutare. Raggiunge i tuoi ospiti e si comporta da vero maleducato. Si serve da bere e da mangiare e si comporta in modo strano con i tuoi amici.
Comprensibilmente ti senti piuttosto agitato, imbarazzato e adirato, immediatamente vai da Brian e gli dici: “Basta così, è tempo che tu vada via”. E lo scacci dalla tua festa.
Non appena se n'è andato ti senti sollevato, torni dentro e inizi a divertirti. Ma dopo poco senti di nuovo suonare il campanello. Vai a vedere chi è e ti accorgi che Brian è tornato. Ma prima di poterlo fermare, lui apre la porta e si precipita dentro.
Allora lo prendi e lo scacci di nuovo. Ma questa volta vuoi essere sicuro che non faccia ritorno. E così decidi di rimanere davanti alla porta per essere certo che non possa entrare.
Funziona. Brian non può entrare e tu sei soddisfatto. Ma il problema è che presto ti rendi conto che nel frattempo ti stai perdendo la festa, ma, dal momento che non sopporti Brian, non puoi rischiare che possa entrare di nuovo. Non sai davvero cosa fare. Vorresti goderti la festa, ma il pensiero che Brian possa essere presente ti irrita parecchio.
Dopo un po' ti rendi sempre più conto che questa festa significa davvero tanto per te e vorresti stare con i tuoi amici, se non altro per assicurarti che stiano tutti bene. Quindi decidi di tornare fuori e pensi – se Brian arriva, significa che è così che deve andare – .
Ovviamente, dopo un paio di minuti Brian ritorna e inizia a comportarsi di nuovo in modo irritante.
Ma questa volta qualcosa è cambiato. Non lo ignori, perché è piuttosto difficile ignorarlo, ma decidi semplicemente di goderti la festa e parlare con i tuoi amici.
E così inizi a renderti conto di una cosa interessante: primo, ti accorgi che, sebbene Brian sia ancora lì, stai in realtà passando una bella serata. Se non altro non sei bloccato alla porta, perdendoti così la festa. Secondo, ti accorgi che ora che non stai cercando a tutti i costi di liberarti di lui, Brian si calma un pochino. E' ancora insopportabile, puzza ancora, ma non è poi così invadente.
Poi cominci a notare alcuni altri particolari di Brian, che non avevi mai notato prima, ad esempio che ha un acuto senso dell'umorismo e riesce perfino a fare ridere alcuni tuoi amici e allora ti domandi – cosa farò la prossima volta che organizzerò una festa? – .

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 24-Mar-2011, 20:56
Usare le tue abilità e impararne alcune nuove


Quando compi una scelta come quella che hai appena fatto, svariate questioni possono immediatamente emergere. Se succede, utilizza le tue abilità. Se la tua mente inizia ad urlare, semplicemente nota i tuoi pensieri: non metterti a discutere con loro. Per esempio, la tua mente potrebbe prevedere un futuro orribile o potrebbe chiederti rassicurazioni sul fatto che il tuo salto di disponibilità non sia pericoloso.
Ogni tentativo di rassicurare la tua mente con argomentazioni letterali, servirà solo a nutrire le tue vecchie abitudini, e tu rimmarrai ancora più intrappolato. Basta che tu ringrazi la tua mente per il contributo, e fornisci le rassicurazioni attraverso l'atto di avere una silenziosa fiducia in te stesso. Questo è ciò su cui puoi fare affidamento, come implica l'etimologia della parola "confidenza" (deriva dal latino "fides" che significa "fiducia"). Se il tuo corpo inizia a brontolare o a chidere attenzione in qualche altro modo, senti solo ciò che senti, dove lo senti. Sii paziente, amorevole e gentile con te stesso.
Ora che hai raggiunto un sì, non importa quanto piccolo sia (ricorda la paziente con il suo impegno di un secondo), hai bisogno di esercitarti ad applicare le tue abilità a questa situazione e ad altre come questa. Il resto di questo capitolo presenterà diversi esercizi che ti permetteranno di costruire le tue abilità di disponibilità. Questo implicherà esposizioni graduali nelle quali potrai fare pratica delle nuove abilità, un passo alla volta, via via che incontri contenuti personali dolorosi.
Come menzionato prima quando hai scelto il tuo bersaglio, non c'è ragione di lanciarsi a freddo in qualcosa di estremamente doloroso. Spingiti a lavorare su ogni nuovo passo presentato, ma sii compassionelvole con te stesso. Nel prossimo esercizio, lavorerai sulla cosa a cui hai appena detto "sì", praticando la disponibilità, così che quando metterai in pratica la tua scelta di essere disponibile sarai meglio preparato per i potenziali esiti di quella scelta.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 24-Mar-2011, 21:59
Esercizio. Dare una dimensione fisica


Quando guardiamo gli oggetti esterni a noi stessi, non li prendiamo come se fossero riferiti a noi. Immagina di camminare in strada e di notare un brutto mucchio di spazzatura. Normalmente tu non lo considereresti come il segnale che tu sei una persona orribile.
Tuttavia, se al posto del mucchio dell'immindizia, tu noti un sentimento di odio verso te stesso, potresti fonderti con questo sentimento e prenderlo come un indicatore che segnala che tu sei una persona orribile. Ma, come ora sai, questo sentimento non ti definisce più di quanto fa il mucchio di rifiuti che tu hai notato. Questo esercizio sfrutta questa distinzione per aiutarci a imparare a essere più disponibili a stare con gli eventi dolorosi.
Inizia guardando il bersaglio che hai scritto nel prepararti all'esercizio del Foglio di Lavoro della Scala della Disponibilità. Entra in contatto con ciò che tu provi quando prendi contatto con il tuo evento bersaglio.
Ora devi immaginare di prendere questo sentimento o questa sensazione e di metterla a un metro e mezzo di fronte a te. Più tardi te la lasceremo portare indietro, così, se fa obiezioni per essere messa all'esterno, falle sapere che la riprenderai indietro. Guarda se riesci a sistemarla sul pavimento di fronte a te nella stanza in cui ti trovi.
Potrebbe esserti di aiuto chiudere gli occhi e immaginarla, e quando l'avrai messa lì fuori, apri i tuoi occhi solo il tempo necessario per leggere la prossima domanda. Poi chiudi ancora gli occhi, guarda che cosa emerge in risposta alla domanda, e lascia che questo sentimento assuma le caratteristiche che ti vengono alla mente. Questo esercizio può sembrare un pò strano, ma non lasciare che ciò ti fermi.


Esercizio. Dai una forma al tuo bersaglio


Se questo bersaglio avesse una forma, che forma avrebbe? (chiudi gli occhi e lascia che la risposta venga fuori.....prova a visualizzarla veramente)

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Se questo bersaglio avesse una dimensione, quanto sarebbe grande? ( chiudi gli occhi e lascia che la risposta venga fuori.....prova a visualizzarla veramente)

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Se questo bersaglio avesse un colore, di che colore sarebbe?

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Se questo bersaglio avesse un potere, quanto potente sarebbe?

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Se questo bersaglio avesse un peso, quanto peserebbe?

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Se questo bersaglio avesse una velocità, quanto andrebbe veloce?

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Se questo bersaglio avesse una consistenza esterna, che senazione darebbe al tatto?

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Se questo bersaglio avesse una trama interna, che sensazione darebbe al tatto internamente?

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Se questo bersaglio potesse contenere acqua, quanta ne conterrebbe?

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Ora chiudi i tuoi occhi un'ultima volta e immagina l'intero oggetto. Guarda se riesci ad abbandonare la tua lotta con un oggetto fatto di questo esatto colore, dimensione, potere, peso, velocità, consistenza esterna, trama interna e volume. Cerca di essere disposto ad averne esperienza pienamente, senza difese. Medita su questo e alcuni momenti.

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Ora vedi se ci sono delle reazioni negative sgradevoli e appiccicose che sembrano interferire con la tua disponibilità ad avere questo oggetto com'è, esattamente così come tu provi che sia. Queste reazioni possono essere come il giudicarlo, l'odiarlo, il temerlo, o semplicemente anche solo il volere che se ne vada via. Chiudi gli occhi e vedi se alcune reazioni simili a queste ti ronzano attorno.

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Se non ce ne sono, puoi terminare questo esercizio. Se ce ne sono, sposta il tuo oggetto bersaglio originale un pò a destra e immagina di prendere la tua appiccicosa, difficile reazione a quel bersaglio, e di mettere questa a un metro e mezzo di fonte a te, vicina al primo. Guarda se puoi sistemarla fuori, di fronte a te su pavimento in questa stanza. Per esempio, se trovi che tu odi la prima cosa, metti "l'odio" fuori sul pavimento, vicino al primo oggetto. Chiameremo questo scondo oggetto "il nuovo bersaglio". Scrivilo.

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Se questo nuovo bersaglio avesse una forma, che forma sarebbe? ( chiudi gli occhi e lascia che la risposta venga fuori......prova a visualizzarla veramente)

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Se questo nuovo bersaglio avesse una dimensione, quanto sarebbe grande? (chiudi gli occhi e lascia che la risposta venga fuori...... prova a visualizzarla veramente)

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Se questo nuovo bersaglio avesse un colore, di che colore sarebbe?

...........................................................................................................................

Se questo nuovo bersaglio avesse un potere, quanto potente sarebbe?

...........................................................................................................................

Se questo nuovo bersaglio avesse un peso, quanto peserebbe?

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Se questo nuovo bersaglio avesse una velocità, quanto andrebbe veloce?

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Se questo nuovo bersaglio avesse una consistenza esterna, che sensazione darebbe al tatto?

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Se questo nuovo bersaglio avesse una trama interna, che sensazione darebbe al tatto internamente?

.........................................................................................................................

Se questo nuovo bersaglio potesse contenere acqua, quanta ne conterrebbe?

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Ora chiudi gli occhi un'ultima volta e visualizza il nuovo oggetto bersaglio. Gurada se riescia a lasciare la lotta con questo nuovo oggetto.......con un oggetto di questa taglia, forma, colore, potere, peso, velocità, consistenza esterna, trama interna e volume. Cerca di essere disponibile a provarlo pienamente, senza difese. Meditaci sopra per qualche momento. Ora, prima di riprenderti questi oggetti, dal mometo che risiedono dentro di te, chudi gli occhi e dà una sbirciata al primo oggetto bersaglio e vedi se ti sembra un pò diverso in forma, taglia, colore e così via. Potrebbe cambiare oppure no, dai solo una sbirciata. Vedi qualche differenza? Se si, annotale qui sotto:

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Ora immagina di pendere il nuovo bersaglio dal pavimento e di riportarlo dentro di te, poi prendi il primo bersaglio e fà lo stesso, ma realizza anche che è possibile essere più disposti verso le cose con cui noi lottiamo e nota anche che è il modo in cui reagiamo a questi eventi che dà loro molto del loro potere su di noi. Chiudi i tuoi occhi e riporta entrambi gli oggetti dentro di te, con disponibilità, proprio come daresti il benvenuto a un ospite nella tua casa.


Man mano che diamo una dimensione fisica agli eventi dolorosi ed evitati solitamente diventiamo più capaci di abbracciarli. Molti di voi probabimente hanno notato che il secondo bersaglio era ugualmente, se non di più, difficile del primo. Alcuni avranno persino notato che , man mano che mollavano la lotta con il secondo bersaglio, il primo diveniva più leggero o più piccolo, quando alla fine gli davano una sbirciatina. Se era vero per te, hai scoperto una cosa davvero importante: il potere degli eventi evitati deriva più dalla nostra indisponibilità ad averli che dalle caratteristiche che essi hanno.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 25-Mar-2011, 20:28
L'esercizio che scriverò è un esercizio lungo da fare, può richiedere anche un ora o più. Dato che è molto lungo cercherò di postarlo un pò alla volta sempre nello stesso post, aggiornerò nei prossimi giorni le altre parti.
Ora, vi pregherei di non farlo, fino a quando non avrò concluso di scriverlo. Al massimo lo si può leggere, per i più curiosi, ma non fatelo. Non avrebbe senso fare un pezzo oggi ed un altro fra due giorni. Inoltre, essendo un sercizio che richiede molta concentrazione, calma, ed un ambiente tranquillo, vi lascio il tempo di organizzarvi al meglio.



Affrontare il problema


Affrontare i nostri problemi è come affrontare un mostro di nove metri composto da barattoli di latta, fili e corde. In questa forma che sembra schiacciare, il mostro è davvero difficile da fronteggiare. Se lo smontiamo, tuttavia, separando tutti i barattoli, i fili e le corde di cui è fatto, ognuno di questi pezzi singolarmente è più facile da trattare.
Nel prossimo esercizio percorreremo le molteplici dimensioni del tuo bersaglio, e vedremo se è possibile abbracciare ogni elemento con disponibilità. In pratica cercheremo di "mollare la fune della lotta" con ogni dominio, uno alla volta.
L'esercizio lo puoi fare sia per iscritto, sia come esercizio ad occhi chiusi. Per farlo nel secondo modo, puoi leggerlo registrandolo (lasciando lunghe pause dove avrai bisogno di tempo per eseguire le istruzioni) e poi a occhi chiusi, seguire la registrazione e fare il lavoro. Se invece hai un amico o il partner che te lo legge ad alta voce, chiedigli di darti il tempo che ti serve prima di procedere. Una buona idea è avere un sistema di segnali per ogni pausa, per esempio il tuo amico non ricomincia a leggere fonchè tu non alzi un dito, come segnale di ripresa di lettura. Se lo fai in forma scritta, fallo lentamente (non correre leggendo superficialmente, perchè così non otterrresti nessun effetto). Invece, leggi un pezzo, fai tutto ciò che chiede il testo, poi leggi un altro pezzo, e così via. Questo esercizio può facilmente richiedere un ora o più se ti prendi il tempo per farlo correttamente, perciò non iniziare finchè non hai tempo e un posto tranquillo dove lavorare.

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Inviato da: miki_70 il Venerdì, 25-Mar-2011, 21:19
Esercizio. Il mostro di latta


In questo esercizio continuerai a lavorare con il bersaglio che hai esplorato in questo capitolo. Se vuoi, puoi fotocopiare l'esercizio prima di di iniziare a farlo, così, più tardi, potrai rifarlo con altri bersagli.
Mettiti comodo, dove puoi stare seduto. Ora, per prima cosa, nota il tuo respiro e fai qualche bel respiro profondo, inspira con il naso, ed espira con la bocca. Cerca di notare le parti del tuo corpo che sono in contatto con il posto in cui sei seduto. Ora, nota ogni suono presente nella stanza o fuori da essa. Prenditi almeno un minuto semplicemente per concentrarti prima di proseguire. Puoi usare qualcuno degli esercizi di mindfulness presentati precedentemente per ottenere questo effetto.
Inizia ricordando qualcosa che è successo la scorsa estate. Qulasiasi cosa ti venga in mente va bene. Ricrda che cosa è successo allora, dov'eri e cosa succedeva. Cerca di vedere, udire e sentire gli odori, proprio come facevi la scorsa estate. Non ricordare la scena come se fossi qualcun altro che la guardava dall'esterno. Fallo dall'interno del corpo della persona che si chiama "Tu" che c'era là, guardando da dietro i tuoi occhi. Chiudi gli occhi e prenditi qualche momento per immaginare questa scena.




Ora nota mentre ricordi la scena che tu eri là. C'era una persona dietro quegli occhi, proprio come c'è ora, e sebbene molte cose siano accadute dalla scorsa estate, nota anche che c'è un'essenziale continuità tra la parte di te che è consapevole di ciò di cui tu sei consapevole ora, e la parte di te che era consapevole di ciò di cui tu eri consapevole allora. Come ben sai (spero), noi chiamiamo quella persona "il sè che osserva". Vedi se riesci a fare il resto di questo esercizio dal punto di vista del tuo "sè che osserva". Una volta che ti sei seduto nel posto dell'osservatore, puoi lasciare che la scena che hai richiamato alla memoria se ne vada.



Sensazioni corporee. Entra in contatto con il tuo bersaglio. Prenditi alcuni momenti per fare ciò. Prendi consapevolezza delle sensazioni attaccate al tuo bersaglio.
Ora guarda il tuo corpo e guarda cosa fa. Semplicemente stai in contatto con le sensazioni e guarda il tuo corpo. Guarda se noti qualunque sensazione corporea che si presenta.
Se ce ne sono diverse, selezionane semplicemente una per focalizzartici. Se stai facendo questo esercizio in forma scritta, annota la tua sensazione fisica qua sotto:

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Ora focalizzati su quella singola sensazione corporea. Se altri eventi si affollano (pensieri, emozioni, memorie, altre sensazioni fisiche), lascia che sappiano che tornerai da loro più tardi, e riporta la tua attenzione su questa sensazione fisica. Nota dove la sensazione inizia e dove finisce. Nota esattamente dov'è nel tuo corpo. Se potessi fare una scultura della forma di questa sensazione e metterla nel tuo corpo, come sarebbe?
Ora guarda se puoi "mollare la fune" con questa sensazione. Deve proprio essere tua nemica?
Puoi lasciarla essere esattamente quello che è? Se trovi che c'è ancora qualcosa a cui stai resistendo, crea una scultura immaginaria che sia identica al 100% alla sensazione e ponila dov'era la sensazione, così che ovunque fosse la sensazione, ora hai l'identica sensazione che tu hai creato: sono identiche, ma questa l'hai creata tu. Guarda se puoi lasciare che questa sensazione sia lì com'è e per quello che è, invece di scappare da essa. Come sarebbe? Non stai promettendo a te stesso che lo farai sempre, ma solo per questo momento, guarda se ce la fai.
Ora ritorna in contatto con il tuo bersaglio, e ancora una volta guarda il tuo corpo e guarda cosa fa. Guarda se ci sono altre sensazioni fisiche che saltano fuori in associazione al tuo bersaglio. Se ci sono, questa è semplicemente una sensazione in più su cui focalizzarcisi. Se stai facendo questo esercizio in forma scritta, scrivila qui sotto:

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Ora focalizzati solo su quella sensazione fisica. Nota dove la senszione inizia e dove finisce. Nota esattamente dov'è nel tuo corpo. E una volta ancora vedi se puoi rinunciare a qualsiasi senso di lotta con questa sensazione. Va bene avere quella sensazione (non, "va bene", come se ti piacesse la sensazione, ma semplicemente "va bene" nel senso che la riconosci e le permetti di essere ciò che è). Prenditi qualche momento e siediti con quella sensazione finchè non senti di essere un pò più aperto ad avere quella sensazione nel tuo corpo.
Se ti scopri a parlarne con te stesso, quello è un pensiero. Non stiamo trattando ancora con i pensieri: ritorna solo a sentire la sensazione, e vedi se puoi rinegoziare la tua relazione con essa. Sei disposto a sentire ciò che già senti?
Ora metti questo da parte e mettiti in contatto con il tuo bersaglio originale. Prenditi circa un minuto per cercare altre sensazioni corporee specifiche. Puoi ripetere il processo descritto sopra tutte le volte che tu desideri per ogni diversa sensazione corporea specifica. Dopo un pò, puoi anche semplicemente dargli un occhiata, notando tutti i piccoli dolori o altre reazioni che appaiono, senza perdere molto tempo con ognuna. Come ne sbuca fuori una, notala e riconoscila. Sarà un pò come fare un cenno di saluto a un conoscente dopo l'altro da una parte all'altra della strada. Semplicemente accoglile e riconoscile, senza discutere, senza essere d'accordo, senza fare ciò che dicono, senza resistere, difenderti, o quant'altro. Puoi scrivere qui sotto ogni altra sensazione fisica che appare, una alla volta.

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Al prossimo dominio. Le emozioni!

Ciau!


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Emozioni. Torna indietro ed entra ancora una volta in contatto con il tuo bersaglio. Prenditi qualche momento per farlo. Sii consapevole di quella sensazione.
Questa volta, guarda le emozioni associate al tuo bersaglio. Guarda solamente, e vedi cosa fanno. Rimani in contatto con i tuoi sentimenti e prenditi qualche momento per guardare cosa viene fuori. Se saltano fuori diverse cose, selezionane una e focalizzatici.
Se stai facendo questo esercizio in forma scritta, scrivila qui:

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Focalizzandoti soltando su questa singola specifica emozione, guarda se puoi effettivamente avvicinarti a questa emozione per scelta, invece di scappare via da lei. Guarda se ti va bene, proprio ora, sentire questa particolare emozione. L'obiettivo qui non è che ti piaccia o non ti piaccia l'emozione. Non la stiamo valutando, non la stiamo giudicando.
L'obiettivo è sentirla, così com'è, senza un'inutile difesa. Cerca che non si disperda in altre aree, come in pensieri e predisposizioni all'azione.Semplicemente vai proprio all'emozione. Andremo in altre aree più tardi.
C'è qualcosa in questa emozione che non puoi avere in questo momento e solo per questo momento? C'è davvero qualcosa di pericoloso, dannoso, ostile, o cattivo che richieda che tu te ne debba sbarazzare, o considerandola solo come un'emozione, è qualcosa di cui tu puoi fare esperienza? Per quanto tu sia aperto a questa specifica emozione, guarda se puoi aprirti a essa anche solo un'altro pò. Di nuovo, guarda se puoi realmente avvicinarti a questa emozione per scelta, invece che scappare via da essa. Guarda se ora puoi stare con questa specifica emozione. Prenditi alcuni minuti e siediti con questa emozione finchè non senti di essere un pò più aperto ad essa.
Ora metti questa da parte ed entra in contatto con il tuo bersaglio originale. Prenditi circa un minuto per cercare altre specifiche emozioni. Puoi ripetere il processo quante volte desideri con ogni diversa emozione specifica, ma vedi se puoi farlo almeno ancora un'altra volta. Quando tu senti un'altra emozione, scrivila qui sotto:

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Ora ripeti tutte le fasi di prima. Guarda se puoi abbandonare ogni senso di lotta con questa emozione.
Dopo esserti preso un minuto o due per fare questo, guarda ancora, e se senti che ci sono altre emozioni presenti, basta che tu le noti e le riconosci. Come ne salta fuori una, dalle solo il benvenuto e riconoscila. Puoi scrivere qui sotto i nomi delle altre emozioni che si presentano, una alla volta. Non andare avanti al prossimo passo finchè non senti che stai iniziando a "mollare la corda" (per esempio che smetti di lottare così tanto) con l'emozione su cui ti sei focalizzato.


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Dopo aver esaurito tutte le emozioni attaccate al tuo bersaglio, sei pronto per spostarti sulle predisposizioni all'azione, gli impulsi e le urgenze ad agire.



Predisposizione all'azione. Cerca di entrare in contatto con la persona dietro i tuoi occhi, il "tu che osserva", la persona consapevole che sei stato nella tua intera vita. Mentre tuffati nei contenuti, questo senso di sè potrebbe essere scivolato via, e fare questo esercizio in modo efficace richiede un contatto con questo aspetto più trascendente della tua esperienza. Da quella prospettiva (o punto di vista) entra in contatto con la tua sensazione bersaglio. Prenditi tutto il tempo finchè non ci sei.
Ora, guarda se senti una spinta verso un'azione. Che cosa vuoi fare quando la senti? Non farlo realmente, semplicemente nota la spinta a dare inizio a questo comportamento. E' quasi come una sensazione corporea, ma è più simile all'inizio di una sequenza di comportamenti. Quando ne hai una, scrivila qui:

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Questa volta, invece di mettere semplicemente in atto quel comportamento o di cercare di sopprimerlo, rimani esattamente dove sei e nota come ci si sente a provare la spinta a comportarsi in quel modo, senza realmente comportarti in quel modo. E' come mettersi in piedi sul parapetto di un ponte sopra un fiume e sentire una lieve spinta a fare un salto indietro o a saltare. Invece di fare un passo indietro, o saltare, semplicemente senti la spinta. Ora chiedi a te stesso, " C'è qualcosa in questa spinta, che è qualcosa che io non posso avere? E' qualcosa di fondamentalmente cattivo o qualcosa che mi distruggerà? E' qualcosa di cui mi devo liberare?
Come prima, se altre reazioni (sensazioni corporee, emozioni, pensieri etc.) tentano di insinuarsi, lascia che sappiano che tornerai su di loro più tardi.
Prenditi alcuni minuti e siediti con le tue predisposizioni all'azione finchè senti di essere un pò più aperto verso questa spinta ad agire, senza aver bisogno di agire, o di mandarla via.
Ora metti le tue predisposizioni all'azione da una parte. Ancora, entra in contatto con la persona dietro i tuoi occhi, il tu che osserva. Da questa prospettiva, vedi se puoi portare la sensazione bersaglio al centro della tua consapevolezza. Osserva in silenzio le altre predisposizioni all'azione che potrebbero essere presenti. Mentre tu osservi, stai con il tuo sè che osserva-la parte di te che è sempre stata te. Osserva da lì. Quando hai un'altra predisposizione comportamentale scrivila quì:

....................................................................................................

Poi, ripeti gli stessi passi come sopra. Ripeti questo processo tutte le volte che puoi con tutte le diverse predisposizioni all'azione che appaiono. Scrivi ognuna di esse qua sotto, una alla volta. Mentre entri in contatto con ognuna, la chiave è vedere se riesci a essere disposto a sentire questa spinta verso un'azione senza nè compiacenza o evitamento. Cerca di rimanere con ognuna, una alla volta, finchè questo accade. L'obiettivo è essere disposto ad averla così com'è, non per quello che dice di essere. Scrivi qui quelle che compaiono.

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Dopo averle esaurite tutte, allora sei pronto per proseguire con i pensieri.



Pensieri. I pensieri sono infidi, quindi prenditi un momento per entrare dolcemente in contatto con la persona dietro i tuoi occhi, il tu che osserva. Tu non puoi guardare a questa parte di te stesso, perchè è solo guardare da l'io - qui - ora, così contatta semplicemente la parte di te stesso che chiamiamo "grande mente", e poi guarda a questo prossimo dominio da questa prospettiva.
Entra in contatto con il bersaglio con cui hai lottato e poi guarda quali pensieri si manifestano da questo luogo. Guarda se riesci a prenderne solamente uno , proprio come potresti prendee un pesce. Vedi se riesci a tirarlo a riva e scrivi il suo nome qui. Hai praticato un bel pò questa abilità fino a ora, quindi dovresti avere il senso di come farlo.

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Ora, vedi se puoi semplicemente pensare quel pensiero senza cercare di minimizzarlo, diminuirlo, o discutere con esso. E' importante non cercarlo di scacciarlo, perchè chiederà la tua attenzione e il tuo accordo se lo fai. Guarda se puoi veramente ascoltarlo e dargli la massima attenzione, così come potresti ascoltare il parlottare di un bambino: attentamente ma senza nè accordo nè disaccordo. Tu non stai credendo al pensiero e nemmeno lo stai rifiutando. Tu lo stai guardando come un pensiero (ricordi "latte, latte, latte"?).
Nota che è proprio vero che la tua mente pensa questo pensiero quando entra in contatto con il tuo bersaglio. Va bene se questo pensiero è semplicemente un pensiero?
Guarda se puoi pensare questo pensiero per scelta. Questo non significa che tu gli credi. Non significa che tu non gli credi. Significa permettere alla tua mente di pensare quel pensiero come un pensiero, di proposito. Chiedi a te stesso se c'è qualunque cosa di fondamentalmente ostile, cattivo, o dannoso che tu non puoi avere, se questo pensiero è solo un pensiero.
Quando senti che sei disposto a pensare il pensiero come un pensiero, mettilo da una parte ed entra in contatto con il tuo bersaglio. Prendi un momento, ......non farlo in fretta.
Una volta che stai facendo esperienza del tuo bersaglio, vai ancora a "pesca di pensieri".
Quando catturi il prossimo pensiero associato al tuo bersaglio, scrivilo quì:

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E ringrazia la tua mente per quel pensiero:" fico, bel pensiero....è proprio bello". Nota se lo hai già visto prima. Non far nulla di tutto questo in modo sdegnoso, o in modo da trattare con paternalismo la tua mente: le sta lasciando fare ciò che sà fare senza aggiungerle o toglierle nulla. Ti fornirà una sequenza di parole che sentirai, e rispettosamente rifiuterai di lottare con questi pensieri, in ogni modo: stai solo per ascoltarli, con comprensione.
Se altre sensazioni psicologiche, emozioni etc. tentano di insinuarsi, fa sapere loro che te ne occuperai più tardi.
Siedi con quel pensiero finchè senti che puoi semplicemente pensare il pensiero senza cercare di minimizzarlo, diminuirlo, discuterci, o fare quello che ti dice per farlo andare via. Poi metti da parte questo pensiero. Ancora, entra in contatto con la persona dietro i tuoi occhi, il tuo sè che osserva. Da questa prospettiva contatta il bersaglio e mettilo pienamente al centro della tua consapevolezza: ancora, guarda silenziosamente se ci sono altri pensieri che potrebbero essere associati a questo. Scrivili man mano che appaiono, e ripeti il processo precedente con ogni pensiero quante volte lo desideri, o semplicemente riconoscili in modo accettante e defuso, e guarda il prossimo pensiero da scrivere.

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Dopo aver esaurito questo dominio, sei pronto per muoverti sui tuoi ricordi.


Ricordi. Ancora, guarda se puoi entrare in contatto con la persona dietro ai tuoi occhi , il tuo sè che osserva, la persona che sei stato per tutta la tua vita. Da quella prospettiva o punto di vista, entra in contatto con il tuo bersaglio.
Bene, per l'ultima parte di questo esercizio, immagina di avere tutti i ricordi della tua vita su piccole istantanee, come schede archiviate in un raccoglitore, tutti gli eventi della tua vita dalla tua nascita fino al momento presente. Entra in contatto con il tuo bersaglio, apri il raccoglitore e inizia a sfogliare delicatamente le foto dei tuoi ricordi. Inizia dal presente e torna indietro sempre più in profondità nel tuo passato. Se ti trovi fermo su qualche immagine, smetti di sforgliare e guarda quel ricordo. Scriviti una nota che ti ricorderai più tardi quale ricordo si è presentato:

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......................................................................................................

Ora, semplicemente nota, da dietro gli occhi della persona chiamata "te", il tuo sè che osserva:

. Chi altro c'era lì?

. Che cosa stavi sentendo tu?

. Che cosa stavi pensando tu?

. Che cosa stavi facendo tu?

. Che cosa volevi fare tu?

Ora, vedi se puoi mollare qualsiasi lotta che possa essere associata con il tuo ricordo. Potrebbe essere un dolore associato all'immagine, o l'indisponibilità a lasciarla a causa della felicità a essa associata. Qualunque sia la tua reazione al ricordo, semplicemente vedi se puoi lasciar andare delicatamente la tua lotta con essa e fare spazio a queste reazioni. Guarda se riesci a essere disposto ad avere questo ricordo esattamente per come è. Questo non significa che ti piace, ma solo che sei disposto ad averlo.
Se c'è qualcosa in questo ricordo che non hai elaborato totalmente a quel tempo, ci sarà la sensazione che il lavoro con il ricordo sia incompleto. Per esempio, hai sentito rabbia nel ricordo ma l'hai nascosto. Se è così, guarda se riesci ad andare in quella parte del ricordo e a completare il lavoro che non sapevi fare allora: senti ciò che hai sentito, pensa a ciò che hai pensato, e così via. La tua guida quì è una bussola invertita: se senti una parte di te dire "non andare là", guarda se, in realtà, è possibile andare là, se è ciò che è, non ciò che dice di essere.
Quando hai ricordato a fondo il tuo ricordo e senti che sei aperto ad esso, allora rimetti docemente il ricordo nel raccoglitore.
Ora, dalla prospettiva del tuo sè che osseva, torna in contatto con la sensazione bersaglio che hai scelto all'inizio di questo esercizio. Ancora una volta, apri il raccoglitore e inizia a sfogliare dolcemente le istantanee dei ricordi mentre sei in contatto con il tuo bersaglio. Questa volta vai ancora più indietro: sta a te quanto andare indietro. Se ti fermi sul ricordo, anche se non sembra essere in relazione al bersaglio, fermati, tiralo fuori e guardalo. Scrivilo qui:

....................................................................................................

....................................................................................................

Ora con questo ricordo, ripeti tutti i passaggi che hai fatto precedentemente.

. Chi altro c'era lì?

. Che cosa stavi sentendo tu?

. Che cosa stavi pensando tu?

. Che cosa stavi facendo tu?

. Che cosa volevi fare tu?


Guarda se puoi mollare ogni lotta che può essere associata con il ricordo. Prenditi il tempo che ti serve. Se incontri resistenza o dolore, semplicemente va lì dolcemente e guarda ogni resistenza. Guarda il dolore. Vedi se ce la fai a essere disposto ad avere questo ricordo esattamente com'è.
Ancora una volta, se c'è qualcosa in questo ricordo che non hai elaborato totalmente a quel tempo, ci sarà la sensazione che il lavoro nel ricordo sia incompleto. Ancora una volta, vedi se riesci ad andare in quella parte del ricordo e completare il lavoro che non sapevi di dover fare allora: senti ciò che hai sentito, pensa ciò che hai pensato, e così via.
Ora metti questo ricordo da parte. Se non sei ritornato nella tua prima infanzia, ripeti questa intera sequenza un'ultima volta usando un ricordo della tua prima infanzia. Scrivilo quì:

...................................................................................................

...................................................................................................

E poi ripensalo. Cerca di aprirti sempre di più, sempre di più al ricordo e a ciò che c'era in quel ricordo. Prenditi qualche minuto per farlo.
Quando l'hai fatto, chiudi il raccoglitore. Nota il tuo respiro e fai qualche bel respiro profondo, con l'aria che entra attraverso le tue narici ed esce dalla tua bocca. Vedi se puoi entrare in contatto con il fatto che sei una persona intera, completa. Questo "mostro di latta" è in te, e quindi è un'illusione che sia più grosso di quanto lo sei tu. Chiediti: sono disponibile a essere me stesso, con la storia che io ho, e a continuare da quì, portando tutte queste reazioni avanti come parte di una vita rafforzata?
Che cosa hai notato rispetto ai vari collegamenti tra le sensazioni corporee, le emozioni, i pensieri, le predisposizioni all'azione e i ricordi? Puoi scrivere ogni collegamento che vedi:

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Che cosa c'è rispetto ai ricordi? Quali collegamenti vedi tra questi ricordi e le questioni con le quali stai lottando oggi? Scrivi ogni collegamento che vedi:

.....................................................................................................

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Un pericolo nel fare questo tipo di lavoro è che talvolta vediamo la fonte del nostro dolore nella nostra stessa storia e concludiamo che staremmo meglio senza questa storia. Questa è una illusione del linguaggio. E' vero che il tuo passato ti ha portato dove sei oggi, e che il tuo passato è la fonte della regolazione sulla tua manopola del Disagio: ma il modo in cui questi pensieri ed emozioni funzionano oggi dipende in gran parte da ciò che tu fai con essi. La questione è questa: che cosa puoi fare per abbandonare la lotta con la tua storia e comportamenti più efficacemente ora?
Che cosa si frappone tra te e l'essere pienamente disponibile ad avere questi pezzi del mostro di latta per quello che sono, senza permettere loro di giocare un ruolo distruttivo nella tua vita? Pensaci per un momento e poi scrivi la tua risposta qui (suggerimento: si tratta di una domanda insidiosa).

..................................................................................................

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Se hai scritto qualcosa diverso da "niente" o "solo io" allora guarda ancora (come abbiamo detto, è una domanda insidiosa). Se si tratta di qualcos'altro, guarda se non hai scritto qualche stralcio di contenuto. Ma che cosa c'è tra te e l'essere disposto ad avere quel contenuto in un modo defuso? In ogni caso, chi regola la manopola della Disponibilità? Tu o la tua storia?

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 31-Mar-2011, 21:34
L'esercizio è completo.

Adesso lo potete fare.

Buona fortuna

PSICO smile.gif

Inviato da: gipsykings il Sabato, 02-Apr-2011, 18:31
Ciao Miki,allora io sono fregato visto che non posso espormi alle mie paure.Paura di non sopportare più tutto questo,paura di farmi del male,paura della paura............. PSICO cry.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 03-Apr-2011, 00:56
QUOTE (gipsykings @ Sabato, 02-Apr-2011, 17:31)
Ciao Miki,allora io sono fregato visto che non posso espormi alle mie paure.Paura di non sopportare più tutto questo,paura di farmi del male,paura della paura............. PSICO cry.gif

PSICO-nono.gif non sei affatto "fregato". "Fregato" è un altro bluff della mente.
Hai paura di farti del male?
Ascolta, fai questo semplice esercizio: Prendi un libro qualsiasi, aprilo, e pensa dieci o venti volte "devo chiudere il libro". Poi dimmi se lo chiudi veramente.


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 03-Apr-2011, 01:08
Vorrei chiarire una cosa fondamentale che ho tralasciato ma che per me è importantissima. Questo 3d non ha lo scopo di guarire nessuno, di salvare nessuno, di cambiare nessuno. E' solo un viaggio per aiutarci a capire meglio come funziona la nosta mente acquisendo abilità (spero) per migliorare la nostra vita.

PSICO hug.gif

Inviato da: gipsykings il Domenica, 03-Apr-2011, 17:16
QUOTE (miki_70 @ Sabato, 02-Apr-2011, 23:56)
QUOTE (gipsykings @ Sabato, 02-Apr-2011, 17:31)
Ciao Miki,allora io sono fregato visto che non posso espormi alle mie paure.Paura di non sopportare più tutto questo,paura di farmi del male,paura della paura............. PSICO cry.gif

PSICO-nono.gif non sei affatto "fregato". "Fregato" è un altro bluff della mente.
Hai paura di farti del male?
Ascolta, fai questo semplice esercizio: Prendi un libro qualsiasi, aprilo, e pensa dieci o venti volte "devo chiudere il libro". Poi dimmi se lo chiudi veramente.


PSICO smile.gif

PSICO wink.png

Inviato da: miki_70 il Domenica, 03-Apr-2011, 21:42
QUOTE (gipsykings @ Domenica, 03-Apr-2011, 16:16)
QUOTE (miki_70 @ Sabato, 02-Apr-2011, 23:56)
QUOTE (gipsykings @ Sabato, 02-Apr-2011, 17:31)
Ciao Miki,allora io sono fregato visto che non posso espormi alle mie paure.Paura di non sopportare più tutto questo,paura di farmi del male,paura della paura............. PSICO cry.gif

PSICO-nono.gif non sei affatto "fregato". "Fregato" è un altro bluff della mente.
Hai paura di farti del male?
Ascolta, fai questo semplice esercizio: Prendi un libro qualsiasi, aprilo, e pensa dieci o venti volte "devo chiudere il libro". Poi dimmi se lo chiudi veramente.


PSICO smile.gif

PSICO wink.png

Beh! hai fatto l'esercizio?

Inviato da: miki_70 il Martedì, 05-Apr-2011, 23:52
A proposito, il programma non è finito. Forza ragazzi PSICO hug.gif

Inviato da: gipsykings il Mercoledì, 06-Apr-2011, 17:17
QUOTE (miki_70 @ Domenica, 03-Apr-2011, 20:42)
QUOTE (gipsykings @ Domenica, 03-Apr-2011, 16:16)
QUOTE (miki_70 @ Sabato, 02-Apr-2011, 23:56)
QUOTE (gipsykings @ Sabato, 02-Apr-2011, 17:31)
Ciao Miki,allora io sono fregato visto che non posso espormi alle mie paure.Paura di non sopportare più tutto questo,paura di farmi del male,paura della paura............. PSICO cry.gif

PSICO-nono.gif non sei affatto "fregato". "Fregato" è un altro bluff della mente.
Hai paura di farti del male?
Ascolta, fai questo semplice esercizio: Prendi un libro qualsiasi, aprilo, e pensa dieci o venti volte "devo chiudere il libro". Poi dimmi se lo chiudi veramente.


PSICO smile.gif

PSICO wink.png

Beh! hai fatto l'esercizio?

Sto leggendo tutti i tuoi post................OTTIMO Miki

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 06-Apr-2011, 22:04
A questo indirizzo troverete la pubblicità di un testo che potete acquistare, ma non è quello che volevo suggerirvi. Troverete una sezione in pdf che potete stampare con esercizi e schede di valutazione basate sull'ACT.
Più altre notizie che a mio avviso sono estremamente utili.
PSICO smile.gif





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Inviato da: miki_70 il Sabato, 09-Apr-2011, 20:06
Esercizio. Accettazione in tempo reale

Gli ultimi due esercizi sono stati costruiti essenzialmente per esporti al contenuto avversivo nella tua immaginazione. Hai portato alla mente il tuo bersaglio facendo emergere difficili sensazioni corporee, sentimenti, pensieri, ricordi e così via che poi abbiamo smontato e valutato pezzo per pezzo.
Ma che cosa accade quando ti trovi di fronte il contenuto della tua battaglia in tempo reale? Che cosa succede quando tu sei là fuori nel mondo, nella tua vita reale, e ti trovi di fronte a situazioni che ti causano dolore? Se sei un agorafobico, per esempio, e non sei uscito di casa per un sacco di tempo, quando uscirai dalla porta d'ingresso, ti troverai di fronte alcuni grossi mostri di latta. Come dovresti gestire casi come questo?
La risposta breve è: nello stesso modo in cui hai imparato a gestire tutte le tue esperienze difficili. Apriti a loro mettendoti per prima cosa nella posizione dell'osservatore, e quindi con il tuo sè che osserva guarda a loro da una posizione defusa, accettante e consapevole. In ogni caso ci piacerebbe anche aiutarti a trattare con le esperienze difficili in un modo più concreto di quello che abbiamo appena descritto.
Quella che ci piacerebbe fare è aiutarti a sviluppare un insieme di esperienze che secondo te faranno emergere il contenuto negativo che hai evitato e quindi sviluppare un programma di esposizione graduale nel quale andrai fuori, nel mondo reale, cercherai questi scenari e sperimenterai la tua esperienza in tempo reale.
Per ottenere questo, inzia con il foglio di lavoro qui sotto. Completa lo spazio sulla sinistra con gli scenari fisici reali che pensi solleveranno il bersaglio della disponibilità che hai scelto precedentemente. Nota che ci sono dieci spazi, quindi cerca di completarlo con dieci scenari. Scegli una varietà di differenti situazioni in cui il tuo bersaglio si presenterà.
Pensa a qualcosa che ti causerà molto stress e a qualcosa che non ti causerà così tanto disagio. Se pensi a uno scenario che senti veramente grande e scoraggiante, potresti suddividerlo nelle parti che lo compongono.
Una volta fatto questo, ordina i tuoi scenari da 1 a 10, dove 1 rappresenta lo scenario che pensi ti causerà il mnimo contatto con il tuo bersaglio, mentre 10 è lo scenario che pensi ti causerà il contatto più grande. Numerarli da 1 a 10 ti darà un modo graduale per esporti a questo materiale.






Una volta fatto questo, prendi lo scenario numero 1, e decidi un tempo e un luogo in cui vorresti esporti. Puoi limitare la quantità di tempo della tua esposizione nello stesso modo che nell'esercizio "Foglio di lavoro della scala della Disponiobilità", ma, ancora, quello che non puoi certamente limitare è la tua disponibilità a sperimentare quello che l'esposizione ti suscita. L'evitamento di quasiasi tipo deve essere fuori discussione: se non sei certo di poterti prendere questo impegno, limita questo passo ulteriormente rispetto al tempo e alla situazione. Se non sei per niente disponibile: lascia perdere.
Prendi qualche appunto nello spazio sottostante (il tuo allegro quadernetto) rispetto a quando, dove e quanto a lungo sei disposto a fare questa esposizione al primo oggetto:

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Inviato da: miki_70 il Domenica, 10-Apr-2011, 21:00
Durante l'esposizione effettiva userai le abilità che hai già imparato. Per prima cosa descriveremo queste abilità, quindi le ridurremo a un elenco puntato che puoi portare con te per ricordarti le azioni che puoi mettere in atto nella situazione.
Dovresti notare quello che fa il tuo corpo. Localizza dove senti le sensazioni e le emozioni nel corpo. Nota le qualità della sensazione, e dove inizia e finisce. Esamina il tuo corpo e nota altri posti in cui stai sentendo qualcosa, e dopo averlo notato, psicologicamente allunga la mano e senti queste sensazioni senza difese o manipolazioni. Assicurati che il tuo scopo sia semplicemente quello di essere presente e disponibile. Nient'altro. Questo non è un modo segreto per far diminuire o svanire le sensazioni sgradevoli, e, anche se capita che le tue sensazioni cambino, non abboccare e credere a nessun pensiero che ti dica diversamente.
Guardati attorno mentre ti stai esponendo e osserva cos'altro sta accadendo nel mondo intorno a te. Se ci sono persone, notale. Se ci sono oggetti, o edifici, o piante o alberi, notali. Non farlo per diminuire la cosa con cui stai lottando. Il punto è quello di aggiungere alla tua esperienza: in aggiunta a queste situazioni, c'è anche la vita che sta accadendo tutta intorno a te.
Nota quali pensieri emergono per te. Notali nel modo in cui tu noteresti una nuvola che passa. Non fare nulla per farli vivere o andare via. Non discutere con loro. Non rifiutarti di credere loro e non seguirli dove vanno. Semplicemente notali, così come puoi notare il suono di una radio in sottofondo. Ringrazia la tua mente per aver generato tutti questi suoi prodotti per te.
Nota la spinta verso il tuo passato e verso il tuo futuro, ma guarda se puoi stare nel presente, essendo presente ai pensieri riguardo il passato e il futuro. Se ti trovi a controllare l'orologio, lascia andare il tuo attaccamento al tempo.
Nota la spinta all'azione. Se senti la spinta a lasciar perdere, o evitare, o dissociarti, semplicemente senti questa spinta - pienamente e con disponibilità.
Divertiti un pò. Fai qualcosa di nuovo (qualunque cosa!) nella situazione. Racconta una barzelletta. Canticchia. Mangia. Saltella. Fai piccoli giochi mentali. Per esempio, se ci sono persone attorno, puoi identificare chi è quello con il peggiore taglio di capelli? Che cosa ti interessa in questa situazione? Stai attento! Questa non è "distrazione". In aggiunta a quello con cui stai lottando, il punto è quello di notare che c'è anche l'opportunità di fare tante, tante altre cose. Amplia la gamma di cose che puoi fare quando sei in contatto con il tuo bersaglio.
Se ti senti davvero coraggioso, trova quello che la tua mente ti sta dicendo che tu non puoi o non devi fare e prendi in considerazione di fare molto di più di quello ( ma solo se sei disponibile!).

Inviato da: Nimrod il Lunedì, 11-Apr-2011, 19:31
un giorno devo leggere,anzi stampare tutte queste pagine...ora non me la sento...ci sono sicuramente delle cose interessanti da mettere in pratica...

Inviato da: SOL il Lunedì, 11-Apr-2011, 20:17
QUOTE (Nimrod @ Lunedì, 11-Apr-2011, 18:31)
un giorno devo leggere,anzi stampare tutte queste pagine...ora non me la sento...ci sono sicuramente delle cose interessanti da mettere in pratica...

Dici che è meglio rimandare?

Inviato da: Nimrod il Lunedì, 11-Apr-2011, 21:17
dico che ho paura di andare in confusione totale...

Inviato da: SOL il Lunedì, 11-Apr-2011, 21:19
Io inizierò a stamparli,da miki c'è tanto da imparare.
Nim,stammi bene...

Inviato da: miki_70 il Martedì, 12-Apr-2011, 00:17
continua del post precedente!



... Nota che tu sei lì come un sè che osserva, attraverso tutto questo, immutabile. Usa questo senso per essere presente alle tue esperienze (non usarlo per dissociarti e per evitarle).
Soprattutto, fai attenzione a ogni piccolo, micuscolo modo in cui la tua mente ha cercato di "proteggerti" con l'evitamento. Scardina ogni forma di evitamento, lasciala andare. E tutto questo ha un solo scopo: fare pratica dell'essere disponibili nel momento. Nessuna manipolazione. Non è una strada nuova, segreta per regolare i tuoi processi interni. Basta fare quello.
Capito? Bene, ora esci e fallo. Porta tutte le tue abilità con te, e fai esperienza di quello di cui hai esperienza in tempo reale, pienamente e senza difese. Imposta i tuoi limiti in anticipo.
Ora, qui sotto vedrai un elenco che puoi utilizzare per ricordarti le cose da fare. Puoi aumentare questa lista, aggiungendo qualsiasi esercizio fatto durante il corso del lavoro con questo 3d, per aiutarti sia a defonderti da, o accettare pensieri e sentimenti, sia a entrare in contatto con il tuo "sè che osserva". Metti nella lista qualsiasi cosa abbia funzionato per te. Per esempio, se soffri di agorafobia e hai deciso di camminare attorno al tuo condominio come primo passo, quando ti arriva l'ansia potresti chiederti:" Se questa sensazione avesse una dimensione, quanto sarebbe grande? Se questa sensazione avesse una forma, che forma avrebbe?".
Se vuoi osservare i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti fluttuare via come foglie su un fiume, allora fai mentalmente questo esercizio ( te lo ricordi?). Se vuoi mettere i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti in tre "treni mentali" (senza salire sui vagoni tu stesso!), fallo. Se sai che potresti essere completamente preso nei tuoi pensieri, magari prova qualche esercizio di defusione che hai imparato. Ricordati che ne hai costruiti dei tuoi (spero), per te stesso. Puoi utilizzare quelli se l'istinto ti dice che potrebbero aiutarti. Aiutare a fare cosa? Non aiutare a regolare il tuo bersaglio. Questo obiettivo minerà solamente quello che stiamo facendo qui. L'aiuto di cui stiamo parlando è di facilitarti a essere presente, defuso e disposto a stare in contatto con ciò che è stato difficile o che hai evitato.
Porta questa lista con te e dalle un occhiata mentre fai la tua esposizione reale. Nota il tuo corpo e le sensazioni. fai loro spazio.

. Nota cosa c'è attorno a te. Apprezza il tuo ambiente immediato.

. Non evitare.

. Nota i tuoi pensieri, ma semplicemente lasciali venire e andare via. Non seguirli e non discutere con loro. Semplicemente, notali.

. Nota la spinta al passato e al futuro. Poi nota che tu sei qui, nel presente.

. Non combattere.

. Nota la spinta ad agire e a quella di evitare. Non fare niente riguardo questa spinta tranne notarla.

. Fai qualcosa di nuovo. Magari anche qualcosa di giocoso.

. Usa la tua bussola invertita (ma solo se sei disposto!).

. Nota che tu stai notando tutte queste cose.

. Elenca qui sotto (cioè sul tuo quadernetto) altre cose che potresti fare:


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....................................................................................................

. Attieniti al tuo impegno: sii presente. Non evitare.



Puoi continuare a ripetere la tua esposizione allo scenario numero 1 finchè non ti sentirai capace di aprire te stesso all'esperienza e di accettare quello che sta arrivando. Questo non significa farlo finchè il tuo dolore se ne andrà via. Non riguarda questo. Fallo fino a quando puoi fare più spazio per tutti i pensieri, sentimenti, impulsi, sensazioni corporee e ricordi che hai. Dà loro il benvenuto nella casa che sei tu. Respirali tutti quanti.
Dopo aver fatto questo (può richiedere diverse esposizioni), spostati allo scenario numero 2 e fai la stessa cosa. Se ti imbatti in un livello che sembra al di sopra delle tue possibilità, metti da parte l'elenco e ritornaci dopo aver lavorato sugli ultimi due capitoli di questo 3d.
Puoi continuare a lavorare con questo processo continuamente, usando questa lista e molte altre. A un certo punto, potrebbe non essere più necessario fare un elenco di scenari e poi perseguirli in questo modo. Una volta che hai fatto un pò di pratica con le tue abilità di accettazione, sarai in grado di integrarle all'interno della vita di tutti i giorni, e la vita stessa ti darà molte opportunità di "saltare". E' sorprendente come quando iniziamo a dire "sì", la vita sembra presentarsi a noi solo con le giuste sfide: sempre un pò di più, o un pò prima di quello che noi avremmo potuto desiderare, e nonostante ciò assolutamente fattibili, se noi siamo disposti.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 14-Apr-2011, 00:13
Se sei arrivato a questo punto, allora hai fatto davvero un buon lavoro: hai mosso i tuoi primi passi verso la disponibilità e hai fatto il tuo primo salto verso un modo diverso di capire il tuo dolore. Non lasciare che la tua mente si prenda il tuo successo e che lo trasformi in qualcosa di assoluto. Nessuno ti sta cronometrando, non c'è nessun traguardo in questa corsa. Per ora, in ogni caso, anche solo spostarsi in avanti è sufficiente.
Nei prossimi ed ultimi capitoli, prenderemo tutti gli esercizi di defusione, mindfulness e accettazione che hai imparato finora e inizierai ad imparare come usarli nel contesto del perseguire una vita di valore, impegnata e vitale......vabbè, diciamo una vita "normale" laugh.gif

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 15-Apr-2011, 20:29
CHE COSA SONO I VALORI?


Immagina di essere l'autista di un bus che si chiama "la tua vita". Come ogni bus, durante il tuo percorso raccogli diversi passeggeri. In questo caso i tuoi passeggeri sono i tuoi ricordi, le tue sensazioni corporee, le tue emozioni, i tuoi pensieri, i tuoi bisogni e così via. Hai caricato alcuni passeggeri che ti piacciono: sono come vecchiette dai modi gentili che speri si siedano davanti, vicino a te; hai caricato anche qualcuno che non ti piace, come un gruppetto di bulli poco raccomandabili che vorresti avessero preso un altro mezzo.
Non è forse vero che quando hai cominciato a leggere questo 3d eri concentrato sui tuoi passeggeri? Sono proprio loro che hanno definito la natura della tua lotta contro il tuo dolore psicologico. E' come se avessi speso un bel pò di tempo nel tentativo di far scendere quei passeggeri dall'autobus di cui sei l'autista, cambiare il loro aspetto o renderli meno visibili. Se stai soffrendo di una grave forma di ansia o hai sensazioni dolorose di tristezza, probabilmente hai provato a fermare la corsa cercando di convincere o forzare i passeggeri indesiderati a scendere.
Nota la prima cosa che hai dovuto fare per conseguire questo risultato: hai dovuto fermare l'autobus, hai dovuto mettere la tua vita in attesa mentre la battaglia veniva combattuta e, con tutta probabilità, i passeggeri indesiderati, come risultato della lotta, non sono scesi dalla corsa. Questi paseeggeri, infatti, hanno una loro mente e inoltre il tempo va in una sola direzione, non due. I ricordi dolorosi, per esempio, una volta saliti sul bus, intendono starci; tranne che nel caso di una lobotomia, questi passeggeri non scenderanno finchè il bus non giungerà a destinazione.
Una volta capito che i tuoi passeggeri semplicemente non scenderanno, come ultima risorsa, generalmente ci focalizziamo sulla lor apparenza e visibilità. Se, per esempio, abbiamo a bordo del bus un pensiero negativo, cercheremo di rimetterlo un pò in ordine dando un colpo al cerchio e un colpo alla botte, cambiando una parolina lì, o una sfumatura di significato là. Ma siamo esseri umani che hanno una storia. Quando provi a cambiare i passeggeri del tuo bus, il risultato che ottieni è semplicemente quello di aumentarli di numero e di grandezza. E' un pò come incontrare una banda di delinquenti e costringerli a mettersi giacca e cravatta per apparire meno spaventosi. Questi delinquenti saranno ancora nella loro forma originaria, almeno nella nostra memoria, e anche se stanno indossando un completo costoso sappiamo che sotto sotto non sono cambiati affatto.
Una volte esaurite tutte le possibilità di cacciare i passeggeri indesiderati, inizierai a contrattare con loro. Proverai quindi a spostare il più indietro possibile quelli più paurosi o fastidiosi con la speranza che alla fine non dovrai vederli così spesso. Forse potrai far finta persino che siano scomparsi completamente. Inventerai modi ingegnosi per evitare persino di sapere che questi passeggeri sono ancora sul tuo bus. Evitiamo. Possiamo anche utilizzare sostanze. Neghiamo l'evidenza.
Puoi provare vari modi per nascondere la tua ansia, la tua depressione, la tua bassa autostima, chiedendo a questi pensieri o emozioni di sedersi nel sedile posteriore lontano da te, ma il costo di quest'ultima strategia è molto alto:baratti la tua libertà. Infatti purchè questi passeggeri stiano fuori dalla tua vista offri loro una triste controparte: se stanno seduti dietro il bus, il più nascosto possibile, tu li porterai dove loro vogliono andare.
Per esempio, per riuscire a fare andare la tua ansia sociale sul fondo del bus, puoi arrivare a evitare situazioni in cui potresti sentirti valutato e impaurito. Quando emerge l'opportunità di conoscere o stare con altre persone, la eviti o stai sulla difensiva, oppure interagisci in modo poco convinto.
Tutto questo solo per evitare che il tuo passeggero pericoloso, ossia l'ansia legata alle situazioni sociali, alzi la testa.
Anche se questa strategia alla fine funziona, ha un costo enorme.
Quando vai dove i passeggeri ti chiedono di andare, perdi il controllo del bus chiamato "la tua vita".
E' possibile smettere di soffrire vivendo la vita. Tu puoi farlo desso, senza aspettare che la tua mente sia la prima a cambiare. E' una promessa.
Prendiamoci un pò di tempo per riprendere questa promessa.
Ci siamo focalizzati sul creare alternative al fine di cercare di far scendere i passeggeri indesiderati, farli sembrare diversi, o contrattare con loro affinchè fossero meno visibili. Invece dell'evitamento, hai imparato l'accettazione. Invece del credere e non credere, hai imparato la defusione e la mindfulness. Invece di aspettare con paura il futuro, o rimuginare tristemente sul pasato, hai imparato a stare più a contatto con il momento presente, che è solo ora. Invece di pensare a te stesso secondo quello che la tua mente dice che sei, hai imparato a notare che il "sè trascendente" non è una cosa, è al di là delle categorizzazioni verbali, è continuamente presente.
Se hai fatto tutte queste cose, dovresti aver imparato molto sul come stare in modo sereno e naturale con i tuoi passeggeri, distinguendoti da loro e mostrandoti disposto a portarli a destinazione, con vitalità e presenza.
Dovresti anche aver imparato come impedire che il controllo del bus e della sua direzione passi ai tuoi passeggeri e come smettere di contrattare con loro. Così, in questo capitolo e nei due che seguiranno, ci dirigeremo verso il cuore del nostro discorso.
Quando prendi l'autobus, avrai notato che sopra al parabrezza c'è un piccolo segnale che indica la direzione verso cui sta andando. I passeggeri che prendono quell'autobus andranno verso quella destinazione. La destinazione dell'autobus non è determinata dal capriccio del momento di qualche passeggero, ma saranno i padroni dell'autobus e l'autista a stabilire la destinazione e a portare lì il bus. Ora è arrivato il momento di capire dove vuoi che questo bus chiamato "la tua vita" si diriga.
Cosa scegli di scrivere esattamente sul tuo segnale? Qual'è la tua strada?

PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 15-Apr-2011, 20:49


vi pesento mister Steven C. Hayes, creatore dell' ACT laugh.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 17-Apr-2011, 19:29
I valori come direzione di vita da scegliere

Prima devo darti un avvertimento: stai entrando in una delle parti più difficili dell'intero 3d. La tua mente sta ascoltando e osservando tutto e pretenderà di fare ogni cosa insieme a te (come al solito!). I valori non sono eventi puramente verbali, ma possono essere conosciuti (almeno in parte) attraverso le parole. Questo piazza i valori solo a un pelo di distanza da alcuni processi verbali distruttivi. Il tuo organo verbale, la tua "mente", pretenderà a più riprese di capire razionalmente cose che da lei non potranno essere capite.
Per esempio, se noti un sentimento di pesantezza come reazione a questo lavoro; se inizi a sentirti impotente; se inizi a sentirti insignificante; se ancora una volta, pensi o senti di non arrivare da nessuna parte, fermati.
Questi sono i segni sicuri che la tua mente sta prendendo il controllo. Se incontri questo tipo di sensazioni nel corso degli ultimi capitoli, fà un passo indietro e inizia nuovamente questo capitolo usando tutte le tecniche ed abilità imparate fino ad ora. Vedi se questa volta riesci a defonderti dai tuoi ganci mentali. I valori sono vitalizzanti, migliorano, e danno energia. Non sono un altro posto della mente in cui vieni sbattuto o valutato e classificato come un fallito per l'ennesima volta.
I segnali posti davanti al tuo bus si chiamano valori. I valori sono direzioni/scelte di vita.
Per capire questi concetti cominciamo con il capire cosa significano "direzione" e "scelta".


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 17-Apr-2011, 19:56
Direzione

Poichè i valori sono molto di più di mere parole, può essere utile ritornare alla metafora della vita come un autobus che stiamo guidando. Così, immagina che il tuo bus stia viaggiando in un'ampia vallata con molte strade sterrate. Attorno a te ci sono in lontananza montagne, colline, alberi e rocce. Nello spazio più vicino stagni, arbusti, rocce e fiumicciattoli. Sul tuo autobus c'è una bussola.
Puoi scegliere una direzione da seguire e dire:"penso che andrò a Est!".
Guardi la bussola e dirigi il tuo autobus verso Est. La strada davanti a te non è perfettamente in direzione Est, ma ti porta verso quella direzione.
Guidi l'autobus andando avanti, arrivi alla fine della strada, e si presentano un paio di strade alternative. Studi le alternative e prosegui ancora una volta, più o meno nella direzione Est.
Quindi la mia domanda è: "Quando arriverai effettivamente a Est?", "Come saprai quando sei arrivato?", "Quando finisce la direzione chiamata Est?", "Quand'è che sei andato più a Est di quanto tu possa andare?".
Se non stai cercando di arrivare in un posto specifico, ma stai seguendo una direzione come meta, la risposta a queste domanda è ."Mai!". La direzione non è qualcosa che raggiungi, come un oggetto o una città.
Allo stesso modo i valori sono qualità intenzionali che collegano tra loro stringhe di momenti in pattern significativi. Sono ciò che quei momenti riguardano, sono il modo in cui le cose vengono fatte, non sono posseduti come oggetti in quanto sono qualità di azioni in divenire, non di particolari cose. Detto in altro modo, i valori sono verbi e avverbi non nomi o aggettivi: sono qualcosa che fai o il modo in cui fai qualcosa, non qualcosa che hai. Se loro sono qualcosa che fai (o la qualità di qualcosa che fai), allora non hanno fine. Tu stesso non sei mai "finito".
Per esempio, se uno dei tuoi valori è essere una persona amabile, non significa che se vieni amato da qualcuno per alcuni mesi sei "arrivato" al tuo valore, come avresti fatto costruendo una casa o guadagnandoti una laurea. Si può sempre diventare un pò più amabili. L'amore è una direzione non un oggetto.
Ritorneremo su questa metafora quando esploreremo i valori più avanti, ma per completare la nostra definizione dobbiamo definire che cosa sognifica "scelta".



Ma questo lo facciamo domani.......mica mi pagano per scrivere PSICO-green.gif

Inviato da: miki_70 il Martedì, 19-Apr-2011, 19:50
Scelta


Le scelte, le dicisioni o i giudizi non sono la stessa cosa. Quando prendi una decisione o essprimi un giudizio, utilizzi parametri della razionalità, applichi le tue abilità valutative alle aternative e, a seconda di ciò che vuoi, scegli una delle alternative stesse. Per esempio, puoi decidere di mangiare per cena un piatto di pesce anzichè un grasso hamburger (anche se l'hamburger ti piace di più e costa di meno), poichè ci sono molte prove che il pesce è meglio per la salute del tuo cuore e tu vuoi vivere di più. Questo è un giudizio in cui tu consideri diversi fattori: il sapore del cibo, i costi del cibo, e vivere di più. Valuti i pro e i contro attraverso queste misure: il pesce può non essere buono, ma và bene (se è pessimo, la tua decisione può cambiare), il pesce costa un pò di più ma tu hai i soldi per acquistarlo (se costa molto di più, puoi prendere sempre un hamburger stando poi più attento alla tua salute); ma tu vuoi essere in salute e pensi che il pesce sia più sano. Per cui scegli il pesce.
Il 90 % delle volte i giudizi funzionano. La capacità di utilizzare i nostri giudizi logici per scegliere tra alternative è uno strumento meraviglioso, e questa abilità è la ragione per cui gli esseri umani hanno realizzato così tanti obbiettivi. Ma in molti campi i giudizi non funzionano così bene, e in altri non funzionano per nulla.
Un'area in cui proprio non funzionano è quella dei valori. Ecco perchè i giudizi necessariamente richiedono di applicare delle misure ad azioni alternative. Nell'esempio precedente il parametro utilizzato era la salute del proprio cuore. Come facciamo applicando la misura a un oggetto materiale, così possiamo fare valutando il pesce e l'hamburger sulla base della salute del cuore. Questo è vero per ogni situazione che necessiti una valutazione. Una volta che scegli quale misura utilizzare, scegliere la migliore soluzione è un semplice giudizio intellettuale.
Ma per quanto riguarda la "misura" in se stessa, come è stato scelto quel parametro?
Se scegliere la misura è in sè un giudizio (e qualche volta lo è), questo significa che c'è un'altra misura. Questo accade quando un proposito è significato di un altro proposito. Per esempio, possiamo usare come misura la salute del nostro cuore, non perchè è un fine di per sè, ma perchè un cuore in salute rende più facile vivere più a lungo e in modo più pieno la tua vita.
Ma come è stata scelta quella misura? Vivere una vita piena e in salute non è di per sè un giudizio? Potrebbe essere, ma se lo è, c'è ancora un'altra misura che può essere applicata a vivere una vita più piena e in salute poichè un giudizio, per definizione, implica l'applicazione di un metro valutativo tra due o più alternative.
Nota ciò che sta accadendo qui. La discussione potrebbe andare avanti all'infinito. In fin dei conti, i giudizi non ti possono dire quale unità di misura scegliere, poichè i giudizi implicano l'applicare una misura valutativa.
Questo funziona, ma solo dopo che ne hai scelta una.
I valori ci danno un posto dove fermarci: i valori non sono giudizi, i valori sono scelte. Le scelte sono selezioni tra alternative che possono essere fatte in presenza di ragioni (se la tua mente ci dà alcune ragioni, come solitamente fa, dal momento che la mente chiacchiera su tutto) ma questa selezione non segue queste ragioni, non ne è spiegata, nè giustficata o legata a esse. Una scelta non è legata a nessun parametro valutativo verbale. In altre parole la scelta è una selezione defusa fra alternative. E' differente dai giudizi, dal momento che sono una selezione verbale guidata tra alternative.
Hai mai notato che la parola "valutazione" contiene la parola "valore"? Questo dal momento che le valutazioni consistono nell'applicare i nostri valori e poi dare dei giudizi basati su quei valori. Se i valori sono dei giudizi, questo significa che dovremmo dare delle valutazioni ai nostri valori, ma di contro quali valori dovremmo valutare?
Solitamente, noi non pensiamo molto a questo, e per delle buone ragioni: la mente non ama le scelte. La mente sà come applicare parametri valutativi, infatti è per questo che si è evoluta. La mente invece non riesce a cogliere le direzioni ultime che danno significato alle nostre azioni.
Con gli organismi non verbali, tutte le selezioni tra alternative sono scelte, pichè gli organismi non verbali non hanno le abilità verbali per emettere dei giudizi letterali. Gli scenziati studiano questo tipo di cose in laboratorio e creano e testano le ragioni per le scelte, ma gli animali non sono guidati da queste "ragioni" in senso letterale. Gli animali semplicemente scelgono. In modo simile, se fossimo sul monte Olimpo e sapessimo tutti i dettagli della nostra vita, e come interpretarli, allora sapremmo la ragione da cui nascono certe scelte nella nosta vita. Ma noi non siamo sul monte Olimpo, dal "basso" della nostra situazione, semplicemente scegliamo.
E' essenziale che gli esseri umani imparino a fare ciò che le altre creature del pianeta fanno con molta facilità, anche se la loro mente chiacchierona continua a sfornare giudizi su tutto ciò che fanno. E' essenziale perchè senza scelta, seguire un valore diventa impossibile.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 29-Apr-2011, 21:21
Fare una scelta

Per far pratica di scegliere, iniziamo con qualcosa di poco rilevante.
Qui ci sono due lettere. Scegline una.


A Z


Ora la parte più furba. Osserva che cosa ti dice la tua mente quando le poni la seguente domanda:" Perchè hai scelto quella lettera invece che l'altra?".
Per molti di noi, la nostra mente genererà delle ragioni. Ma proviamo a prendere tutte le abilità di defusione che abbiamo imparato fino a questo momento. Sarebbe possibile osservare il pensiero che abbiamo formulato e poi sceglierne l'altro? Ti ricordi gli esercizi relativi a quando leggevi una regola verbale e deliberatamente facevi qualcosa d'altro? Fallo ancora.
Questa volta, ti daremo molte "ragioni" di cui essere consapevole. Ci sono due lettere qui sotto. Leggi la frase sottostante e poi scegline una (non come fosse un giudizio! Semplicemente nota tutte le ragioni in una modalità defusa, accettante, consapevole, aperta e scegli una o l'altra per nessuna ragione in particolare e con tutte le ragioni che puoi avere).
Ci sono tutte le ragioni di cui essere consapevole: scegli quella a sinistra. No, scegli quella a destra. No, scegli quella a sinistra. No, scegli quella a destra. No, scegli quella alla tua sinistra. No, scegli quella a destra. Nooo, scegli quella a sinistra. No, scegli quella a destraaaaaaaaaaa.























Ci sono due lettere. Scegline una.


A Z






Sei riuscito a farlo? Ripeti questo processo finchè puoi semplicemente scegliere una lettera senza farti intrappolare nel chicchiericcio della tua mente - in modo indifeso, nudo - senza seguire quello che il chiacchiericcio dice o senza resistere al chiacchiericcio.
Se superi questo test con il semplice comando della mente del " scegli quella alla tua destra" e "scegli quella alla tua sinistra", perchè non puoi fare lo stesso con le motivazioni che la tua mente ti dà circa scelte più importanti? Se applichi le abilità di defusione, è la stessa situazione, al dispetto del fatto che di una si possa dire che "è importante" e dell'altra si possa dire che "non è importante".
Cerchiamo di provare e vediamo. Cerchiamo di tirare fuori tutte le ragioni per scegliere una delle due lettere. Naturalmente, questa è una scelta insignificante e, normalmente, non ci sarebbero ragioni per fare una scelta. Ma per il proposito dell'esercizio, dai alla tua "macchina delle parole" delle ragioni (per esempio, "mi piace la lettera A poichè è l'iniziale del mio nome", o la lettera Z "perchè mi ricorda Zorro e le repliche che vedevo su Rai Uno quando ero piccolo" o "mi piace più quella di destra poichè sono destro" o "quella di sinistra perchè voto a sinistra PSICO-green.gif , e così via). Ora scrivi alcune ragioni per scegliere una delle due lettere sotto:

Ragioni per scegliere l'A sulla sinistra


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Ragioni per scegliere Z sulla destra

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....................................................................................................

....................................................................................................




Ora farai di nuovo questa stupida scelta laugh.gif . leggi la lista delle ragioni che hai dato e pensa a esse di nuovo. Se la tua mente ti dà altre ragioni, pensa deliberatamente a quelle. Notale come dei pensieri. Non resistergli. Non credergli. Semplicemente notale. Ora scegli una delle due lettere ancora.


A Z




Ripeti questo processo finchè non ti è chiaro che tu puoi scegliere qualsiasi lettera, qualunque cosa ti stia dicendo la tua mente. Questo non significa disobbedire alla tua mente, come un bambino che mette le dita nel naso appena gli dici di non farlo. In questo caso, la tua mente è ancora al controllo; é la forma che è cambiata (questo è il motivo per cui diciamo che nè la ribellione nè l'accondiscendenza sono, nella loro foma chiave, forme di indipendenza). Significa notare tutti gli eventi mentali e semplicemente scegliere una delle due lettere, con delle ragioni, ma nemmeno contro quelle ragioni.
La mente odia questo esercizio! La mente non può capirlo poichè funziona generando e applicando ragioni verbali alle alternative. Ma gli uomini possono farlo. Questo perchè tutti noi siamo molto di più del nostro repertorio verbale PSICO smile.gif .
In questo piccolo esercizio è stata fatta una scelta insignificante. I valori comunque sono tutto tranne che insignificanti. Così il chiacchiericcio sarà più rumoroso, e il ragionamento più difficile. Ma l'azione sarà la stessa: possiamo essere qualsiasi cosa vogliamo essere (senza estremizzare PSICO lingua.gif ). Chi ci può fermare?


PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Sabato, 30-Apr-2011, 18:51
I valori: che cosa sono o non sono

Nei prossimi due capitoli esplorerai i tuoi valori più in dettaglio, e diventerà più chiaro che cosa vuoi da essi. In questo capitolo, descriveremo che cosa sono e che cosa non sono i valori. Questo processo di dare valore è difficile da comprendere per la mente, poichè i valori vanno al di là delle parole, anche se la mente prova a reclamarli, e se non stiamo attenti i valori possono uscire distorti dall'adattamento alle ordinarie relazioni valutative e predittive che la nostra macchina delle parole conosce così bene.



I valori non sono obiettivi


Gli obiettivi sono quelle cose cui arrivi mentre ti trovi sulla strada dei valori. Gli obiettivi sono eventi concreti, situazioni o oggetti. Essi possono essere completati, posseduti, raggiunti; non sono la stessa cosa delle direzioni. Se confondiamo gli obiettivi con le direzioni, una volta raggiunto un obiettivo, il nostro percorso potrebbe terminare.
Questo è uno dei motivi per cui, alle volte, la depressione segue il raggiungimento di importanti obiettivi di vita come laurearsi, sposarsi o ottenere una promozione sul lavoro. Se ottenere una promozione è un evento fine a se stesso, è facile che accada un'importante perdita di direzione una volta ottenuta la promozione. Chi concepisce le promozioni come fine a se stesse, o solo un modo per raggiungere altri obiettivi (per esempio, sentisi meglio con se stessi) può essere preso in giro dal loro stesso raggiungimento.
Gli obiettivi sono molto importanti e motivanti una volta distinti chiaramente dai valori. Qualche volta aiuta dopo (dopo che una direzione è stata scelta) focalizzarsi sugli obiettivi come modo di prendere un sentiero. Se sei in una vallata circondata dalle montagne, colline, alberi e formazioni rocciose con solo una bussola, può essere d'aiuto scegliere lungo la tua direzione un punto di riferimento e dirigersi verso di esso. C'è uno sport competitivo chiamato "orienteering" che si basa su questo processo: i partecipanti identificano il punto in cui si trovano nella mappa, solitamente usando una bussola e oggetti naturali per andare in quella direzione.
In modo simile, una persona che ha come valore aiutare gli altri, potrebbe ottenere una promozione con l'obiettivo di essere in una posizione migliore per aituare gli altri. Immediatamente dopo essere stato promosso ci saranno molti interessi e cose essenziali da fare che non riguardano la promozione ma il valore, che è quello di aiutare gli altri.
Se stai utilizzando gli obiettivi in quel modo, ti aiuta il fatto di avere obiettivi abbastanza vicini da essere raggiungibili, ma abbastanza lontani da essere utili. Un obiettivo che si trova vicino a te ti aiuterà a iniziare il cammino, ma appena impari a muoverti non sarà così determinate nell'orientarti nella tua vita. Al contrario, un obiettivo che si trova da qualche parte sull'altro lato della montagna non ti aiuterà a mantenere la direzione. Allo stesso modo, potrebbe avere senso identificare obiettivi a breve termine nella direzione che hai preso, ma poi, appena impari a muoverti, trovare obiettivi a medio termine.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 04-Mag-2011, 20:35
I valori non sono sentimenti


Presumibilmente, tutte le esperienze sono guidate e pervase dai nostri valori, nel senso che una persona completa fa delle scelte. Questo significa che spesso ci sono sensazioni che accompagnano scelte di valore. Qualche volta è importante imparare a conoscere il grado con cui queste sensazioni possono aiutarci a capire quando stiamo vivendo in accordo con i nostri valori. Alcune pesone, per esempio, provano un senso di vitalità quando le loro azioni sono allineate con i valori scelti. Questo non significa che i valori sono sensazioni e soprattutto non significa che i valori consistano nel fare quello che ci fa sentire bene, specialmente a breve termine.
Una persona che è dipendente dalle droghe si sentirà bene a breve termine quando userà le sostanze. Questo non significa che "essere fatto" sia un risultato a cui dare valore. Supponiamo che una persona dia valore all'essere vicino agli altri, ma quando essa si muove verso quella direzione, si sente combattuta e vulnerabile, una sensazione che odia, così usa droga e alcool di nuovo. Se questa persona smettesse di usare sostanze e iniziasse a camminare in una "direzione di valore", non si sentirebbe subito bene, si sentirebbe combattuta e vulnerabile. Così, andare in una direzione di valore, all'inizio non farà sentire affatto bene, ma farà funzionare bene e vivere meglio.
C'è un altro problema nel pensare alle sensazioni come se fossero valori, o nel dare valore alle sensazioni di per sè, e lo esploreremo in modo più approfondito più avanti. Le sensazioni sono cose che tu hai. Per definizione, i valori non sono cose che puoi avere nel senso in cui puoi possedere un oggetto, mentre scegliere una direzione è qualche cosa che puoi controllare. Per questa ragione, affermazioni come "io do valore al sentirmi bene con me stesso" sono basate su un'incomprensione del concetto di valore.

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 04-Mag-2011, 21:06
Dolore e valori


Le sensazioni possono essere collegate ai valori in modo diverso e meno ovvio, rispetto al legame tra buone sensazioni e valore. Immaginiamo una persona con fobia sociale rabbrividisca al pensiero di recarsi ad una festa. Per quale motivo? Molto facilmente, questa è una persona che dà valore allo stare insieme agli altri. Se così non fosse, se ciò non avesse per lui importanza, non sofrirebbe di fobia sociale. Una delle ragioni per cui ho iniziato questo 3d con molta enfasi sull'accettazione è che, nel nostro dolore ci viene fornita una guida verso i nostri valori. L'opposto è altrettanto vero: nei nostri valori troviamo il nostro dolore. Non puoi dare un valore a qualcosa senza sentirti vulnerabile: infatti i tuoi valori sono la parte più intima di te.
Un cliente ACT, una volta, in seduta disse qualcosa tipo "per me la famiglia, le ralazioni intime, o i bambini non hanno valore, non credo sia la vita per me". Una settimana dopo quella persona tornò e disse :"sono stato un bugiardo, anche verso me stesso". Poi raccontò l'incidente seguente: era seduto in un bar e mangiava un panino quando entrò una famiglia che si sedette nel tavolo accanto :papà, mamma e due bambini piccoli.
Alzando gli occhi dal suo panino diede un'occhiata alla famiglia e iniziò a piangere. In quel momento realizzò che voleva una famiglia e dei bambini più di ogni altra cosa. Quando era piccolo i suoi genitori lo avevano trattato male, tradendo i suoi desideri e la sua storia di tradimenti lo aveva portato a negare i suoi più intimi desideri; nel momento in cui lo ammise, sentì un grande dolore e una grande vulnerabilità. Come risultato della sua stessa ammissione, fu spinto ad andare avanti e ad avere una famiglia, usando le sue abilità di accettazione per rapportarsi con la sua paura e la sua vulnerabilità, e usando i suoi valori come guida verso la direzione che voleva prendere per la sua vita.


I valori non sono risultati


Nonostante vivere la propria vita seguendo i propri valori produca spesso risultati eccezionali, i valori non sono un modo per "ottenere ciò che vuoi" nel mondo concreto. I valori sono direzioni non risultati.
Puoi pensare ad essi allo stesso modo in cui la forza di gravità agisce sull'acqua di un catino. La gravità specifica la direzione verso cui tendono i corpi, cioè verso il basso, non verso l'alto. La gravità è la direzione, non il risultato. Se ci fosse un modo per l'acqua per seguire quella direzione (per esempio, un buco nel catino) la gravità si farebbe sentire. Se non c'è modo di muoversi, invece, non vedremmo l'acqua muoversi. Dall'esterno, potrebbe sembrare che non ci sia una direzione precisa, ma si manifesterà non appena comparirà anche una sola opportunità.
I valori sono come la forza di gravità. Immagina di dare valore al rapporto con tuo fratello ma che lui non voglia avere niente a che fare con te. Le tue lettere sono ignorate; le tue chiamate e le tue visite sono rifutate. Come l'acqua contenuta nel catino, il valore si può manifestare raramente in modo che gli altri possano vederlo, tranne per le piccole "perdite" sotto forma di cartoline di auguri (indipendentemente dal fatto che vengano lette) o di commenti che fai agli altri su tuo fratello. Come l'acqua contenuta nel catino, questo valore può essre continuamente presente, in attesa di migliori opportunità per manifestarsi. Se un giorno tuo fratello chiamasse e volesse incontrarti diventerebbe visibile in modo più ovvio.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 05-Mag-2011, 20:21
I valori non significano che le nostre strade sono sempre dritte


Se tu fossi in un autobus diretto a Est nel mezzo di una strada sterrata in una grande vallata, potresti non renderti conto della direzione momento dopo momento. Se qualcuno scattasse una serie di istantanee, qualche volta l'autobus potrebbe essere rivolto verso Nord, o Sud, o anche Ovest, anche se si tratta di una viaggio diretto verso Est.
Le strade non sono sempre diritte poichè gli ostacoli qualche volta impediscono i movimenti nella direzione desiderata. Una persona che dà valore al farsi una famiglia affettuosa può tuttavia dover passare attraverso un divorzio. In quella situazone, l'intenzione di essere amorevole può essere palesata solo in modi limitati, come nell'evitare i litigi tra te e tua moglie che potrebbero far soffrire i vostri bambini, o trattare la tua ex moglie lealmente nella divisione dei beni. Solo con il passare del tempo il valore sottostante diverrà evidente, come tracce lasciate sulla neve che mostrano, anche se la strada non procede dritta, che è diretta verso Est.
Le strade a volta non sono diritte anche perchè noi siamo esseri umani.
Possiamo anche essere convinti di volere andare verso Est, ma la nostra attenzione può vagabondare, e potremmo ritrovarci a procedere verso Nord.
Chi sta uscendo da una dipendenza da sostanze e da valore alla sobrietà e all'aiutare gli altri potrebbe ancora ricaderci. La mente di quella persona potrebbe gridare, "vedi, non stai andando verso Est! Sei un bugiardo ed un fallito! Non ci si può fidare di te!", che è come se dicesse:"poichè stai andando verso Nord, come al solito, non puoi dare valore all'andare verso Est". In quella circostanza, il compito di quella persona sarebbe di ringraziare la sua mente, sentire la tristezza e il dolore che derivano dalla ricaduta, e poi dirigersi verso Est ancora una volta.




I valori non sono nel futuro


Torniamo alla nostra vallata. Nota che dal momento in cui scegli di dirigerti verso Est, ogni azione che fai diviene parte di quella decisione. Guardi la tua bussola. Questa è una parte del tuo andare verso Est. Noti la direzione in cui stai andando, e anche questo è una parte del tuo andare verso Est. Forse hai notato che stavi virando verso Nord; se fosse così, nota come anche questo sia una parte del tuo andare verso Est. Poi fai un passo, anche questo è una parte del tuo andare verso Est. Poi un altro, e anche quello è una parte del tuo andare verso Est. Tutto questo riguarda il tuo andare verso Est.
Se qualcuno ti chiedesse :"quale di tutti questi momenti, compreso il momento in cui hai scelto di andare verso Est, fa parte dell'andare verso Est?" l'unica risposta che potresti dare è :"Tutti, non c'è ne uno più importante degli altri". Una delle più utili implicazoni di quella risposta è questa: nell'istante in cui scegli un valore, intraprendi un percorso di valore. Un'altra utile implicazione: il beneficio di dare valore significa vivere ora. I valori solo apparentemente riguardano il futuro, nei fatti riguardano il presente.
Abbiamo un altro modo di affermare ciò :"il risultato è il processo attraverso il quale il processo diviene il risultato". I tuoi valori sono essi stessi "il risultato" che stai cercando e quel risultato ce l'hai adesso poichè quei valori potenziano il processo di vivere ora. Ogni passo che fai in direzione dei tuoi valori è una parte determinante del cammino. Una volta che hai scelto il tuo valore , il processo che prendi per andare verso quella direzione è pieno di valore. Avere una direzione permette di fare un viaggio coerente; ed è il viaggio che è di valore. La tua vita diviene piena del tuo valore. E' come un viaggio lungo un sentiero senza fine, è un viaggio che non ha un traguardo; non riguarda il risultato. Riguarda il cammino che prendi lungo la tua strada.
Supponiamo che il tuo valore sia quello di essere una persona amorevole. Questo è un viaggio che non ha mai fine. Non importa quante cose amorevoli fai, ce ne sono sempre altre da fare. I benefici di questo cammino non sono nel futuro; puoi avere una vita che riguarda l'essere amorevole ora. E ora. Ma non puoi incrociare le braccia perchè hai finito. Questa è una direzione che non finisce mai.



I valori e il fallimento


I valori comportano respons - abilità, cioè riconoscere che hai sempre la capacità di rispondere. La risposta che puoi sempre intraprendere è dare valore. La risposta la puoi dare all'interno dei tuoi valori, anche se sei in una situazione in cui puoi fare davvero poco per rendere i tuoi valori manifesti (come l'acqua nel catino). La maggior parte del tempo, comunque, ci sono cose che puoi fare e i tuoi valori ti permettono di vedere quando non sei riuscito a seguire la direzione che hai scelto. Come la riga bianca sulla carreggiata, e come se i nostri valori ci portassero indietro sul nostro sentiero anche quando è pieno di cartelli stradali che ci tentano di prendere il bivio sbagliato o persino quando ci siamo distratti e siamo andati fuori strada. Il dolore del fallimento ci sostiene nell'iniziare di nuovo.
Nessuno riesce a vivere sempre in accordo completo con i suoi valori.
Se usiamo i nostri valori per rimproverarci, stiamo credendo al pensiero di non poter essere persone di valore solo perchè a volte non riusciamo a seguirli.
Quando pensi di aver fallito prova a porti queste domande :"A cosa serve credere a quel pensiero?", "Con quale valore mi mette in contatto?", "Si può essere sempre nel giusto?", "Non fallire mai?", "Si può non essere mai vulnerabile?", "E' su questo che vuoi impostare la tua vita?". Se le risposte sono negative, prenditi la respons - abilità anche se la tua mente continua a blaterare che sei un fallito. Senti il dolore, impara da esso a vai avanti.
Quando senti la colpa o la vergogna che ti limitano, è ora di usare le abilità di defusione e di mindfulness per riconoscere il chiacchiericcio che si presenta in questi momenti. Usa le tue abilità di accettazione per riconoscere il dolore che arriva in questi momenti. Ed è tempo di usare la tua capacità di scelta per riconnetterti con la direzione che hai scelto in modo che tu possa ancora una volta muoverti nella direzione in cui hai scelto di muoverti, in base a ciò che la situazione permette.

Inviato da: miki_70 il Sabato, 07-Mag-2011, 20:38
I valori sono sempre perfetti


Uno dei fatti positivi dei valori è che essi risultano, in ultima analisi, perfetti in quanto derivati dalla valutazione personale.
Non intendiamo ovviamente "perfetti" nel senso di "valutati come buoni o giusti". Lo intendiamo nel senso originale del termine, ossia "pienamente fatti" (dal latino "per" e "factus"). Se consideri i tuoi valori deboli, inutili o insufficienti, ciò significa che ci sono altri valori più importanti per te che ti spingono a vedere i primi in quel modo.
Prendiamo l'esempio di una donna d'affari che si lamenta delle fraquenti assenze da casa poichè "il riuscire sul lavoro è il suo valore". Questo significa che oltre al lavoro lei ha come valore anche lo stare con la sua famiglia. Quello su cui lei dovrà lavorare è trovare un modo per bilanciare e integrare le esigenze dei due valori. I suoi valori sono perfetti, è il suo comportamento che deve essere rivalutato.
Questo significa che se sei disposto ad accogliere i valori nella tua vita, è come se avessi già vinto, dal momento che la soddisfazione sta nel viaggio e non nel risultato e, dato che i valori sono perfetti così come sono (questo non significa che non possono essere cambiati, ma che possono essere rivalutati), niente è perduto. E' semplicemente una questione di vivere, momento dopo momento, giorno dopo giorno, stando in linea con i propri valori come un atto di fedeltà verso se stessi.
Di solito il gioco mentale è quando hai un esito positivo. Ma la mente spesso chiede di più e di più ancora. Anche se "vinci" la tua mente ti suggerirà delle preoccuazioni riguardo al "vincere la prossima volta". La storia di un' atleta della word class mondiale, apparsa recentemente sui giornali, è abbastanza rivelatoria a questo proposito. Era il numero uno al mondo nel suo ambito e avevo vinto due coppe del mondo consecutive. Soli pochi esseri umani sul pianeta avevano raggiunto quel livello atletico.
Ma, dopo la vittoria della seconda coppa del mondo, disse che la sua prima emozione non era stata nè gioia, nè soddisfazione, ma paura. LA ragione? Era preoccupata di non poter vincere l'anno successivo.
Le menti sono così. Non cambiano mai. Si tratta di organi che valutano, predicono, paragonano, si preoccupano. Ma nel caso dei valori è diverso.
Una volta che li hai scelti, stai di fatto scegliendo quelli. Hai vinto. I valori ti permettono di seguire il tuo percorso e misurare i tuoi progressi lungo questo cammino.



Scegliere di dare valore


Se non importa dove stai andando, non importa nemmeno dove le tue battaglie interne ti toccano. Il fatto che stai leggendo questo 3d dimostra che la direzione in cui stai andando ha importanza per te. Esaminati e vedi se non è vero che il più grande dolore nella tua vita non riguarda la tua ansia, la tua depressione, i tuoi impulsi, le tue memorie, i tuoi traumi, la tua rabbia, la tua tristezza e così via, ma riguarda il fatto che non stai vivendo completamente e interamente. Hai messo la tua vita in attesa mentre combattevi la guerra di cui abbiamo discusso nell'introduzione. Così ogni ticchettio di orologio ti dà fastidio: è un altro secondo passato a vivere una vita non interamente vissuta.
Il problema chiave, qui, non riguarda il fatto che hai dei problemi, riguarda il fatto che hai messo delle scelte in attesa. La vitalità e l'impegno nella tua vita non richiedono di eliminare per prima cosa il tuo dolore. Richiedono invece l'opposto: apriti alla gioia (e al dolore!) che derivano dal vivere una vita che veramente ti importa, che sia pienamente vissuta.
Così, ecco qui una domanda da porre alla persona che vedi riflessa allo specchio. Che cosa vuoi davvero che la tua vita riguardi? Veramente?

Inviato da: miki_70 il Domenica, 08-Mag-2011, 21:23
Scegliere i tuoi valori 12


Definire ciò che conta per te e scegliere attivamente di seguire quella direzione è ciò di cui sostanzialmente tratta questo 3d. Anche se gli esercizi di defusione, mindfulness e accettazione che hai esplorato fino a questo punto sono già utili per se stessi, questo tipo di conoscenza, se non è messa al servizio del vivere una vita piena di significato, è come se fosse un guscio sena nocciolo all'interno.
Il capitolo precedente dovrebbe averti aiutato a comprendere il significato di ciò che chiamiamo "Valori". Scegliere quello che per te è veramente importante e perseguire questa strada può rendere la tua vita ricca e significativa, anche di fronte a grandi avversità. Questo capitolo riguarda proprio questo.



Ciò per cui vuoi vivere


Vivere una vita di valore è: agire al servizio di quello che per te ha valore. Bob Dylan ha scritto:"Devi servire qualcuno". La domanda è: al servizio di chi (o cosa?). La tua esperienza, questo 3d, e i tuoi attuali dilemmi psicologici ti hanno probabilmente mostrato che vivere al servizio della riduzione del dolore non è un modo di vivere pienamente, non è vivere, è sopravvivre alla lotta. Se la tua agorafobia ti dice che andare fuori non è possibile, mentre tutto il resto di te sa che andare fuori è la cosa vitale da fare, metterti al servizio della tua agorafobia probabilmente non ti guiderà lungo la strada che vuoi seguire.
Quando si capisce questo ci si ritrova, in un certo senso, in un posto spaventoso. Se decidi di basare le tue scelte su quello che la mente ti sta dicendo non essere un opzione, allora su che cosa puoi basare le tue azioni?
Se puoi veramente essere qualsiasi cosa scegli di essere, come fai a sapere quello che vuoi fare? Che cosa dovrebbe indicare la bussola della tua vita in questo mare infinito di opzioni?
Noi crediamo che proprio ora, in questo esatto momento, tu abbia tutti gli strumenti di cui hai bisogno per fare, per te stesso, scelte di vita significative e ispirate. Non solo tu ne hai l'opportunità, ma hai anche l'effettiva capacità per vivere al servizio di ciò cui dai valore. Questo non significa che le circostanze ti permetteranno necessariamente di raggiungere tutti i tuoi obiettivi; non c'è una garanzia riguardo il rsultato. E non significa neanche che tu abbia tutte le abilità di cui hai bisogno per realizzare gli obiettivi che hai dichiarato. Significa invece che possiedi quello che ti serve per scegliere una direzione.
La parola "valore" deriva dal latino e significa "degno e forte". Essa implica in sè un' azione, ed ecco perchè la stessa radice porta alla parola "avvalersi", che connota l'utilizzare realmente ciò che è importante, cui quindi diamo valore, ed è forte. I valori non definiscono solo ciò che vuoi persegurie giorno dopo giorno, ma anche quello che vuoi che la tua vita riguardi. In un certo senso, la scommessa quì è una questione di vita o di morte, o almeno la differenza tra una vita vissuta pienamente e una vita "sopravvissuta".

Inviato da: miki_70 il Martedì, 17-Mag-2011, 22:00
Immagina di avere Ottant'anni


Ecco un semplice esercizio per farti cominciare a chiarire i tuoi valori. Ti prego di prenderti qualche minuto per riflettere sulle tue risposte o scriverle. (Suggerimento: l'esercizio ti sarà più utile se scrivi le risposte.)

Immagina di avere ottant'anni e di ripensare alla tua vita com'è oggi. Poi completa le frasi seguenti:

. ho passato troppo tempo a preoccuparmi di.........

. ho dedicato troppo poco tempo a ............

. se potessi tornare indietro, quello che farei diversamente d'ora

in avanti è........














































Com'è andata? A molte persone questo semplice esercizio fa l'effetto di aprire gli occhi. Spesso rivela una grossa differenza fra ciò cui noi diamo valore e ciò che facciamo nella realtà. Più avanti esploreremo più a fondo i tuoi valori. Per il momento vorrei chiudere con un brano spesso citato tratto da Uno psicologo nei lager:


"Noi che abbiamo vissuto nei campi di concentramento possiamo testimoniare che percorrevamo le piazze d'armi o le baracche, dicendo una buona parola o regalando l'ultimo boccone di pane. Potrebbero essere stati pochi, eppure costituiscono una prova sufficiente a dimostrare che all'uomo si può togliere tutto, eccetto una cosa sola, l'ultima libertà umana: quella di scegliere in ogni circostanza la propria via".


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Inviato da: miki_70 il Domenica, 29-Mag-2011, 21:25
Sti cazzi! pur io in evidenza PSICO-asd.gif

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Inviato da: miki_70 il Domenica, 29-Mag-2011, 22:08
LA MADRE DI TUTTE LE DOMANDE


Nel profondo di te stesso, che cosa vuoi veramente? Spesso quando lo chiedo ottengo risposte come:

. "Voglio essere felice"

. "Voglio essere ricco"

. "Voglio avere successo"

. "Voglio stare bene"

. "Voglio essere rispettato"

. "Voglio un lavoro meraviglioso o che mi piace"

. " Voglio solo sposarmi e avere dei figli"




Ora, queste risposte possono essere del tutto sincere ma non sono particolarmente "profonde", riflessive e ben ponderate. Perciò in questo capitolo andremo più a fondo, per connetterci con il tuo cuore e la tua anima, per considerare veramente, nel profondo di te stesso, che cosa è importante per te. Che cosa vuoi sostenere nella tua vita? Che tipo di qualità personali vuoi coltivare? Come vuoi essere nei confronti degli altri? Ricorda, i valori sono i desideri più profondi del tuo cuore riguardo a come vuoi comportarti nella vita, a come vuoi interagire e rapportarti con il mondo, con le altre persone e con te stesso. I valori descrivono cosa vuoi fare e come vuoi farlo - come vuoi comportarti nei confronti dei tuoi amici, della tua famiglia, dei tuoi vicini, del tuo corpo, del tuo ambiente, del tuo lavoro, etc.
L'esercizio che segue è tratto, con qualche adattameto, dal lavoro degli psicologi Kelly Wilson e Tobias Lundgren. Ci concentreremo su quattro importanti ambiti della vita: 1) le relazioni; 2) il lavoro o lo studio; 3) la crescita personale/salute; 4) il tempo libero. Ti prego di ricordare che non tutti abbiamo gli stessi valori e che questo non è un test per vedere se hai i valori "giusti". Quando si tratta di valori non c'è giusto o sbagliato, buono o cattivo. Quello a cui dai valore è quello a cui dai valore, punto e basta. Inoltre, ti prego di rispondere come se non ci fossero ostacoli sulla tua strada, come se non ci fosse nulla a impedirti di agire come vuoi veramente.
Potresti scoprire dei valori che si sovrappongono; ad esempio, se per te è importante fare sport, questo potrebbe rientrare sia nel tempo libero sia nella crescita personale/salute. Ricorda che valori e obbiettivi sono due cose diverse. I valori riguardano il tuo agire di continuo - ciò che vuoi continuare a fare per il resto della tua vita; gli obiettivi possono invece essere raggiunti o spuntati da un elenco.
Ad esempio, portare i tuoi figli in vacanza è un obbiettivo; una volta raggiunto puoi cancellarlo dall'elenco in quanto "compito eseguito", "capitolo chiuso". Tuttavia, essere affettuoso, premuroso e di aiuto ai tuoi figli è un valore: implica un'azione continua. ( Ci occuperemo della scelta degli obiettivi più avanti, quando saprai quali sono i tuoi valori.) Infine, è preferibile che tu scriva le tue risposte. La scrittura ti aiuta a concentrarti e a ricordare le risposte. Se però non vuoi scrivere, perlomeno rifletti a lungo e a fondo sulle tue risposte.
Mentre rispondi al questionario, è importante che tu ricordi che le emozioni non sono valori. Se scrivi "Voglio essere sicuro di me stesso" o "Voglio essere felice", questi non sono valori. I valori riguardano quello che vuoi fare, non quello che provi. Devi chiederti: "Se mi sentissi così, se fossi felice, rilassato, fiducioso, sicuro di me stesso, amato, rispettato o ammirato, cosa farei diversamente? Come agirei? Come mi comporterei diversamente con gli altri e con me stesso? Che cosa farei di più o di meno?"
Le risposte ti riveleranno i tuoi valori fondamentali. PSICO-si.gif


Il questionario nei prossimi giorni, su Psicociannel PSICO smile.gif

Inviato da: bruco il Giovedì, 09-Giu-2011, 09:00
Ciao Miki, sono nuovo e ho scoperto da poco il tuo forum e devo farti i complimenti per la pazienza e la generosità che ti hanno portato a condividere queste "informazioni" con quanti ne possono avere bisogno, me compreso. Veramente lodevole. Sei una persona in gamba.

Inviato da: miki_70 il Martedì, 14-Giu-2011, 22:34
Questionario sui valori della vita


1.Relazioni



Questa categoria comprende le relazioni con il tuo partner, i tuoi figli, genitori, parenti, amici, vicini di casa, compagni di studio o di sport e tutti gli altri contatti sociali che hai.


. Che tipo di relazioni vuoi costruire?

. Come vuoi comportarti in queste relazioni?

. Quali qualità personali vuoi sviluppare?

. Come tratteresti gli altri se tu fossi il "te ideale" in queste relazioni?

. In che agire continuo ti impegneresti con alcune di queste persone?



Nota che queste domande sono tutte su di te, su come tu vorresti contribuire a queste relazioni. Perchè?? Perchè l'unico aspetto di una relazione che puoi controllare è il tuo comportamento. Non hai alcun controllo su ciò che le altre persone pensano, provano o fanno. Naturalmente puoi influenzarle, ma non controllarle. E' qual'è il modo migliore per influenzarle? Con le tue azioni: le cose che fai con le tue braccia, le tue gambe e la tua bocca! E naturalmente queste azioni saranno massimamente efficaci quando saranno allineate con i tuoi valori. Ad esempio, in ogni relazione puoi chiedere all'altra persona certi cambiamenti e stabilire dei limiti riguardo a cosa sei disposto ad accettare e cosa no. E ovviamente questo sarà molto più eficace se dici queste cose mentre ti comporti come il tuo "te ideale", anzichè urlare, piangere, minacciare o manipolare.
Questo principio fondamentale vale per tutte le tue relazioni: con gli amici, i familiari, i colleghi, i dipendenti e con qualunque altra persona incontri! Ricorda la regola aurea: tratta gli altri come vorresti che trattassero te. A volte, in risposta alle domande sopra elencate, le persone descrivono il tipo di amici o di partner che vorrebbero: ma in questo modo descrivono degli obiettivi, non dei valori. Per arrivare ai tuoi valori devi chiederti :"Se avessi il tipo di partner o di amici che vorrei, come mi comporterei con loro? Quali qualità personali vorrei io portare in queste relazioni?". Naturalmente può essere utile pensare al tipo di partner o di amici che idealmente vorresti, così puoi darti l'obiettivo di andare a cercarteli. Ma nel frattempo puoi trarre il massimo da qualunque tipo di relazione hai in questo momento mettendo in gioco i tuoi valori. E se l'altra persona in una data relazione è offensiva, ostile o ti tratta in quache modo malamente, allora dovrai considrare i tuoi valori in materia di assertività e di rispetto, protezione e cura di te stesso. In alcuni casi, potrebbe anche essere necessario porre fine alla relazione.



2. Lavoro/studio


Questa categoria si riferisce al lavoro e alla carriera, allo studio e alla cultura o allo sviluppo di ulteriori abilità. (Può comprendere anche il volontariato e le altre forme di lavoro non retribuito).

. Quali qualità personali ti piacerebbe portare nel tuo posto di lavoro (o di studio)?

. Come ti comprteresti con i tuoi colleghi/dipendenti/utenti/clienti/compagni di studio se tu fossi il "te ideale"?

. Che tipo di relazioni vuoi costruire sul posto di lavoro o a scuola?

. Quali abilità, conoscenze o qualità personali vuoi sviluppare?


A volte le persone descrivono i lavori, le carriere o i corsi di studio ideali che vorrebbero fare, ma in questo modo descrivono degli obiettivi, non dei valori. Per identificare i tuoi valori riguardo al lavoro o allo studio, devi chiederti :"Se facessi il lavoro, la carriera o gli studi che voglio veramente, come mi comporterei diversamente sul lavoro? Quali qualità personali mi piacerebbe portare in tale impresa?". Naturalmente se lo tuo lavoro o corso di studi attuale non ti piace, ha senso ricominciare a riqualificarti e a guardarti intorno per trovare un lavoro (o un corso) più significativo o soddisfacente. Nel frattempo, puoi trarre il massimo dal lavoro o dagli studi che stai facendo mettendo in campo i tuoi valori.



3. Crescita personale/salute


Questa categoria si riferisce alle attività che favoriscono il tuo continuo sviluppo come essere umano sotto il profilo fisico, emotivo e mentale. Essa può comprendere attività religiose o spirituali dry.gif , la psicoterapia, la guarigione dalla dipendenza, la meditazione, lo yoga, il contatto con la natura, l'attività fisica, l'alimentazione, il volontariato, la creatività, il sostegno a cause politiche o ambientali e la rimozione di fattori di rischio per la salute come il fumo o l'alcool.

. Che agire continuo ti impegneresti a intraprendere o a continuare?

. Quali gruppi o centri vorresti frequentare?

. Quali cambiamenti vorresti apportare al tuo stile di vita?



4. Tempo libero


Questa categoria si riferisce ai tuoi modi di giocare, rilassarti, cercare degli stimoli o divertirti; dagli hobby, agli sport, alle attività artistiche o ad altre attività per riposarti, ricrearti, divertirti, trovare stimoli mentali ed essere creativo.

. A che tipo di hobby, sport o attività di svago vuoi dedicarti?

. Quali attività continue vorresti praticare regolarmente per rilassarti, allentare le tensioni o divertirti in modo da migliorare la tua vita e la tua salute?





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Inviato da: miki_70 il Martedì, 14-Giu-2011, 22:36
QUOTE (bruco @ Giovedì, 09-Giu-2011, 08:00)
Ciao Miki, sono nuovo e ho scoperto da poco il tuo forum e devo farti i complimenti per la pazienza e la generosità che ti hanno portato a condividere queste "informazioni" con quanti ne possono avere bisogno, me compreso. Veramente lodevole. Sei una persona in gamba.

Ciao Bruco, benvenuto e grazie per le tue parole. PSICO smile.gif

Inviato da: bruco il Giovedì, 30-Giu-2011, 13:22
scusa miki ma volevo rispondere nel forum ma ho erroneamente inviato il messaggio solo a te. ti chiedevo, e non so se può essere utile ad altri, che pur essendo in terapia tcc da poche settimane ed essendo conscio del miglioramento cognitivo sul fatto che è l'interpretazione errata di pensieri-immagini-situazioni-sensazioni a provocarmi ansia, nonostante ciò non riesco a dirmi razionalmente, nel momento in cui provo un capogiro anomalo, "tranquillo è un'interpretazione errata, non è nulla" ... faccio fatica ad uscire da questo "autocontrollo" ... hai consigli utili ? grazie e un saluto a tutti.

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 30-Giu-2011, 18:29
QUOTE (bruco @ Giovedì, 30-Giu-2011, 12:22)
scusa miki ma volevo rispondere nel forum ma ho erroneamente inviato il messaggio solo a te. ti chiedevo, e non so se può essere utile ad altri, che pur essendo in terapia tcc da poche settimane ed essendo conscio del miglioramento cognitivo sul fatto che è l'interpretazione errata di pensieri-immagini-situazioni-sensazioni a provocarmi ansia, nonostante ciò non riesco a dirmi razionalmente, nel momento in cui provo un capogiro anomalo, "tranquillo è un'interpretazione errata, non è nulla" ... faccio fatica ad uscire da questo "autocontrollo" ... hai consigli utili ? grazie e un saluto a tutti.

Ciao, immagino che tu stia facendo un percorso di TCC tradizonale. Quella che io espongo in questo 3d è la TCC di terza generazione. Nel modello cognitivo classico si fa riferimento soprattutto allo schema A, B, C, perciò rispetto ad un evento (A) che si ritiene provochi © e quindi sensazioni tipo il capogiro, quello che viene esaminato è l'elemento (B), cioè il pensiero.....generalmente disfunzionale.
Nella TCC di terza generazione o in una branca di essa si utilizza sempre lo schema A,B,C, e mi irferisco alla terapia per la prevenzione della ricadute depressive (MBCT), in più c'è una parte fondamentale che riguarda l'accettazione dei pensieri, emozioni e sensazioni.
In sostanza e in parole povere non stò più a cercare di capire perchè ho un capogiro. Sò che ho o che posso avere un capogiro, ma non inserisco più uno stand by nella mia vita, ma continuo semplicemente a vivere. Accettazione però non significa rassegnazione ma "prendere ciò che viene offerto" e continuare per la propria strada. Es. ho paura di prendere l'aereo, so di aver paura (emozione), so che questa paura genera in me dei pensieri, so anche che mi fa andare il cuore a 1000, sudo,e ho un nodo allo stomaco. OK!... che si fa?
Prendo l'aereo ugualmente!

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Inviato da: miki_70 il Giovedì, 14-Lug-2011, 21:59
Esercizio: Presenziare al tuo stesso funerale. - Prima parte -


Quando le persone muoiono, quello che lasciano è quello per cui hanno vissuto. Pensa a qualcuno che non è più in vita ma la cui vita guardi con ammirazione e come ispirazione. Pensa ai tuoi eroi. Ora guarda se non è vero che quello per cui si sono impegnati, quello che hanno rappresentato con le loro azioni è ora, dopo la loro morte, la cosa più importante. Ciò che è importante non sono nè i loro possedimenti materiali nè i loro dubbi interiori: sono i valori riflessi nelle loro vite.
Hai solo un pò di tempo da passare su questa terra, e per giunta non sai quanto. La domanda :"Sei disposto a vivere, sapendo che un giorno morirai?" non è fondamentalmente diversa da queste domande :"amerai, sapendo che un giorno potari soffrire?" o "ti impegni a vivere una vita di valore sapendo che qualche volta verrai meno al tuo impegno?" o "perseguirai il successo sapendo che qualche volta potrai fallire?". Il dolore potenziale e il senso di vitalità che guadagni da questa esperienza sono legati. Se la tua vita sta veramente andando da qualche parte, è utile guardarla dalla prospettiva di ciò che vuoi che la traccia della tua vita lasci di significativo.
Una delle fondamenta dell'evitamento è la nostra consapevolezza verbale che la vita su questo pianeta ha una fine. Ammettiamo che può sembrare macabro andare con l'immaginazione alla fine della tua vita e guardare indetro. Non signifca essere morbosi, ma solo realisti. Se tu potessi vivere la tua vita in modo che riguardi realmente quello che hai scelto, da adesso fino a che non sia finita, che cosa sarebbe evidente? Ovvero che cosa sarebbe chiaro riguardo il tipo di vita che hai condotto?
Questa non è una previsione, una supposizione o una descrizione. La domanda che ti poniamo non riguarda quello che hai fatto o che ti aspetti di fare: ti facciamo questa domanda nei termini di quello che speri vedano le persone vicino a te. Non è però una domanda che riguarda l'approvazione sociale; al contrario, se i tuoi valori significano qualcosa, saranno evidenti. Ti chiediamo solo questo:che cosa sarebbe evidente se tu potessi scegliere liberamente ciò per cui vivere?
Puoi solo sussurrare questa domanda tra te e te. Ma dal momento che questa è una scelta, noi ti chiediamo di aprirti a ciò che il tuo essere anela per se stesso. Se la tua vita potesse riguardare qualsiasi cosa, se questo rimanesse solo tra te stesso e il tuo cuore, se ne nessuno potesse riderne o dire che è impossibile, se tu fossi abbastanza "audace" rispetto alle tue aspirazioni più intime, che cosa vorresti essere? E per esserlo - in modo così potente - che sia evidente intorno a te?
Ora trova un momento e un luogo in cui ti puoi concentrare in silenzio. Accertati che non ci siano troppe distrazioni e datti tutto il tempo che serve per visualizzare completamente lo scenario che ti proponiamo, poi rispondi alle seguenti domande.
Tieni a mente che se ti prendi il tempo per fare questo esercizio, questa può essere un'esperienza emotiva potente. L'obiettivo di questo esercizio non riguarda il "guardare in faccia la tua morte"; riguarda il guardare in faccia la tua vita. Nondimeno, una parte di quello che trattiene le persone dall'abbracciare una vita di valore è che ogni valore porta con se la consapevolezza di quanto breve sia la nostra vita. Evitare questa conoscenza significa che non potrai essere realmente e pienamente alcuna cosa e considera se ciò non è un prezzo troppo alto da pagare.
Se ti trovi incastrato nelle tue emozioni e incapace di "proseguire", ricorda le tecniche che hai utilizzato lungo questo 3d, applicane uno o due, e sappi che stai facendo l'esercizio al servizio di qualcosa veramente vitale......


PSICO smile.gif

Inviato da: diamanda il Venerdì, 15-Lug-2011, 11:56
Ciao Miki, la domanda mi nasce spontanea: sei uno psicologo? stai proponendo una terapia specifica e certo devi esserlo no, anche se non lo leggo da nessuna parte. Poi vorrei chiederti se questa terapia tu pensi che possa funzionare così, solo leggendo e mettendo in pratica, perchè se così fosse cosa ci staresti a fare tu? voglio dire, se bastasse leggere una cosa utilissima e interessantissima, e riuscire a metterla in pratica allora sarebbe la soluzione per tutti.
Io non soffrro di attacchi di panico ma di angoscia, conseguenza di un'ansia stritolante più che panica, e non so se questa terapia funzionerebbe anche per questo mio caso. Cosa ne pensi?
Inolte ciò che hai scritto sul potere della mente e su come educare anche il corpo, è un argomento che mi attira molto, e non è la prima volta che leggo qualcosa a riguardo. So per esempio di una scienza nuova che cerca di agire sul corpo tramite la mente, la somatopsichica, non so se l'hai mai sentita. Però anche questa, nonostante sembri così facile da mettere in pratica, funziona solo su alcune persone e non su tutti. blink.gif

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 15-Lug-2011, 22:59
QUOTE (miki_70 @ Giovedì, 14-Lug-2011, 20:59)
Esercizio: Presenziare al tuo stesso funerale. - Prima parte -


Quando le persone muoiono, quello che lasciano è quello per cui hanno vissuto. Pensa a qualcuno che non è più in vita ma la cui vita guardi con ammirazione e come ispirazione. Pensa ai tuoi eroi. Ora guarda se non è vero che quello per cui si sono impegnati, quello che hanno rappresentato con le loro azioni è ora, dopo la loro morte, la cosa più importante. Ciò che è importante non sono nè i loro possedimenti materiali nè i loro dubbi interiori: sono i valori riflessi nelle loro vite.
Hai solo un pò di tempo da passare su questa terra, e per giunta non sai quanto. La domanda :"Sei disposto a vivere, sapendo che un giorno morirai?" non è fondamentalmente diversa da queste domande :"amerai, sapendo che un giorno potari soffrire?" o "ti impegni a vivere una vita di valore sapendo che qualche volta verrai meno al tuo impegno?" o "perseguirai il successo sapendo che qualche volta potrai fallire?". Il dolore potenziale e il senso di vitalità che guadagni da questa esperienza sono legati. Se la tua vita sta veramente andando da qualche parte, è utile guardarla dalla prospettiva di ciò che vuoi che la traccia della tua vita lasci di significativo.
Una delle fondamenta dell'evitamento è la nostra consapevolezza verbale che la vita su questo pianeta ha una fine. Ammettiamo che può sembrare macabro andare con l'immaginazione alla fine della tua vita e guardare indetro. Non signifca essere morbosi, ma solo realisti. Se tu potessi vivere la tua vita in modo che riguardi realmente quello che hai scelto, da adesso fino a che non sia finita, che cosa sarebbe evidente? Ovvero che cosa sarebbe chiaro riguardo il tipo di vita che hai condotto?
Questa non è una previsione, una supposizione o una descrizione. La domanda che ti poniamo non riguarda quello che hai fatto o che ti aspetti di fare: ti facciamo questa domanda nei termini di quello che speri vedano le persone vicino a te. Non è però una domanda che riguarda l'approvazione sociale; al contrario, se i tuoi valori significano qualcosa, saranno evidenti. Ti chiediamo solo questo:che cosa sarebbe evidente se tu potessi scegliere liberamente ciò per cui vivere?
Puoi solo sussurrare questa domanda tra te e te. Ma dal momento che questa è una scelta, noi ti chiediamo di aprirti a ciò che il tuo essere anela per se stesso. Se la tua vita potesse riguardare qualsiasi cosa, se questo rimanesse solo tra te stesso e il tuo cuore, se ne nessuno potesse riderne o dire che è impossibile, se tu fossi abbastanza "audace" rispetto alle tue aspirazioni più intime, che cosa vorresti essere? E per esserlo - in modo così potente - che sia evidente intorno a te?
Ora trova un momento e un luogo in cui ti puoi concentrare in silenzio. Accertati che non ci siano troppe distrazioni e datti tutto il tempo che serve per visualizzare completamente lo scenario che ti proponiamo, poi rispondi alle seguenti domande.
Tieni a mente che se ti prendi il tempo per fare questo esercizio, questa può essere un'esperienza emotiva potente. L'obiettivo di questo esercizio non riguarda il "guardare in faccia la tua morte"; riguarda il guardare in faccia la tua vita. Nondimeno, una parte di quello che trattiene le persone dall'abbracciare una vita di valore è che ogni valore porta con se la consapevolezza di quanto breve sia la nostra vita. Evitare questa conoscenza significa che non potrai essere realmente e pienamente alcuna cosa e considera se ciò non è un prezzo troppo alto da pagare.
Se ti trovi incastrato nelle tue emozioni e incapace di "proseguire", ricorda le tecniche che hai utilizzato lungo questo 3d, applicane uno o due, e sappi che stai facendo l'esercizio al servizio di qualcosa veramente vitale......


PSICO smile.gif

- seconda parte -

Ora chiudi gli occhi e fai alcuni respiri profondi. Appena hai calmato la tua mente, immagina di essere morto, ma che per alcune circostanze miracolose sei presente al tuo funerale in forma di spirito. Pensa al posto in cui potrebbe essere celebrato e a come potrebbe essere. Prenditi alcuni momenti per visualizzare nel modo più chiaro possibile un'immagine della tua cerimonia funebre.
Ora immagina che a un tuo amico, familiare, o chi vuoi tu, sia stato chiesto di alzarsi e dire alcune parole riguardo ciò per cui hai vissuto, che ti è stato più caro, la strada che hai preso nella tua vita. Qui sotto scrivi questo elogio funebre in due modi.
Per prima cosa scrivi quello che ti dispiacerebbe fosse detto se la lotta in cui sei attualmente impegnato continuasse a dominare la tua vita, o addirittura crescesse. Supponi di tirarti indietro da quello che per te è importante e di seguire invece una strada di evitamento, invischiamento mentale, controllo emotivo e autoreferenzialità. Immagina il tuo familiare o il tuo miglior amico. Che cosa direbbe? Scrivilo parola per parola:

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Ora supponi di poter guardare dentro la testa di quella persona in quel momento. Se nessuna censura fosse permessa, nessuna recita, e se i pensieri di questa pesona ti fossero ben visibili, che cos'altro avrebbe voluto dire (questa volta privatamente, solo a se stesso) che non ha potuto dire pubblicamente? Scrivilo sotto, parola per parola:

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Questo "elogio" era una descrizione di ciò di cui tu hai paura, e forse una descrizione di dove la tua vecchia strada ti ha condotto. Se non ti è piaciuto scrivere quello che hai scritto, incanala questo dolore dentro il prossimo processo.
Il tuo elogio funebre non deve per forza essere così. Immagina che da ora in poi tu viva la tua vita in funzione di ciò che per te è importante. Questo non significa che tutti i tuoi obiettivi saranno magicamente raggiunti; significa che la direzione che stai prendendo nella tua vita è evidente, chiara, manifesta.
Ora immagina chi è presente al tuo funerale. Di certo tua moglie/tuo marito, i tuoi figli, i tuoi amici più stretti saranno lì. Forse anche colleghi di lavoro, compagni di classe, amici della parrocchia (dipende in quali di queste situazioni sei coinvolto) sono presenti. Chiunque tu voglia può venire al tuo funerale. Non ci sono limiti. Se hai vecchi amici, o hai perso contatti con persone che vorresti vedere in questa occassione, non ti preoccupare. Tutti possono farcela a partecipare a questo funerale immaginario. Pensa a tutte le persone importanti della tua vita e mettile in quello spazio. Guardali. Osserva le loro facce. Osservali mentre osservano il tuo funerale.
Ora immagina che qualcuno di loro (chiunque vuoi) faccia un discorso su di te che rifletta quello che queste persone vedrebbero se la tua vita fosse stata fedele a quello che per te è veramente importante, ai tuoi valori più intimi. Immagina quello che tu vorresti maggiormente aver mostrato nella tua vita. Questo non è un test: non sarai giudicato per questo e nessun altro saprà mai quello che stai pensando.
Mentre ti chiarisci le idee, prenditi alcuni minuti e scrivi, parola per parola, ciò che vorresti ascoltare nel tuo elogio su come hai vissuto la tua vita. Sii coraggioso! Questa non è una previsione, nè un'auto-celebrazione. Lascia che queste parole riflettano il significato che avresti voluto maggiormente creare, i propositi che avresti voluto rivelare nel tempo che hai passato sulla terra. Immagina un amico, o un membro della tua famiglia che si sta preparando a parlare di te. Che cosa potrebbe dire? Scrivilo qui sotto, parola per parola:

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Inviato da: miki_70 il Venerdì, 15-Lug-2011, 23:09
QUOTE (diamanda @ Venerdì, 15-Lug-2011, 10:56)
Ciao Miki, la domanda mi nasce spontanea: sei uno psicologo? stai proponendo una terapia specifica e certo devi esserlo no, anche se non lo leggo da nessuna parte. Poi vorrei chiederti se questa terapia tu pensi che possa funzionare così, solo leggendo e mettendo in pratica, perchè se così fosse cosa ci staresti a fare tu? voglio dire, se bastasse leggere una cosa utilissima e interessantissima, e riuscire a metterla in pratica allora sarebbe la soluzione per tutti.
Io non soffrro di attacchi di panico ma di angoscia, conseguenza di un'ansia stritolante più che panica, e non so se questa terapia funzionerebbe anche per questo mio caso. Cosa ne pensi?
Inolte ciò che hai scritto sul potere della mente e su come educare anche il corpo, è un argomento che mi attira molto, e non è la prima volta che leggo qualcosa a riguardo. So per esempio di una scienza nuova che cerca di agire sul corpo tramite la mente, la somatopsichica, non so se l'hai mai sentita. Però anche questa, nonostante sembri così facile da mettere in pratica, funziona solo su alcune persone e non su tutti. blink.gif

PSICO-nono.gif non sono psicologo. Mi appassiona la psicologia e soprattutto le nuove terapie.
Mi chiedi se quello che propongo funziona. Non lo propongo io laugh.gif
ma l'ACT è una terapia cognitiva che fa uso della mindfulness, ma qui il discorso sarebbe lungo. L'ACT si basa su una ricerca di base sulla natura dei processi verbali e cognitivi umani che prende il nome di Relational Frame Theory. Gli studi di ricerca scientifica sulla RFT hanno ormai superato i 150 articoli pubblicati a livello internazionae.
Se ti va, segui il programma dall'inizio e fatti condurre dalla tua esperienza nel seguirlo, facendo i vari esercizi proposti più e più volte.
Questo programma sul forum non ha nessuna intenzione di sostituirsi ad un lavoro psicologico vero e proprio.
Mi spiace, ma non conosco la terapia somatopsichica.
Quando parlo di corpo mi riferisco all'utilizzo del corpo nelle terapie cognitive basate sulla mindfulness.

PSICO smile.gif

Inviato da: diamanda il Sabato, 16-Lug-2011, 18:10
ciao Miki, scusami, sì dopo aver copiato e leggiucchiato un pò le cose che hai messo ho visto che non sei un dottore, scusa.
Il percorso che proponi è molto interessante ma temo di non avere la pazienza e la costanza per poterlo provare. Mi viene più facile rapportarmi ad un'altra persona che mettermi lì a fare l'analisi di me stessa e il funzionamento della mia mente. Forse un giorno, chissà. Non escludo la possibilità PSICO D.gif
Ma tu sei guarito proprio con questo metodo? O l'hai associato insieme ad una terapia?

Inviato da: miki_70 il Domenica, 17-Lug-2011, 20:06
QUOTE (diamanda @ Sabato, 16-Lug-2011, 17:10)
ciao Miki, scusami, sì dopo aver copiato e leggiucchiato un pò le cose che hai messo ho visto che non sei un dottore, scusa.
Il percorso che proponi è molto interessante ma temo di non avere la pazienza e la costanza per poterlo provare. Mi viene più facile rapportarmi ad un'altra persona che mettermi lì a fare l'analisi di me stessa e il funzionamento della mia mente. Forse un giorno, chissà. Non escludo la possibilità PSICO D.gif
Ma tu sei guarito proprio con questo metodo? O l'hai associato insieme ad una terapia?

Ciao Diamanda.
Tu cosa intendi con "guarire"?

PSICO smile.gif

Inviato da: neva il Lunedì, 18-Lug-2011, 10:32
ciao miki qui tutto bene grandi passi avanti grazie anche agli esercizi che metti in questo 3D però davanti al "Presenziare al tuo stesso funerale ho avuto un blocco non sono neanche riuscita a leggerlo" che angoscia soprattutto perchè io ho il terrore di morire non riesco a pensare di non esserci non riesco neanche a parlarne. PSICO hug.gif

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 21-Lug-2011, 11:55
QUOTE (neva @ Lunedì, 18-Lug-2011, 09:32)
ciao miki qui tutto bene grandi passi avanti grazie anche agli esercizi che metti in questo 3D però davanti al "Presenziare al tuo stesso funerale ho avuto un blocco non sono neanche riuscita a leggerlo" che angoscia soprattutto perchè io ho il terrore di morire non riesco a pensare di non esserci non riesco neanche a parlarne.  PSICO hug.gif

In effetti l'esercizio ha un impatto emotivo potente. Comunque domani finisco di postarlo.
Se riesci a farlo va bene, se non ce la fai, va bene lo stesso.
Penso che con l'esercizio di domani questo topic è concluso.
Ne vorei aprire uno sulla terapia cognitiva basata sulla mindfulness, cioè la MBCT.
Mò vediamo PSICO wink.png

Inviato da: miki_70 il Domenica, 24-Lug-2011, 21:16
QUOTE (miki_70 @ Venerdì, 15-Lug-2011, 21:59)
QUOTE (miki_70 @ Giovedì, 14-Lug-2011, 20:59)
Esercizio: Presenziare al tuo stesso funerale.  -  Prima parte -


Quando le persone muoiono, quello che lasciano è quello per cui hanno vissuto. Pensa a qualcuno che non è più in vita ma la cui vita guardi con ammirazione e come ispirazione. Pensa ai tuoi eroi. Ora guarda se non è vero che quello per cui si sono impegnati, quello che hanno rappresentato con le loro azioni è ora, dopo la loro morte, la cosa più importante. Ciò che è importante non sono nè i loro possedimenti materiali nè i loro dubbi interiori: sono i valori riflessi nelle loro vite.
Hai solo un pò di tempo da passare su questa terra, e per giunta non sai quanto. La domanda :"Sei disposto a vivere, sapendo che un giorno morirai?" non è fondamentalmente diversa da queste domande :"amerai, sapendo che un giorno potari soffrire?" o "ti impegni a vivere una vita di valore sapendo che qualche volta verrai meno al tuo impegno?" o "perseguirai il successo sapendo che qualche volta potrai fallire?". Il dolore potenziale e il senso di vitalità che guadagni da questa esperienza sono legati. Se la tua vita sta veramente andando da qualche parte, è utile guardarla dalla prospettiva di ciò che vuoi che la traccia della tua vita lasci di significativo.
Una delle fondamenta dell'evitamento è la nostra consapevolezza verbale che la vita su questo pianeta ha una fine. Ammettiamo che può sembrare macabro andare con l'immaginazione alla fine della tua vita e guardare indetro. Non signifca essere morbosi, ma solo realisti. Se tu potessi vivere la tua vita in modo che riguardi realmente quello che hai scelto, da adesso fino a che non sia finita, che cosa sarebbe evidente? Ovvero che cosa sarebbe chiaro riguardo il tipo di vita che hai condotto?
Questa non è una previsione, una supposizione o una descrizione. La domanda che ti poniamo non riguarda quello che hai fatto o che ti aspetti di fare: ti facciamo questa domanda nei termini di quello che speri vedano le persone vicino a te. Non è però una domanda che riguarda l'approvazione sociale; al contrario, se i tuoi valori significano qualcosa, saranno evidenti. Ti chiediamo solo questo:che cosa sarebbe evidente se tu potessi scegliere liberamente ciò per cui vivere?
Puoi solo sussurrare questa domanda tra te e te. Ma dal momento che questa è una scelta, noi ti chiediamo di aprirti a ciò che il tuo essere anela per se stesso. Se la tua vita potesse riguardare qualsiasi cosa, se questo rimanesse solo tra te stesso e il tuo cuore, se ne nessuno potesse riderne o dire che è impossibile, se tu fossi abbastanza "audace" rispetto alle tue aspirazioni più intime, che cosa vorresti essere? E per esserlo - in modo così potente - che sia evidente intorno a te?
Ora trova un momento e un luogo in cui ti puoi concentrare in silenzio. Accertati che non ci siano troppe distrazioni e datti tutto il tempo che serve per visualizzare completamente lo scenario che ti proponiamo, poi rispondi alle seguenti domande.
Tieni a mente che se ti prendi il tempo per fare questo esercizio, questa può essere un'esperienza emotiva potente. L'obiettivo di questo esercizio non riguarda il "guardare in faccia la tua morte"; riguarda il guardare in faccia la tua vita. Nondimeno, una parte di quello che trattiene le persone dall'abbracciare una vita di valore è che ogni valore porta con se la consapevolezza di quanto breve sia la nostra vita. Evitare questa conoscenza significa che non potrai essere realmente e pienamente alcuna cosa e considera se ciò non è un prezzo troppo alto da pagare.
Se ti trovi incastrato nelle tue emozioni e incapace di "proseguire", ricorda le tecniche che hai utilizzato lungo questo 3d, applicane uno o due, e sappi che stai facendo l'esercizio al servizio di qualcosa veramente vitale......


PSICO smile.gif

- seconda parte -

Ora chiudi gli occhi e fai alcuni respiri profondi. Appena hai calmato la tua mente, immagina di essere morto, ma che per alcune circostanze miracolose sei presente al tuo funerale in forma di spirito. Pensa al posto in cui potrebbe essere celebrato e a come potrebbe essere. Prenditi alcuni momenti per visualizzare nel modo più chiaro possibile un'immagine della tua cerimonia funebre.
Ora immagina che a un tuo amico, familiare, o chi vuoi tu, sia stato chiesto di alzarsi e dire alcune parole riguardo ciò per cui hai vissuto, che ti è stato più caro, la strada che hai preso nella tua vita. Qui sotto scrivi questo elogio funebre in due modi.
Per prima cosa scrivi quello che ti dispiacerebbe fosse detto se la lotta in cui sei attualmente impegnato continuasse a dominare la tua vita, o addirittura crescesse. Supponi di tirarti indietro da quello che per te è importante e di seguire invece una strada di evitamento, invischiamento mentale, controllo emotivo e autoreferenzialità. Immagina il tuo familiare o il tuo miglior amico. Che cosa direbbe? Scrivilo parola per parola:

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Ora supponi di poter guardare dentro la testa di quella persona in quel momento. Se nessuna censura fosse permessa, nessuna recita, e se i pensieri di questa pesona ti fossero ben visibili, che cos'altro avrebbe voluto dire (questa volta privatamente, solo a se stesso) che non ha potuto dire pubblicamente? Scrivilo sotto, parola per parola:

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Questo "elogio" era una descrizione di ciò di cui tu hai paura, e forse una descrizione di dove la tua vecchia strada ti ha condotto. Se non ti è piaciuto scrivere quello che hai scritto, incanala questo dolore dentro il prossimo processo.
Il tuo elogio funebre non deve per forza essere così. Immagina che da ora in poi tu viva la tua vita in funzione di ciò che per te è importante. Questo non significa che tutti i tuoi obiettivi saranno magicamente raggiunti; significa che la direzione che stai prendendo nella tua vita è evidente, chiara, manifesta.
Ora immagina chi è presente al tuo funerale. Di certo tua moglie/tuo marito, i tuoi figli, i tuoi amici più stretti saranno lì. Forse anche colleghi di lavoro, compagni di classe, amici della parrocchia (dipende in quali di queste situazioni sei coinvolto) sono presenti. Chiunque tu voglia può venire al tuo funerale. Non ci sono limiti. Se hai vecchi amici, o hai perso contatti con persone che vorresti vedere in questa occassione, non ti preoccupare. Tutti possono farcela a partecipare a questo funerale immaginario. Pensa a tutte le persone importanti della tua vita e mettile in quello spazio. Guardali. Osserva le loro facce. Osservali mentre osservano il tuo funerale.
Ora immagina che qualcuno di loro (chiunque vuoi) faccia un discorso su di te che rifletta quello che queste persone vedrebbero se la tua vita fosse stata fedele a quello che per te è veramente importante, ai tuoi valori più intimi. Immagina quello che tu vorresti maggiormente aver mostrato nella tua vita. Questo non è un test: non sarai giudicato per questo e nessun altro saprà mai quello che stai pensando.
Mentre ti chiarisci le idee, prenditi alcuni minuti e scrivi, parola per parola, ciò che vorresti ascoltare nel tuo elogio su come hai vissuto la tua vita. Sii coraggioso! Questa non è una previsione, nè un'auto-celebrazione. Lascia che queste parole riflettano il significato che avresti voluto maggiormente creare, i propositi che avresti voluto rivelare nel tempo che hai passato sulla terra. Immagina un amico, o un membro della tua famiglia che si sta preparando a parlare di te. Che cosa potrebbe dire? Scrivilo qui sotto, parola per parola:

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Come è stato questo esercizio? Al di là della stranezza di osservare il proprio funerale, cos'altro ti è venuto fuori?
Ora torna indietro e rileggi quello che tu hai scritto. Se hai scritto qualcosa di incompleto, o fuori tema, riscrivilo. Ehi! è il tuo funerale!
Se lo hai realmente cercato, potresti vedere all'interno delle parole che tu hai scritto qualcosa di quello che c'è già dentro di te. Riesci a vedere qualcosa di quanto vuoi manifestare nella tua vita?
Il modo in cui vuoi essere ricordato, una volta che la tua vita sia finita, ti da una buona idea di quello che è importante per te adesso, in questo momento. Non sappiamo quello che la gente potrebbe dire al tuo funerale, ma sappiamo che le tue azioni oggi possono fare una profonda differenza su come la tua vita funzionerà da ora in avanti. Non è per i tuoi pensieri, le tue sensaioni, le tue emozioni e le tue sensazioni corporee che i tuoi cari ti ricorderanno, ma per le scelte che fai e le azioni che intraprendi ogni giorno della tua vita. Non possiamo iniziare oggi? Non possiamo iniziare proprio ora?
Possiamo ancora una volta usare il metodo di "guardare all'indietro" alla tua vita per tirare fuori quello che ti è più caro. Proviamo a condensare tutto questo in una visione più corta.

Quando le persone sono sepolte, viene scritto spesso un epitaffio, che dice cose del tipo :" Qui giace Sara. Ha amato la sua famiglia con tutto il suo cuore".
Se la pietra tombale qui sotto fosse la tua, che cosa vorresti vederci scritto sopra? Da cosa vorresti veramente che la tua vita fosse caratterizzata? Ancora una volta, questa non è una descrizione nè una previsione. Questa è una speranza, un'aspirazione, un desiderio. E' una cosa fra te e la persona nel tuo specchio. Che cosa ti piacerebbe che la tua vita rappresentasse?
Pensaci per un momento e vedi se riesci a sintetizzare i tuoi valori più intimi in un breve epitaffio, poi scrivilo su questa lapide:







PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 24-Lug-2011, 21:43
Risultati


Nulla di tutto questo avrebbe importanza se non fosse collegato a reali risultati clinici positivi. A pochi anni dalla comparsa del primo manuale ACT (Hayes, Strosal e Wilson, 1999), sono esplose le ricerche sui risultati in questo ambito. Una rassegna scritta proprio poco tempo fa, è già completamente superata (Hayes, Masuda et al., 2004).
Gli scenziati della ricerca clinica studiano l'impatto di tecnologie come l'ACT in vari modi, ma alcuni degli studi più importanti sono i Randomized Controller Trias - RCT (usati anche nella ricerca medica e farmacologica) e analisi controllate di serie temporali. A ora, il numero di studi completi di questo tipo sull'ACT è superiore alle due dozzine e la maggior parte attualmente è pubblicato.
Fino ad ora, tutti gli studi supportano l'impatto positivo dell'ACT, e in tutti i casi di cui si è alcorrente, gli studi che sono stati designati per esaminare i processi di cambiamento, hanno fornito supporto alla teoria che stà alla base dell'ACT.
Alcuni di questi studi, hanno confrontato l'ACT con altri metodi ben sviluppati e supportati empiricamente.
In quasi tutti gli studi comparati pubblicati sino a ora, l'ACT ha apportato gli stessi benefici o (in alcuni casi) benefici migliori rispetto ai metodi esistenti noti come efficaci. Fino a qui, i risultati degli studi controllati sono supportivi per quanto concerne gli ambiti dei disturbi d'ansia, dello stress, dei disturbi ossessivo compulsivi e dello spettro DOC, della depressione, del fumo, dell'abuso di sostanze, dello stigma e del pegiudizio, del dolore cronico, dell'abilità ad apprendere nuove procedure, nel fronteggiare le psicosi, nella gestione del diabete, nel fronteggiare il cancro, nell'epilessia e nel barnout sul lavoro.
Se la teoria alla base dell'ACT è corretta, i processi a cui si sta puntando sono comuni a tutti gli esseri umani, perchè sono basati su processi di base del linguaggio. Per questo l'ACT non è solo utilizzata per il Disturbo di Panico.



Questo 3d nasce e si sviluppa mettendo insieme tre testi basati sull'ACT.

- "Disturbo di Panico: programma ACT" di Pietro Spagnulo (e-book):

- "Smetti di soffrire e inizia a vivere", di Steven C. Hayes e Spencer Smith;

- "La Trappola dlla Felicità", di Rus Harris.



PSICO ciao.gif

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 25-Lug-2011, 21:08
THE END laugh.gif

Inviato da: bruco il Mercoledì, 27-Lug-2011, 12:45
Bravo Miki ... attendiamo con pazienza e curiosità le tue nuove pubblicazioni (da una tua citazione : "Ne vorei aprire uno sulla terapia cognitiva basata sulla mindfulness, cioè la MBCT"
Sarebbe molto interessante. Un saluto.

Inviato da: miki_70 il Domenica, 31-Lug-2011, 10:52
QUOTE (bruco @ Mercoledì, 27-Lug-2011, 11:45)
Bravo Miki ... attendiamo con pazienza e curiosità le tue nuove pubblicazioni (da una tua citazione : "Ne vorei aprire uno sulla terapia cognitiva basata sulla mindfulness, cioè la MBCT"
Sarebbe molto interessante. Un saluto.

Ciao Bruco PSICO smile.gif
vedrò più in là. La mindfulness prevede molta pratica perchè è costituita da vari esercizi di meditazione sottoposti alla lente vigile della terapia cognitiva. Potrei anche scrivere gli esercizi in un 3d, ma è diverso leggerli e metterli in pratica da essere guidati passo dopo passo dalla voce di un istruttore.
Comunque vedrò quello che si può fare.

PSICO smile.gif

Inviato da: luth ♂ il Lunedì, 15-Ago-2011, 17:48
QUOTE (miki_70 @ Lunedì, 25-Lug-2011, 20:08)
THE END laugh.gif

grande! app.gif

Inviato da: PazzodaViaggiare il Sabato, 10-Set-2011, 23:26
Che paura, ma sono riuscito ugualmente a leggere!
Non vorrei offendere nessuno, ne ho paura!
La paura é naturale é un avviso, un avvertenza all'uso, ma non fate mai d'abusarne, diventerebbe una scusa.
Ora , non dopo, non prima, ne mentre, ma adesso e se ti guardi intorno e sempre la stessa cosa da milleni e come puoi aver paura, di cosa se non della paura stessa!

Inviato da: carlo1974 il Mercoledì, 14-Set-2011, 16:57
ottimo esercizio per il doc sulla morte. PSICO cry.gif
ma, io, per adesso non riesco proprio a farlo thumbdown.gif

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 22-Giu-2012, 12:10
http://psyco.forumfree.org/index.php?&showtopic=51022

porto di qua il topic sulla mindfulness, così raggruppo le terapie basate sulla mindfulness. Poi magari cambio il titolo del 3d, se riesco a capire come si fa.

Ciao PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Domenica, 24-Giu-2012, 10:00
Questa canzone la dedico a chi con grande coraggio utilizza la mindfulness.

Secondo me racchiude (il testo), l'approccio mindfulness.

So che non è facile, però, coraggio.

PSICO smile.gif

http://youtu.be/663vGZXLaHo

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 27-Giu-2012, 11:09

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 27-Giu-2012, 18:46

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 27-Giu-2012, 20:46
Non possiamo aspettarci grandi miglioramenti se continuiamo a restare nella nostra condizione d' ignoranza, prigionieri della credenza di un sè. Anche se per avventura fossimo in grado di migliorare un pò le condizioni sforzandoci di comportarci bene, fin quando c'è attaccamento alla credenza in un sè c'è illusione: per cui, anche la bontà di cui diamo prova è frutto dell'illusione. Non ci fa uscire dalla sofferenza. Se non possediamo la saggezza, per qunto ci sforziamo di fare il bene, finiamo col causare ogni sorta di problemi nella convinzione di poter dire agli altri cosa è bene per loro.

Quando portiamo la nostra attenzione al modo in cui stanno le cose possiamo vedere come noi creiamo, momento per momento, l' 'io' e il 'mio': quello che io penso, quello che io sento, quello che io voglio, che amo, che non amo; o possiamo aver coscienza dei sè che creiamo negli altri: le mie opinioni su di voi. Io ho sofferto molto perchè mi creavo le persone nella mia mente: non perchè qualcuno fosse veramente cattivo nei miei confronti, ma per tutte le cose che creavo sul mio conto e su quello degli altri: la paura di ciò che gli altri pensavano, la gelosia, l'invidia, l'avidità, la possessività. Avevo le mie opinioni e i miei pregiudizi sulla gente, le mie idee sulle loro mire e i miei sospetti su quello che volevano realmente.
Per cui questo tipo di sofferenza deriva da ciò che creiamo su noi stessi e sugli altri, sui nostri genitori e le persone cui siamo legati.
Cos'è la sofferenza? Chiedetevi veramente: in che modo soffrite nella vostra vita? Ieri, quando sono uscito a passeggiare nei campi, ho sentito il soffio gelido del vento E' sofferenza quella? Potevo renderla tale: "Questo vento è terribilmente fastidioso. Non lo sopporto". Ma in realtà andava benissimo.
Voglio dire, era qualcosa che potevo assolutamente sopportare.
Se non lo ingigantivo nella mia testa, era semplicemente vento freddo, tutto qui.

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 29-Giu-2012, 01:37
"Mai abbandonare, mai rinunciare; anche le domande senza risposta occorre riprenderle, riformularle via via di nuovo, esaminarle sempre come se fossero nuove e urgenti.
Mai credersi soli, mai pensare che la nostra tragedia sia esclusivamente nostra: altri hanno conosciuto lo stesso dolore e sofferto lo stesso smarrimento.
Dio è dovunque, nel cruccio e anche nello strazio.
Egli è anche nello sguardo. Egli è lo sguardo. Una bella storia hassidica, anche quando racconta un miracolo, in verità ci parla di speranza e di amicizia - i più grandi miracoli della vita".

E. Wisel

Contre la mèlancolie. Cèlèbration hassidique II



notte PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 02-Lug-2012, 23:07
"La radice della sofferenza è in ciò che chiamiamo avijja: il non conoscere, l'ignoranza del modo in cui le cose sono realmente. L'ignoranza di fondo è non comprendere la nostra vera natura. Soffriamo a causa dei giudizi, delle opinioni, e di abitudini e situazioni che non comprendiamo. Viviamo in uno stato di ignoranza, non comprendendo come stanno le cose.
Se vi ascoltate con attenzione, può capitarvi di udire affermazioni di questo tipo :"Dovrei fare questo e non quello, dovrei essere così e non nell'altro modo", o di sentire che il mondo dovrebbe essere diverso da quello che è, che i vostri genitori dovrebbero essere fatti in maniera diversa da come sono.
Dovrebbe, non dovrebbe: il condizionale ci risuona permanentemente nel cervello. Mentre praticate la meditazione, ascoltate la vostra opinione interiore su come dovrebbero andare le cose: ascoltatela e basta.
Noi tendiamo naturalmente a diventare qualcosa: ci creiamo un ideale di noi stessi, ci poniamo dei traguardi. Possiamo anche pensare che la società non sia come dovrebbe essere. La gente dovrebbe essere gentile, generosa, altruista, comprensiva e piena d'amore; dovrebbe esserci la reciproca fratellanza; al governo delle nazioni dovrebbero sedere uomini saggi e nel mondo dovrebbe regnare la pace.
A questo punto guardatevi dentro, ascoltate il vostro ossessivo "io sono questo, io non sono quello" ed esaminatelo profondamente e consapevolmente.
Noi tendiamo a reagire dando semplicemente per scontato che tutti i "sono" e i "non sono" siano la verità. Ci costituiamo come personalità e ci attacchiamo ai nostri ricordi. Ricordiamo quello che abbiamo imparato e che abbiamo fatto, generalmente solo le cose più fuori dalla norma; invece le cose più comuni tendiamo a dimenticarle. Per cui se facciamo cose sgarbate, crudeli, insensate, abbiamo come risultato un ricordo sgradevole della nostra vita; proviamo vergogna e sensi di colpa. Se facciamo azioni buone, altruistiche, abbiamo della nostra vita un buon ricordo. Quando iniziamo a riflettere su questo, ecco che tendiamo a stare più attenti a ciò che facciamo e diciamo; se abbiamo vissuto intensamente, agendo d'impulso sulla spinta del desiderio di gratificazione immediata o dell'intenzione di ferire, di creare disarmonia, di sfruttare gli altri, la nostra mente si riempirà di ricordi sgradevoli. Le persone che hanno condotto una vita davvero egoista devono ubriacarsi o assumere droghe per distrarre la propria mente e non doversi confrontare coi propri ricordi.
Nel processo della meditazione osserviamo con consapevolezza le condizioni della mente qui e ora semplicemente avendo coscienza di questo senso di "io sono, io non sono". Provate a contemplare le sensazioni di dolore o piacere (e qualsiasi ricordo, pensiero o opinione) come impermanenti, anicca. La caratteristica della transitorietà è comune a tutte le condizioni.
Esaminate ciò che vedete coi vostri occhi, che udite con le vostre orecchie, che gustate con la vostra lingua, odorate col vostro naso, sentite e sperimentate col vostro corpo, pensate con la vostra mente.
Il pensiero "io sono" è una condizione impermanente. Il pensiero "io non sono" è una condizione impermanente. I pensieri, i ricordi, la coscienza del pensare, il corpo stesso, le nostre emozioni, tutte le condizioni cambiano. Nella pratica di meditazione, dobbiamo essere assolutamente seri, coraggiosi e audaci, per esplorare veramente, per osare guardare anche le situazioni più sgradevoli della vita, invece di cercare scampo nella tranquillità o dimenticare ogni cosa. La pratica della vipassana consiste nell'analizzare la sofferenza; è un confronto con noi stessi, con quello che pensiamo di noi, con i nostri ricordi e le nostre emozioni, piacevoli, spiacevoli o indifferenti. In altre parole, quando queste cose si presentano e abbiamo coscienza della nostra sofferenza, anzichè respingerla, reprimerla o ignorarla, noi cogliamo l'occasione per esaminarla".

Inviato da: miki_70 il Martedì, 03-Lug-2012, 19:32
"Dunque la sofferenza è il nostro maestro. Dobbiamo imparare la lezione studiando la sofferenza in se stessa. Io sono sbalordito che alcune persone siano convinte di non soffrire mai :"Io non soffro. Non sò perchè i buddisti parlano tanto di sofferenza. Io mi sento meravigliosamente, per me tutto è bello e gioioso. Trovo che la vita sia un'esperienza fantastica, interessante, affascinante: un piacere senza fine". Tali persone tendono semplicemente ad aprirsi a un lato della vita e a respingere l'altro, poichè è inevitabile che quello che ci rende felici scomparirà, e che a quel punto si sarà infelici. Il nostro desiderio di provare costantemente piacere ci procura problemi, difficoltà, complicazioni di ogni genere. La sofferenza non si deve solo a eventi drammatici, come una malattia incurabile o la perdita di una persona cara; si può provare sofferenza per cose comunissime, come le quattro posizioni dello star seduti, stare in piedi, camminare o stare distesi. Non sono per nulla eccezionali.
Noi contempliamo il normale respiro e la coscienza ordinaria. Non ci attacchiamo alle grandi idee e ai grandi pensieri per comprendere le grandi questioni dell'esistenza, ma contempliamo le sensazioni, i ricordi e i pensieri più normali. Non ci addentriamo nella speculazione sul fine ultimo della vita, su Dio, il diavolo, il paradiso e l'inferno, su quello che accade quando muoriamo e sulla reincarnazione. Nella meditazione buddista si osserva semplicemente il qui e ora. La nascita e morte che ha luogo qui e ora è l'inizio e la fine delle cose più ordinarie.
Contemplate l'inizio. Quando pensate alla nascita, voi pensate :"Io sono nato", ma quella è la grande nascita del corpo, che non potete ricordare. La nascita ordinaria dell'"io" che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni è :"Io voglio, io non voglio, io amo, io detesto". Questa è una nascita, il cercare di essere felici. Contempliamo l'ordinario inferno della nostra collera, il furore che esplode, il calore del corpo, l'avversione, l'odio che proviamo dentro. Contempliamo l'ordinario paradiso dei nostri stati felici, la beatitudine, la leggerezza, la bellezza del qui e ora. O semplicemente, lo stato passivo della mente, quella sorta di limbo, nè felice nè infelice, ma spento, annoiato e indifferente. Nella meditazione buddista osserviamo queste cose dentro noi stessi.
Contempliamo il nostro desiderio di potere e di controllo, il voler avere il controllo dell'altra persona, il voler diventare famosi o raggiungere le vette del successo. Quanti di voi, quando scoprono che qualcuno è più dotato di loro, vorrebbero distruggerlo? Non è altro che invidia. Ciò che dobbiamo fare nella nostra normale pratica meditativa è scorgere le invidie di tutti i giorni, o l'odio che può accaderci di provare per chi ci fa un sopruso o ci tormenta; oppure, la brama fisica che possiamo provare per una persona che ci attrae. La nostra mente è come uno specchio che riflette l'universo: noi osserviamo il riflesso: Prima prendevamo le immagini riflesse per realtà, per cui ne venivamo attratti o respinti o lasciati indifferenti. Invece nella vipassana osserviamo semplicemente che tutte le immagini sono condizioni mutevoli. Cominciamo a vederle come oggetti esterni anzichè come "sè", laddove nell'ignoranza si tende a identificarsi con esse.
Perciò, nella pratica, noi osserviamo l'universo così come si riflette nella nostra mente."

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 05-Lug-2012, 11:24
Oggi pomeriggio visita dalla neuropsichiatra. Visita di controllo dry.gif

Le dedico questo brano PSICO-green.gif





a dopo PSICO ciao.gif

Inviato da: miki_70 il Sabato, 07-Lug-2012, 19:15



PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Giovedì, 12-Lug-2012, 21:24



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Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 18-Lug-2012, 23:25
Quando sediamo in meditazione noi osserviamo il qui e ora. Ci saranno pensieri, ricordi, immagini. Passato e futuro si intrecciano, ma avviene tutto nel qui e ora. Non ci sono pensieri, immagini, ricordi, belli o brutti, cattivi o buoni, sbagliati o perfetti. La consapevolezza è solo testimone non da pareri e non giudica. La mente o non mente giudica. E quando giudica si identifica. La consapevolezza è come lo specchio. E' testimone e riflette quello che le passa di fronte. Se io mi specchio, lo specchio non pensa. Osserva, riflette. Ma non prende parte a niente che le si pone di fronte. La riflessione non è il pensiero.



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Inviato da: miki_70 il Sabato, 21-Lug-2012, 21:30
Pratica di consapevolezza con gli impulsi

Quando sentiamo l'impulso di fare qualcosa possiamo fermarci un attimo, chiudere gli occhi, distogliere l'attenzione dall'oggetto dell'impulso, - per esempio mangiare, fumare, bere, dire quello che sembra così urgente e importate, esprimere la rabbia, comprare assolutamente la tal cosa che abbiamo visto, ecc. - e portarla invece sulla sensazione fisica dell'impulso stesso.

Rimaniamo per un qualche minuto sulla sensazione fisica, senza farci agire da essa, senza volercene disfare.

Entriamo in contatto con la parte del corpo in cui sorge l'impulso

Osserviamone le caratteristiche: eccitazione, tensione o altro,

Sentiamo la reazione della nostra mente nel momento in cui non obbediamo automaticamente: irritazione, ansia, paura o altro

Osserviamo, eventualmente, ogni impulso di evitare di osservare: cadiamo nei pensieri, immagini, fantasie per esempio

Notiamo quando l'impulso sorge, attenti a quando diminuisce di intensità o scompare. Diventiamo esperti del processo dell'impulso nell'organismo.

Immaginiamo gli impulsi onde che sorgono dal mare, si alzano, si allungano, si ricongiungono al mare e immaginiamo l'attenzione come un surf che si muove seguendo il ritmo, il percorso dell'impulso/onda senza perderlo e senza perderci

Riapriamo gli occhi e procediamo per la nostra strada


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Inviato da: miki_70 il Domenica, 22-Lug-2012, 14:13
"IN QUESTO TERZO GIORNO DI RITIRO potete notare gli effetti di due giorni trascorsi in ‘nobile silenzio’ rispettando gli otto precetti e praticando la presenza mentale. Le riflessioni che offro sono un incoraggiamento. L’unico vero aiuto che posso darvi è incoraggiarvi a essere svegli, perché, per quanto sia facile parlarne e capirlo in astratto, la realtà sta nel riconoscere per esperienza in cosa consista l’essere svegli, sati-sampajañña, sati-paññā. Si tratta di ricondurre l’attenzione sempre qui e ora. Queste parole danno l’idea di un effettivo osservare, riflettere, prendere nota di come stanno le cose.
Riflettere, quindi, significa usare la coscienza come uno specchio in maniera tale da cominciare a riconoscerla, a prendere atto della coscienza; perché in questo momento siamo tutti coscienti di ciò che sorge e cessa: i pensieri, le emozioni, il piacere, il dolore, le impressioni sensoriali mediate da occhi, orecchie, naso, lingua, corpo. Allora potreste notare anche come, nel contesto di un ritiro di meditazione dove vi attenete agli otto precetti e dovete restare seduti a lungo e in silenzio, il dukkha della vostra vita, la sofferenza, sembri aumentare. Perché se foste a casa vostra probabilmente non lo fareste. Non ci sarebbe nulla a tenervi seduti un’ora di fila, tutti indolenziti! Non appena ci sentiamo irrequieti o proviamo disagio fisico, ci distraiamo. In genere, a casa abbiamo certe consuetudini per cui sappiamo dove sono le cose, dov’è il frigorifero, il televisore, e ci sono sempre incombenze e faccende da sbrigare, il telefono squilla...
Qualunque forma di restrizione sembra far crescere la sofferenza. Siamo abitudinari, per cui siamo assuefatti al nostro modo di fare, al nostro ambiente. In un ambiente diverso siamo costretti a porci dei limiti o adottare uno stile di vita a cui emotivamente non siamo avvezzi, e neppure fisicamente. Nei primi tre giorni vi consiglio di lasciare che il corpo si abitui al nuovo modo di vivere e di abbandonare le riserve sul piano mentale. Il contesto quotidiano è cambiato: è così. L’atmosfera, l’ambiente del centro di ritiro di Amarāvatī... si arriva a farci l’abitudine. Al punto che, dopo un ritiro di dieci giorni, il rientro a casa può essere traumatico. È tutto troppo rozzo. Ci si abitua alla disciplina, all’ordine e alla pace che ci sono qui.
Ho conosciuto persone che, tornando a Londra dopo un ritiro silenzioso di sei mesi, hanno sofferto moltissimo per il solo fatto di rientrare in città, tornare alla famiglia e al caos della vita domestica. Si fa l’abitudine a tutto. Ho vissuto in Thailandia per molti anni e poi sono tornato negli Stati Uniti per un breve periodo. Ormai ero avvezzo alla Thailandia, alla vita monastica thailandese. Il mio apparato sensoriale, tutto si era adeguato al monastero della foresta, all’aspetto dei thailandesi, ai loro lineamenti; perciò ritrovandomi in un paese di nasi grossi e menti prominenti ho capito cosa provano i thailandesi!
Abbiamo una straordinaria capacità di adattamento, di abituarci e adeguarci alle situazioni. L’atmosfera di un ritiro di meditazione, qui, è così; non vi sto dicendo com’è, fidatevi della vostra riflessione: "È così". Cominciate ad aprirvi alle cose come sono. Senza criticare o fare paragoni, ma solo diventando più consapevoli e attenti al tipo di condizioni a cui siete soggetti in questi dieci giorni di ritiro e all’effetto che hanno sulla vostra mente. Non sono tali da creare assuefazione, indurre la calma con la deprivazione sensoriale... così quando tornate a casa vi innervosite ancora di più. Però qui c’è un’atmosfera contenuta, misurata. L’assenza delle consuete distrazioni ci offre un’occasione per riflettere che potremmo non avere altrove. Prendete atto che è una situazione speciale.
Queste sono condizioni speciali. Non assomiglia alla vita quotidiana, vero? Qui non si vive normalmente. Viviamo così solo per rendere molto esplicito che si tratta di una situazione speciale, appositamente studiata per darvi, per quanto possibile, il tempo e l’occasione di riflettere sugli eventi, su quello che vi succede. Noi lo vediamo in termini di Dhamma, piuttosto che in termini di ‘me’ e ‘mio’. Ecco perché usiamo questo gergo buddhista. Come ho già detto, il termine ‘Dhamma’ non si può tradurre adeguatamente. È una parola profonda. È un concetto che non esiste nella lingua inglese. Tutt’al più possiamo renderlo con ‘la verità delle cose come sono’. ‘Rifugiarsi nella verità delle cose come sono’ suona un po’ strano, vero? Per lo meno a me, dire: "Mi rifugio nella verità delle cose come sono" suona strano. E poi voglio sapere: "Come sono? Dimmi come sono le cose!".
Ma non ve lo devo dire io! Potete vederlo da soli. Vi giro la domanda. Svegliatevi e osservate, invece di chiederlo a me. D’altro canto, potrebbe interessarvi il modo in cui dovrebbero essere. Forse siete stati in ritiro in altri posti o con altri insegnanti e avete un modello di come dovrebbe essere un ritiro di meditazione. Potreste venirmi a dire: "Ajahn Sumedho, credo che dovresti...". Forse il vostro modello di un ritiro di meditazione è diverso dall’esperienza che fate qui. Ma anche questo può essere osservato, non dico che il nostro modello sia il migliore in assoluto o che non ci siano altre possibilità che valga la pena esplorare. Non ci interessa convincere o convertire. Quindi in un ritiro le circostanze fastidiose, irritanti o frustranti sono parte dell’esperienza; ci risvegliamo alle cose come sono, invece di rifarci a un ideale di come dovrebbero essere.
Tornando al concetto di anattā o non sé: personalmente, è uno di quelli che ho trovato più ostici. Il concetto di aniccā mi sembrava chiarissimo. Se sostenete a lungo l’attenzione, noterete che tutto cambia, non è difficile riconoscerlo. Ma nel caso di anattā, mi pare che se c’è qualcosa di reale, qui, sono io! Io sono la persona che è seduta qui e prova certe sensazioni, sono questo corpo. Debbo viverci insieme, perciò deve essere mio; deve per forza succedere a me. Sembra un fatto scontato.
Potremmo concludere che il ‘non sé’ sia un assunto dottrinale e credere di doverci disfare del nostro sé. Trasformarci in una non persona, una non personalità. Sul piano concettuale, che senso avrebbe? Riuscite a immaginare di non avere una personalità? Nulla di nulla... sarebbe come essere mezzi morti! Ogni opinione personale, ogni sentimento personale, sarebbe da respingere. Ma non si tratta di questo. Non è l’annientamento del sé. È vedere che il sé a cui tendiamo ad aggrapparci è una nostra creazione. Siamo gli artefici di noi stessi. Grazie alla consapevolezza cominciamo ad accorgercene. Comincio a notare come creo me stesso in quanto persona. Per semplice abitudine, perché non mi sveglio, perché sono prigioniero di pensieri ricorrenti, abitudini emotive e identità che non esamino mai, e tanto meno metto in discussione.
Con sati-sampajañña cominciamo a notare in cosa consista il senso del ‘me’ e del ‘mio’. Siamo dotati di soggettività, sentiamo di essere consapevoli. Tutti voi siete oggetti, in termini di momento presente, in termini di coscienza visiva; siete oggetti nella mia coscienza. Eppure, sul piano convenzionale non lo ammetteremmo. Crediamo di essere un gruppo di persone che partecipa a un ritiro di meditazione e tendiamo a vedere il tutto da un punto di vista molto convenzionale. Ma se includo anche questo nella consapevolezza, in realtà voi siete nella mia coscienza. Il mio volto non posso vederlo, ma posso vedere il vostro! Sembra scontato, ma merita un approfondimento. Il mio occhio destro non può vedere l’occhio sinistro, neppure se li incrocio! Però posso vedere i vostri occhi; ora sto riflettendo, osservando le cose come sono. Quanti di voi in questo momento si rendono conto di non poter vedere il proprio volto? Potreste mettervi di fronte a uno specchio: "Certo che lo vedo!". Ma è solo un riflesso, vi pare? Non è il vostro volto; è un riflesso nello specchio. Sul piano convenzionale lo diamo per buono; quando vogliamo raderci usiamo uno specchio, e il riflesso ci serve a non mozzarci il naso o tagliarci. Sembra ovvio e scontato; eppure, quanti di voi hanno mai pensato in questi termini?
Di solito ci basiamo su un senso del sé condizionato, su ciò che si definisce sakkāya-ditthi, il concetto di personalità. Il termine pāli sakkāya-ditthi, che si traduce con ‘io’, ‘concetto di sé’ o ‘concetto di personalità’, denota l’idea di essere una persona separata che si identifica con il corpo, i pensieri e i ricordi, ossia un’abitudine. Quindi possiamo chiederci: è veramente me? Lo scopo non è quello di confutarne l’esistenza per attestarci sulla posizione opposta, ma svegliarci e osservare le cose come sono. L’ anattā è una caratteristica dell’esistenza. Non è una qualità o una posizione dottrinaria, e non è una credenza nichilistica.
In più, il termine pāli nibbāna viene tradotto spesso con ‘estinzione’. La prima volta che incontrai la definizione nella letteratura theravāda, che l’obiettivo è ‘estinguersi’, la lessi in chiave nichilistica: estinguere vuol dire annientare, vero? All’epoca, interpretavo ‘estinzione’ come estinzione totale, oblio. Perché il condizionamento culturale della mente era quello, e il termine ‘estinzione’ significa estinguere nel senso di disfarsi o annientare. Perciò, se ci chiedono di spiegare cosa significa ‘nibbāna’, rispondiamo: "Significa ‘estinzione’. La nostra pratica consiste principalmente nell’estinguere, nel diventare estinti". Il che non suscita particolare entusiasmo.
Perciò, cosa vuol dire nibbāna in realtà? Nei paesi buddhisti viene spesso elevato al rango di un conseguimento particolarmente elevato. In Thailandia se ne sente parlare come fosse un’esperienza sublime. Nella nostra lingua è divenuto un superlativo, una sottospecie di paradiso: "Ero al settimo cielo, ho raggiunto il nirvana". Il Buddha non parlava di uno stato elevato, ma di uno stato di risveglio. Lo stato risvegliato è una condizione naturale dell’essere che tutti possiamo riconoscere se prestiamo attenzione, se osserviamo le cose come sono, se le osserviamo in termini di Dhamma. Con le convenzioni religiose succede spesso; restano sul piano intellettuale, si congelano in una struttura dualistica. Quindi Dio e Satana sono inconciliabili. Ricordo che a un certo punto della mia educazione cristiana chiesi: "Ma allora anche Satana è una specie di Dio?". Mia madre rispose di no. Per cui domandai: "Se Dio ha creato tutto, perché ha creato Satana?". Mia madre disse: "Satana ha disubbidito a Dio, ed è finito all’inferno!". La risposta non mi parve soddisfacente. Ecco cosa si fa con la mente, quando il pensiero resta bloccato su un percorso lineare.
Ecco perché continuo a insistere sulla natura del pensiero, sulla natura del pensare. È una funzione che abbiamo, per cui un pensiero fa seguito all’altro. Penso: "Sono Ajahn Sumedho, un monaco buddhista", e poi mi faccio prendere la mano, raccontandovi tutto del mio passato e i miei progetti per il futuro... la mente vagabonda. Finché restiamo sul piano dei concetti e delle convenzioni, anche se funzionale, non possiamo liberarci, perché le convenzioni sono condizionate, sono create e dipendono dal linguaggio. Perciò, invece di cercare la traduzione perfetta di ‘sati-sampajañña’, invece di passare la vita a tentare di definirla, usatela. È qualcosa da usare qui e ora. Non è qualcosa da ricercare altrove. Se la definite troppo, rischiate di farvi ossessionare dai concetti o dalle vostre definizioni, sforzandovi di diventare come credete che debba essere.
Quindi sati, la presenza mentale, non è come un pensiero, o qualcosa che va prodotto o raggiunto esercitando il controllo sulle condizioni... si tratta semplicemente di usarla. Essere svegli, osservare, ascoltare; vigilanza, apertura. Quando mi metto in condizioni di osservare il processo del pensiero posso scegliere di pensare deliberatamente, posso pensare in modo molto positivo. In passato mi sono cimentato nella coltivazione dei pensieri positivi. Tutto è amore e bene, benevolenza e compassione, guardo tutto dal lato positivo. Oppure, praticare la mettā sul piano concettuale, senza lasciar emergere alla coscienza pensieri negativi. Insisto a concentrarmi su concetti positivi e di conseguenza mi sento benissimo... potere del pensiero positivo. Era un best-seller di Norman Vincent Peale, nell’America degli anni quaranta. Tutti compravano The Power of Positive Thinking.
Non c’è dubbio che pensare positivamente sia una buona idea. Non lo condanno e non lo metto in ridicolo. Se penso sempre in maniera molto positiva, la mia vita diventa più felice e sarò incline a un maggiore ottimismo. Mette di buon umore e porta all’euforia, all’esaltazione. Ma il problema è che per continuare a stare bene devi mantenere a tutti i costi un atteggiamento ottimista. Per sostenere l’illusione di felicità che deriva dal pensare positivamente devi tenere a bada il dubbio, lo scetticismo e i concetti negativi. Non appena prendi coscienza di quel gesto di positività compulsiva, smetti di prenderti in giro.
Ora applicate lo stesso principio ai pensieri negativi: "La vita non ha scopo. È tutta una farsa, la gente è marcia, non c’è una persona onesta a questo mondo. Le religioni sono tutte false; i politici sono corrotti... mia madre mi ha messo al mondo solo per egoismo e avidità, per sfogare la sua libidine...". E il risultato? Mi deprimo: "A che serve vivere? È solo una perdita di tempo!". Ci si può infognare nella depressione. Farlo intenzionalmente è un modo per riflettere con consapevolezza sulla natura delle cose: si può alimentare la positività o la negatività. I pensieri positivi producono felicità, quelli negativi infelicità. Pensare in positivo è il paradiso, pensare in negativo è l’inferno.
Ciò che è consapevole del positivo e del negativo, la consapevolezza, non si schiera, non giudica. Si limita a notare le cose come sono, la reale natura dell’esperienza che accade nel momento presente. Quindi, se la meditazione buddhista fosse solo un’esperienza piacevole, certamente potrebbe avere i suoi vantaggi; ma quando le condizioni non si prestassero più a rinforzare le opinioni ottimistiche, crollereste. Ci si può infuriare, si può finire all’inferno, quando le condizioni e la gente che ci circonda non rinforzano la positività. Osservando il fenomeno, si comincia a prendere atto che c’è solo questa funzione dualistica del pensiero, positivo o negativo che sia. È una costruzione, una convenzione.
Perciò, come usare il pensiero, invece di farsi coinvolgere dal processo discorsivo senza alcuna prospettiva sul pensiero? Il pensiero diventa abituale e facilmente ci si perde nei pensieri. Allora si può pensare intenzionalmente, ascoltarsi mentre si pensa. Per farlo occorre sati-sampajañña. È un abile mezzo per essere consapevoli del pensiero invece di restarne coinvolti. Di solito, se non siamo consapevoli diventiamo i nostri pensieri. Ecco perché consiglio di pensare intenzionalmente, per non mettersi a pensare ai pensieri. Abbiamo la tendenza a farci un’idea del non pensare e a pensarci sopra, o a pensare ai pensieri, o a speculare sull’anattā e sul nibbāna, senza mai uscire dalla trappola dei nostri pensieri; finché non cominciamo a osservare il pensiero. Come si osserva il pensiero nella propria mente?
In questo momento noto che, per pensare intenzionalmente, formulo un proposito: "Adesso mi metto a pensare". Poi ascolto. È possibile udire i propri pensieri; o almeno, io posso farlo. Mi ascolto parlare. Poi posso dire: "Sono un essere umano". Non è un pensiero entusiasmante... non mi fa cadere in estasi e non mi deprime. È un’affermazione neutra, diciamo così, un dato di fatto. Ora stiamo osservando il pensiero dalla posizione della sati-paññā, la coscienza risvegliata che osserva. Stiamo iniziando a riconoscere di non essere un pensiero, di non essere affatto ciò che pensiamo. Gran parte del nostro pensiero consiste di abitudini acquisite, e il nostro senso del sé, del valore personale, deriva dalle esperienze di vita, dalla cultura e dalla società: dalla famiglia, dal sistema educativo, dal condizionamento etnico, dal condizionamento religioso.
Quando cominciai a studiare il buddhismo, tutto il mio modo di pensare era intriso di cristianesimo. Provengo da una famiglia di devoti cristiani, per cui faceva parte del pacchetto culturale ereditato da mia madre e mio padre e dalla società in cui sono cresciuto. Non l’ho chiesto io. Concetti, valori, moralità, amore... era tutto cristiano. Perciò quando iniziai a leggere le scritture buddhiste era naturale che fossi influenzato dal mio condizionamento, perché il processo discorsivo era fortemente legato ai valori cristiani, alle idee cristiane. All’epoca della scoperta del buddhismo avevo già abbandonato il cristianesimo e non mi consideravo più un cristiano. Non ho fatto del buddhismo una nuova versione del cristianesimo; cercavo solo di prendere atto di come la mia mente fosse condizionata e di come si tende a interpretare le parole.
Ho trovato molto utili gli insegnamenti in pāli, perché è una lingua diversa. Usare i termini pāli ci aiuta a riflettere; per poter capire le parole bisogna tradurle. I termini sono utili, non per condizionarci a una forma mentis buddhista e diventare seguaci del buddhismo adottandone idee e concetti, ma per riflettere sulla natura delle cose. All’inizio, religione per me voleva dire sentirmi ispirato da sentimenti e termini entusiasmanti e sublimi come l’amore incondizionato, l’amore di Dio e il sacrificio; in contrasto con il Buddha, che parlava della nobile verità della sofferenza (dukkha) e non diceva nulla dell’amore eterno. Quindi lo trovavo molto interessante, un approccio completamente nuovo. Le quattro nobili verità non sono una dottrina, non sono un dogma o una metafisica. Illustrano un’esperienza comunissima, la sofferenza, che ciascuno di noi può riconoscere senza la minima difficoltà. La sottraggono al suo destino di brutta esperienza che va allontanata elevandola al rango di ‘nobile verità’ (ariya-sacca).
Perché il Buddha premette ‘nobile’ a ‘sofferenza’? O chiama la prima nobile verità ‘la verità della sofferenza’? Allora si comincia a riflettere: "Perché? Cos’ha di nobile, la sofferenza, per diventare articolo di fede?". Se comincio a credere alla sofferenza, mi deprimo: "Tutto è sofferenza. Tutto è impermanente. Il sé non esiste, Dio non esiste, l’anima non esiste. Tutto termina con l’estinzione". Io lo trovo deprimente. È così pessimistico. Se vi fissate sulla parola diventate guastafeste, acidi e scontrosi, una compagnia poco piacevole.
La parola dukkha è interessante perché, anche se la traduzione più diffusa è ‘sofferenza’, significa molto di più. Il prefisso du, in pāli, ha in genere valore negativo: dukkha significa ‘intollerabile’, ‘insoddisfacente’, o ‘insoddisfazione’. Denota un sentimento di incompletezza, il desiderio o la nostalgia di qualcosa, o un senso di mancanza o di carenza, come quando si pensa: "Non valgo abbastanza". Quando ci esaminiamo con occhio critico notiamo ogni sorta di mancanze e difetti, inadeguatezze e colpe. So come vorrei essere se fossi perfetto, il me stesso ideale, un uomo modello. Immagino che sarei onesto, coraggioso, nobile, gentile, sensibile, intelligente e forte. Poi mi guardo allo specchio e dico: "Non ce la farò mai".
"Perché Dio non mi ha fatto migliore? Perché mi ha dato questo fardello da portare?". In passato mi indignavo molto: "Non è giusto! Dio ha creato tutti, allora perché alcuni sono più fortunati di altri? Perché ad alcuni toccano condizioni disagiate come la malattia, genitori cattivi e un ambiente di vita orrendo?". Non è giusto, vero? Perciò dukkha, in quanto nobile verità, ci fa riflettere: c’è la sensazione soggettiva che qualcosa manchi, sia inadeguato, insoddisfacente o incompleto. Pensando a me stesso come persona, non sono mai riuscito a convincermi di valere granché. Sono più cosciente delle mie carenze, degli sbagli che faccio, dei fallimenti esistenziali. Sono più cosciente di quel lato, che non della mia bontà, dei miei grandi talenti o del buon kamma.
Quindi sul piano della personalità condizionata si tratta di una personalità giudicante che è acutamente cosciente di quello che non va, che è ossessionata dai difetti miei, vostri o del mondo in generale. Questo può essere osservato, vero? L’auto-svalutazione e l’autocritica sono una forma di sofferenza, perché c’è sempre un ‘non dovrei’. "Ho qualcosa che non va: a chi dare la colpa?". "Perché non sono l’uomo nobile che dovrei essere?". Ma intanto devo convivere con quest’uomo, che non posso fare a meno di criticare e a motivo del quale mi sento inferiore e in colpa. Quindi, questa è una riflessione sulla prima nobile verità. Essere consapevoli di questo, del giudizio negativo nei propri confronti. "Sono un essere umano": pensare così non suscita emozioni forti, mi pare, è più o meno neutro. Esploro questo, prima di pensare in termini di ‘io’. Quando si formula intenzionalmente una frase o una parola, c’è uno spazio in cui non c’è pensiero. Ma c’è consapevolezza. Consapevolezza del non pensiero.
Poi penso: "Io...", e c’è un altro spazio. Si tratta quindi di prestare attenzione, interessandosi non più ai contenuti ma allo spazio attorno all’oggetto. Ho scoperto che è un buon modo di esplorare l’esperienza di me stesso assumendo un atteggiamento più o meno neutrale. "Sono un essere umano", è un’affermazione neutra. Invece: "Io... sono... una... persona inadeguata... Sono pieno di difetti...", è un po’ più carico emotivamente. Fa un po’ male, vedersi come qualcuno che è pieno di difetti. Ma a me interessano non le parole, ma lo spazio che c’è attorno. Quando comincio a pensare: "Sono pieno di difetti", la sensazione cambia decisamente rispetto a quando penso: "Sono un essere umano". Sto riflettendo su come le parole influenzano le nostre emozioni. Siamo creature sensibili; subiamo l’influenza del pensiero.
Quindi, "Sono un essere umano", è neutrale. "Sono un uomo pieno di difetti" invece no, è una critica. È un commento negativo. Poi posso dire: "Sono un’ottima persona". Scopro che non è facile pensarlo. Non sono abituato a pensarmi come una brava persona, suona un po’ insulso e disonesto. Sono cresciuto con l’idea che l’onestà consista nel riconoscere tutte le proprie imperfezioni. Ma ciò che ne è consapevole, la consapevolezza dell’‘io’ che sorge... quell’‘io’ è una creazione, vero? Ossia, la parola cambia a seconda delle lingue. In inglese, fortunatamente, è solo una lettera, ‘I’ [io], che in effetti è alquanto simbolica. L’‘io’ nella coscienza, la consapevolezza di ‘io’: quella consapevolezza non è ‘io’, vero? Non ha parole per dirlo, perché è reale. ‘Io’ o ‘me’ è un artificio, un’abitudine, è frutto del linguaggio.
Trovo che ‘io’ non ha il forte sapore egocentrico di ‘me’ o ‘mio’, come nelle frasi: "Questo è mio! È roba mia! E a me niente?". Ma ‘io’ può anche essere: "Te lo dico io...", "Se vuoi sapere come la penso io...", e : "Io, francamente..."; in questi casi l’io ingigantisce. Il semplice tono della voce pone l’accento sull’idea: "Sono una persona e ho una certa opinione". Sto parlando di come l’indagine ci aiuti a prenderne coscienza. Basta semplicemente osservare e chiedersi: "È io, me o mio?". Queste parole le creo, sono convenzioni. Ma non creo ciò che è consapevole delle parole. Non creo la presenza mentale. Semplicemente la applico. Quindi la presenza mentale non è ‘io’, ‘me’ o ‘mia’, è anattā, è impersonale. Non è un uomo, un essere umano, una donna o un monaco buddhista. Riflettendo così, cominciate a dare valore alla capacità di essere consapevoli. È molto importante riconoscere la consapevolezza e darle il giusto valore.
La consapevolezza è la via d’uscita dalla sofferenza, l’accesso al senza morte. E non è una creazione, né una qualità personale. Praticando, investigando, cominciate a prendere le distanze dal linguaggio e dal pensiero notandoli come oggetti mentali... lo stesso per le emozioni che emergono, ad esempio: "E a me niente?". O l’assertività: "È mio diritto! Devo farmi valere! Non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno!" Se il mio rifugio è la consapevolezza, quel sentirmi una persona è un oggetto nella coscienza. Diventa cosciente; sorge e cessa. Quindi il ‘sé’ o sakkāya-ditthi è un artificio; è artificiale e creato. Siamo noi a crearlo; siamo gli artefici di noi stessi in quanto persona, personalità.
Quindi si tratta non di disfarsi della personalità, ma di riconoscerne i limiti, di affrancarsene; perché, a ben vedere, la personalità ci limita molto. Abbiamo una sfilza di opinioni su noi stessi, le nostre capacità, il nostro valore e via dicendo. Perciò tendiamo a cadere vittime di paure nevrotiche, ansie e preoccupazioni circa la nostra identità. In particolare nel ceto medio la nevrosi abbonda, perché abbiamo tanto tempo per pensare a noi stessi. La società ci dice che abbiamo certi diritti, che dovremmo fare certe cose, che dovremmo credere a certi ideali... di conseguenza incameriamo tutti quei concetti. Tendiamo a formulare giudizi, giudizi di valore su noi stessi, sugli altri e sul mondo. Quindi, considerate questo ritiro come un’occasione per smettere di crearvi un’identità precisa. Esplorate il senso del sé... non per disfarvene, per cancellarlo... ma per riconoscere che non siete ciò che pensate. Per me è un sollievo non credere ai miei pensieri.
I pensieri continuano ad andare e venire. A volte sono utili, a volte sono solo abitudini. Sorgono determinate condizioni che ti rendono felice, e hai l’impressione che tutto vada per il meglio. Poi le cose vanno a rotoli, qualcuno abbandona la veste monastica, una cosa tira l’altra. La gente ti elogia e ti compiaci, ti biasima e ti deprimi... sul piano personale. Ma la consapevolezza non resta coinvolta negli alti e bassi della lode e del biasimo, della felicità e della sofferenza. La consapevolezza è un rifugio che può riconoscere queste qualità in termini di Dhamma: tutte le condizioni sono impermanenti e non sé. È un invito a riflettere sull’esperienza della sakkāya-ditthi, che io rendo con ‘concetto di personalità’. In questo periodo avete modo di cimentarvi con l’"Io sono". Potete essere tutto quello che volete, ma ascoltate, non credeteci... "Sono Dio!"; "Sono una nullità, non valgo niente, sono solo una formica in un formicaio. Sono uno zero, sono solo un numero, una rotella dell’ingranaggio...", è sempre una creazione, vero?
Posso assemblarmi come Dio unico onnipotente o un povero derelitto. Ma sono solo costruzioni, e la consapevolezza non crede a nessuna di quelle condizioni. Le vede, ne prende atto, ma non ci si attacca. È un modo che ho scoperto per chiarirmi le idee. Cos’è la pura consapevolezza, e cos’è la personalità? È importante che capiate la differenza, che abbiate fiducia, non in un dogma, ma nella chiarezza. Prendete atto che la consapevolezza è qui e ora. "Io sono... Ajahn Sumedho" viene e va. "Sono buono, sono cattivo"... I ricordi vanno e vengono, ma la consapevolezza si autosostiene, non è una creazione ed è sempre affidabile. È sempre qui e ora. Vederlo chiaramente vi libera dall’attaccamento alla sakkāya-ditthi, all’io, senza bisogno di rifiutarlo. Do ancora l’impressione di essere una personalità, vero? E voi mi vedete come Ajahn Sumedho. Quindi non divento una specie di zombi o un tipo anonimo e incolore. Ma so riconoscere una personalità, invece di identificarmici e farmi trascinare dalle sue abitudini."

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Ajhan Sumedho

Inviato da: rax il Domenica, 22-Lug-2012, 21:58
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Inviato da: miki_70 il Martedì, 24-Lug-2012, 19:38
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Se capisci, le cose sono così come sono.

Se non capisci, le cose sono così come sono.

(Detto Zen)


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Inviato da: miki_70 il Sabato, 28-Lug-2012, 11:15
"Il significato della parola "vipassana", "chiara visione", può essere reso anche con l'espressione inglese "insight" e significa dunque "vedere in profondità". La meditazione di consapevolezza si riferisce quindi alla possibilità di acquisire una conoscenza che ha la qualità del vedere, un atto di percezione non mediato dai pensieri della mente, capace di generare nel tempo una comprensione intuitiva, profonda e non concettuale, di quello che sta accadendo nel momento in cui accade.
Ma il punto cruciale è esattamente questo: la mindfulness non è semplicemente una tecnica o un insieme di tecniche definite, da apprendere attraverso un'sposizione concettuale al fine di applicarle nel trattamento di determinati stati mentali disfunzionali e di comportamenti disadattivi, e nella cura di certi sintomi, per raggiungere un apprezzabile stato di benessere psico - fisico. La parola chiave da associare al termine "mindfulness" è "pratica". Solo attraverso l'esperienza, l'impegno personale e la pratica meditativa regolare e continuativa, solo "vivendo" in modo mindfulness, senza scorciatoie, si può raggiungere una consapevolezza nuova.
Nuova rispetto a cosa? La pratica della mindfulness consente di sviluppare una consapevolezza nuova rispetto alle cognizioni derivanti dall'incessante attività discorsiva della nostra mente. Una consapevolezza che ci permette di vedere tutti quei pensieri ( e non solo) e quelle credenze che abbiamo appreso senza spirito critico e accettato solo perchè tramandati da un '"autorità superiore" attraverso una lunghissima tradizione culturale, e che ci "parlano" incessantemente".



Antonella Montano

Psicoterapeuta. Docente e supervisore AIAMC (Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento), membro dell'Academy of Cognitive Psychotherapy. Fondatrice e dirigente dell'Istituto Beck di terapia cognitivo e comportamentale di Roma.

Inviato da: miki_70 il Martedì, 31-Lug-2012, 15:12
Non so se mi collegherò di nuovo, anche perchè il credito sulla chiavetta è finito, o quasi.
Stasera parto per le mie meritate vacanze.
Ci si becca tra dieci giorni.
Ricordate, tutto quello che vi serve lo avete già.

Buon proseguimento PSICO hug.gif

Inviato da: rax il Mercoledì, 01-Ago-2012, 13:06
QUOTE (miki_70 @ Martedì, 31-Lug-2012, 14:12)
Non so se mi collegherò di nuovo, anche perchè il credito sulla chiavetta è finito, o quasi.
Stasera parto per le mie meritate vacanze.
Ci si becca tra dieci giorni.
Ricordate, tutto quello che vi serve lo avete già.

Buon proseguimento PSICO hug.gif

Buon viaggio e buon divertimento!!!
Che il Buddha sia con te!! riverenza.gif

PSICO ciao.gif

Al ritorno, mi raccomando una sera dobbiamo fare un brindisi...
devo festeggiare un anniversario importante per la mia salute. PSICO-asd.gif

Inviato da: ale78 il Domenica, 12-Ago-2012, 21:46
QUOTE (miki_70 @ Martedì, 31-Lug-2012, 15:12)
Non so se mi collegherò di nuovo, anche perchè il credito sulla chiavetta è finito, o quasi.
Stasera parto per le mie meritate vacanze.
Ci si becca tra dieci giorni.
Ricordate, tutto quello che vi serve lo avete già.

Buon proseguimento PSICO hug.gif

Non avevo letto, infatti mi stavo proprio chiedendo dove fossi finito.

Buone vacanze PSICO ciao.gif

Inviato da: miki_70 il Lunedì, 13-Ago-2012, 02:15
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Inviato da: miki_70 il Martedì, 14-Ago-2012, 21:03
"....tu vivi sempre e solo il presente. Anche i pensieri relativi al passato o al futuro li fai nel presente. Per sapere 'come' lo vivi, osserva te stesso mentre pensi, parli, provi sentimenti ecc. Intanto hai già scoperto che
lo vivi con avversione (cerchi sempre qualcosa che non c'è). E' molto duro il presente così come è, oppure la sensazione spiacevole dell'avversione della mente? Diventa importante nell'osservazione l'intenzione con cui osservi. Se osservi per conoscere il tuo 'come' diventa curiosità, interesse, accoglienza, se osservi per cambiare, il tuo 'come' diventa rifiuto, giudizio, malessere."

PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Sabato, 25-Ago-2012, 11:21

Inviato da: miki_70 il Sabato, 25-Ago-2012, 11:27

È disponibile in libreria e online la traduzione in italiano del preziosissimo self-help book scritto da Kelly Wilson e Troy Dufrene per coloro che soffrono di un disturbo d’ansia: Things might go terribly, horribly, wrong (che ha recentemente ricevuto il sigillo di merito per i libri di auto-aiuto dall’Association of Behavioral and Cognitive Therapy – ABCT).

La cura della traduzione e dell’adattamento italiano di "Quando tutto sembra andare di male in peggio…” è stata particolarmente coinvolgente, anche grazie al rapporto di collaborazione e stima che da anni ci lega a Kelly Wilson. Crediamo che gli autori abbiano fatto, ancora una volta, un ottimo lavoro nel guidare il lettore nella comprensione dei processi che possono aiutarlo o bloccarlo di fronte a tutte quelle cose che nelle nostre vite possono effettivamente andare male, tremendamente male. Il messaggio è chiaro: c’è un mondo reale che sperimentiamo con i nostri cinque sensi in cui sì, le cose possono andare male, ma dove troviamo anche le cose che rendono la nostra vita preziosa, ricca e degna di essere vissuta. E c’è anche un altro mondo, staccato dalle nostre esperienze dirette, che viviamo all’interno delle nostre teste, persi in recriminazioni sul passato o impegnati in preoccupazioni in merito a ciò che nel futuro potrebbe andare male, tremendamente male. E in questo, tutti noi esseri umani, siamo sulla stessa barca.

Gli autori ci accompagnano, anche e spesso chiedendoci di sperimentare le loro ipotesi sulla nostra pelle, in una direzione che ci permetta non tanto di spegnere le nostre menti preoccupate, quanto di non lasciare che siano loro a decidere dove vogliamo e possiamo andare. Ci spingono in modo gentile e rispettoso (ma anche spiritoso!) a osservare quanto rischia di diventare piccola la nostra vita quando lasciamo decidere le nostre menti preoccupate e quanto liberatorio possa essere il fatto di riscoprire ciò che per noi è davvero importante e muoversi in quella direzione.

Un libro utile ed efficace non solo per chi soffre d’ansia ma anche per tutti i terapeuti che lavorano con chi ne soffre come supporto al lavoro clinico.

Paolo Moderato e Anna Bianca Polverini - Associazione ACT Italia

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 31-Ago-2012, 11:44
E’ importante riuscire a diventare consapevoli della propria mente. Questa può essere una
consapevolezza molto utile. Ma nella vita non sono molte le cose che ci permettono di conoscerla. E
così per un paio di minuti cercheremo di fare proprio questo.
Mettiti comodo. Potrebbe essere una buona idea se ti sedessi, possibilmente con la schiena diritta, i
piedi ben piantati per terra e le gambe non incrociate. Se vuoi, stenditi sul pavimento. E, prima con
gli occhi aperti, prova a fare questo. Lascia che la tua attenzione si rivolga al centro della stanza… e
adesso prendi nota della tua attenzione mentre la dirigi al muro che hai davanti… e ora segui la tua
attenzione mentre torni a rivolgerla al centro della stanza… e poi davanti a te, come se avessi in
mano un libro e lo stessi leggendo. Nota che la tua attenzione può andare su luoghi molto diversi.
Ora dirigi la tua attenzione dentro di te. Potresti permettere ai tuoi occhi di chiudersi, e quando si
chiudono cogliere la sensazione interna del tuo corpo nello spazio, e nel punto della stanza in cui sei
seduto. E ora diventa consapevole dei suoni che ti circondano. La sensazione di questi suoni
riempie la tua consapevolezza. (Fermati qualche attimo)
Lascia ora che la tua consapevolezza trovi il tuo respiro nel punto in cui lo senti di più – al livello
delle narici, quando l’aria entra e quando esce; al livello del petto, quando il petto va su e poi va giù;
al livello dell’addome, quando l’addome si espande e poi si contrae. Forse senti che è tutto il tuo
corpo che respira. In qualsiasi luogo ti venga naturale sentire il tuo respiro: lascia che la tua
consapevolezza cavalchi l’onda delle inspirazioni , e quella delle espirazioni.
Quando noti, come spesso accade, che la tua mente ha divagato e si è persa in un pensiero, in un
ricordo, in un sentimento, in una preoccupazione, quando lo noti, limitati a prendere gentilmente
nota di questo fatto e in modo gentile, amorevole, riporta la tua consapevolezza sul respiro –
dovunque tu lo senta – e segui l’onda dell’inspirazione e dell’espirazione.
Mentre segui il tuo respiro, ti racconto un’antica storia che è stata tramandata di generazione in
generazione.
La mente è come l’oceano. E sul fondo dell’oceano, al di sotto della superficie, vi è calma e
chiarezza. E non importa quali siano le condizioni della superficie, se sia piatta, mossa o tempestosa,
perché sul fondo dell’oceano vi è tranquillità e serenità. Dal profondo dell’oceano puoi guardare
verso la superficie e limitarti a notare l’attività che vi si trova, come nella mente; dal profondo della
mente puoi guardare su, verso le onde, le onde cerebrali che si trovano sulla superficie della mente,
dove esiste tutta l’attività della mente, pensieri, sentimenti, sensazioni e ricordi. Hai l’incredibile
opportunità di limitarti a osservare queste attività che si svolgono sulla superficie della mente.
A volte può essere utile lasciare che la tua attenzione torni al respiro, e segua il respiro per radicarti
in questo luogo profondo e tranquillo. Da questa profondità della mente è possibile diventare
consapevoli delle attività della mente e discernere che non sono la totalità di ciò che sei, che tu sei
più dei tuoi soli pensieri, più di un semplice sentimento. Puoi avere questi pensieri e questi
sentimenti ed essere in grado di limitarti a notarli con la saggezza che ti permette di sapere che loro
non sono la tua identità. Sono solo una parte dell’esperienza che tu fai della tua mente. Per alcune
persone, nominare il tipo di attività mentale, come “provare un sentimento”, “pensare”, “ricordare”,
“preoccuparsi”, è un modo per fare sì che queste attività della mente siano notate come semplici
eventi mentali che possono gentilmente andare via, al di fuori della consapevolezza. (Pausa)
Un’ altra immagine che condividerò con te mentre ti dedichi alla tua interiorità è un’immagine che
credo possa esserti utile. Forse la vorrai usare anche tu. Puoi pensare alla struttura della mente come
a qualcosa di simile a una ruota della consapevolezza, immaginando la ruota di una bicicletta dove
vi è un cerchione più esterno e dei raggi che connettono il cerchione al mozzo interno. Nella ruota
della consapevolezza della tua mente, qualsiasi cosa che possa entrare nella tua consapevolezza è
uno degli infiniti punti del cerchione. Un settore del cerchione potrebbe includere i nostri cinque
sensi del tatto, del gusto, dell’odorato, dell’ascolto e della vista, quei sensi che portano il mondo
esterno nelle nostre menti. Un altro settore del cerchione della ruota è il senso del nostro corpo, il
senso dei nostri arti, dei muscoli del nostro volto e il sentimento degli organi del nostro busto, dei
nostri polmoni, del nostro cuore e dei nostri intestini. Tutto il corpo porta la sua saggezza nella
mente e questo senso del corpo, il tuo sesto senso, aggiunge un’altra tessitura a quello di cui puoi
diventare consapevole. Un altro insieme di punti del cerchione sono le cose che la mente crea in
modo diretto, come i pensieri e i sentimenti, i ricordi e le percezioni, le speranze e i sogni, e anche
questo segmento del cerchione della nostra mente è pienamente disponibile alla nostra
consapevolezza, è quello che puoi chiamare il tuo settimo senso: la nostra capacità di vedere la
mente, in noi stessi e nelle menti delle altre persone. Possiamo anche essere in grado di sentirci
“sentiti” nel nostro ottavo senso, quando sentiamo che le nostre relazioni sintonizzate risuonano con
gli altri e con noi stessi.
Possiamo scegliere se vogliamo prendere un segmento e mandare un raggio verso quel punto del
cerchione. Possiamo scegliere se prestare attenzione alle sensazioni che proviamo nella pancia, e
mandare lì un raggio. O possiamo scegliere di prestare attenzione a un ricordo, e mandare un raggio
all’area del settimo senso per vedere quella parte della mente. E così, i raggi rappresentano la nostra
capacità di focalizzarci su un punto del cerchione. E i raggi emanano dal profondo della mente, che
è il mozzo della ruota della consapevolezza. E quando ci focalizziamo sul respiro, noi possiamo
sviluppare la spaziosità del mozzo della mente. Quando il mozzo della mente si espande, possiamo
sviluppare la capacità di essere recettivi a tutto ciò che sorge dal cerchione, di abbandonarci alla
spaziosità, alla qualità luminosa del mozzo della ruota che può ricevere qualsiasi aspetto della
nostra esperienza proprio come è. Senza idee preconcette e senza aggrapparci ai giudizi, questa
consapevolezza mindful, quest’attenzione recettiva, ci porta in un luogo tranquillo dove possiamo
essere consapevoli e conoscere tutti gli elementi della nostra esperienza.
Il centro delle nostre menti, come il fondo dell’oceano, è un luogo di tranquillità e ricerca, dove
possiamo esplorare la natura della mente con equanimità, energia e concentrazione. Questo centro
della mente è sempre a nostra disposizione, proprio ora. Ed è da questo centro che entriamo in uno
stato compassionevole di connessione con noi stessi, e sentiamo compassione per le altre persone.
Focalizziamoci sul respiro ancora per qualche momento, insieme. Apriamo quel mozzo spazioso
della mente alla bellezza e alla meraviglia di ciò che è.
Quando sei pronto, puoi fare un respiro volontario, magari più profondo, e prepararti ad aprire
gentilmente gli occhi, sentendo questa profondità della tua mente.

Inviato da: giovannalapazza il Venerdì, 31-Ago-2012, 11:48
la metafora della mente come il fondo dell'oceano è molto azzeccata e anche usata da molti autori orientali

Inviato da: miki_70 il Venerdì, 31-Ago-2012, 23:18
QUOTE (giovannalapazza @ Venerdì, 31-Ago-2012, 10:48)
la metafora della mente come il fondo dell'oceano è molto azzeccata e anche usata da molti autori orientali

Già PSICO-si.gif
questo è un'esercizio di consapevolezza riflessiva. Nel senso che si è consapevoli di essere consapevoli.
Fa parte del testo di Siegel "Mindfulness e Cervello", ma l'ho trovato in rete in formato pdf.
Perciò, mi scuso con quelli che avranno difficoltà a leggerlo. Non avevo tempo di copiarlo dal testo che sconsiglio di acquistere dato che si tratta quasi di un trattato di neurologia.

PSICO smile.gif

Inviato da: miki_70 il Mercoledì, 05-Set-2012, 19:53

Ascoltare i pensieri


Praticando l'apertura mentale - ossia 'lasciando andare' - portiamo l'attenzione sul semplice fatto del guardare, dell'essere il testimone silenzioso che è consapevole di quello che viene e va. In questo tipo di meditazione, che si definisce vipassanā, osserviamo i fenomeni fisici e mentali alla luce delle tre caratteristiche: anicca (cambiamento), dukkha (carattere insoddisfacente), anattā (impersonalità). Così facendo liberiamo la mente dalla tendenza a reprimere ciecamente, dunque se ci troviamo ossessionati da pensieri banali o paure, sentimenti di preoccupazione o di rabbia, non è necessario analizzarli. Non dobbiamo capire perché li abbiamo, ma solo farli emergere pienamente alla coscienza. Se siete molto spaventati, siate spaventati consciamente. Non ritraetevi, ma notate la tendenza a volervi sbarazzare della paura. Fate emergere l'oggetto della vostra paura, pensateci deliberatamente, e ascoltate i vostri pensieri. Non si tratta di analizzarli, ma di portare agli estremi la paura, al punto in cui diventa così assurda da poterne ridere. Ascoltate il desiderio, la furia del "voglio questo, voglio quello, devo averlo, cosa farò se non riesco ad averlo, lo voglio assolutamente...". A volte nella mente c'è solo un grido inarticolato: "voglio!" - ed è possibile ascoltarlo.
Ho letto qualcosa sulle tecniche del confronto terapeutico, sapete, quelle situazioni in cui ci si gridano in faccia a vicenda tutti i sentimenti repressi; l'effetto vorrebbe essere catartico, ma manca la saggia riflessione. Manca la capacità di ascoltare quel grido come una condizione della mente, invece di 'lasciarsi andare' a dire tutto quello che passa per la testa. Manca l'equilibrio mentale, la disponibilità a tollerare anche i pensieri più orribili. Così facendo, non li consideriamo come problemi personali, ma piuttosto portiamo all'assurdo la rabbia e la paura, al punto in cui vengono viste come una naturale catena di pensieri. Ci mettiamo a pensare deliberatamente a tutto quello che abbiamo paura di pensare, non ciecamente, ma osservando e ascoltando quei pensieri in quanto condizioni della mente, piuttosto che come difetti o problemi personali. Sicché, con questa pratica cominciamo a lasciar andare. Non c'è bisogno di andare a cercare qualcosa in particolare; ma se vi sentite infastiditi da contenuti che tendono a riemergere ossessivamente e che cercate di allontanare, fateli venire a galla ancora di più. Pensateci deliberatamente e restate in ascolto, come ascoltereste qualcuno che parla dall'altro lato del cortile, una vecchia pescivendola pettegola: "Abbiamo fatto questo, e poi quest'altro, e abbiamo fatto questo e poi quest'altro..." quella vecchietta che non la finisce più di chiacchierare! Ora esercitatevi ad ascoltarla come una voce e basta, invece di giudicarla, invece di dire: "No no, spero proprio di non essere io, che non sia la mia vera natura", o cercare di tapparle la bocca: "Ma quando la finisci vecchia strega!". Facciamo tutti quanti un po' così, anche io ho questa tendenza. Ma è solo una condizione della natura, vi pare? Non una persona. Sicché, questa abitudine fastidiosa dentro di noi: "Mi ammazzo di lavoro e mai nessuno che mi dica grazie" - è una condizione, non una persona. A volte, quando siete di malumore, nessuno fa le cose come si deve, e anche se lo fanno non va bene lo stesso! Anche questa è una condizione della mente, non una persona. Il malumore, l'irritabilità della mente, viene riconosciuto come una condizione: anicca, cambia; dukkha, è insoddisfacente; anattā, è impersonale. C'è la paura di quello che penseranno gli altri se arrivate tardi: avete dormito troppo, entrate nella stanza e cominciate a preoccuparvi di quello che pensano gli altri del vostro ritardo - "Penseranno che sono pigro". Preoccuparsi del giudizio degli altri è una condizione della mente. Oppure siamo sempre puntuali e qualcun altro arriva in ritardo: "Sempre in ritardo, mai una volta che arrivino puntuali". Anche questa è una condizione della mente.
Allora faccio emergere il tutto alla piena coscienza, queste cose banali che si possono benissimo trascurare perché tanto sono banali, e non abbiamo voglia di avere a che fare con le banalità della vita; ma quando non vogliamo averci a che fare tutto questo viene represso, e diventa un problema. Cominciamo a sentirci in ansia, ostili a noi stessi o agli altri, o subentra la depressione; tutti effetti del nostro rifiuto di lasciare che le condizioni, banali o orribili che siano, emergano alla coscienza.
Poi c'è lo stato mentale del dubbio, la perenne incertezza sul da farsi: c'è timore e dubbio, insicurezza ed esitazione. Fate emergere deliberatamente quello stato di perenne incertezza, solo per imparare a rilassarvi con lo stato in cui si trova la mente quando non è attaccata a nulla in particolare. "Che devo fare? Restare o andarmene? Dovrei fare questo oppure quest'altro, devo praticare ānāpānasati oppure la vipassanā?" Osservatelo. Ponetevi domande senza risposta, tipo "Chi sono?". Notate lo spazio vuoto che precede il pensiero "chi" - restate vigili, chiudete gli occhi e un attimo prima di pensare "chi" osservate: la mente è vuota, vero? Poi: "Chi-sono-io?", seguito dallo spazio dopo il punto interrogativo. Quel pensiero nasce dal vuoto e torna al vuoto, no? Quando siete presi dal pensiero abituale non potete scorgere l'origine del pensiero, vero? Non potete, potete cogliere il pensiero solo dopo esservi accorti di stare pensando; quindi cominciate a pensare deliberatamente, e cogliete il principio di un pensiero, prima di cominciare a pensarlo effettivamente. Prendete un pensiero deliberato, tipo: "Chi è il Buddha?". Pensatelo deliberatamente, in modo da percepire l'inizio, il formarsi del pensiero e poi la fine, e lo spazio che lo circonda. Si tratta di osservare pensieri e concetti in prospettiva, invece di limitarsi a reagire alla loro presenza.
Mettiamo che siate arrabbiati con qualcuno. "Ecco che ha detto, ha detto questo e quest'altro, e ha fatto così e colà e non ha fatto bene, ha sbagliato tutto, è un vero egoista... ricordo ancora quello che ha fatto al tal dei tali, e poi...". Un pensiero tira l'altro, vero? E vi ritrovate coinvolti in questa catena di pensieri motivata dall'avversione. Perciò, invece di farvi coinvolgere in tutta una serie di associazioni e concetti, pensate deliberatamente: "E' la persona più egoista che abbia mai conosciuto". Poi fine, il vuoto. "E' un bastardo, un disgraziato, ha fatto questo e quest'altro"; a quel punto è veramente comico, vi pare? Appena arrivato al Wat Pah Pong [il monastero tailandese dove insegnava Ajahn Chah, N.d.T] sperimentavo fortissimi sentimenti di rabbia e di avversione. Mi sentivo terribilmente frustrato, a volte perché non capivo cosa succedeva intorno a me e non volevo uniformarmi tanto quanto mi veniva richiesto. Ero letteralmente furente. Ajahn Chah tirava avanti imperterrito - discorsi di due ore filate in laotiano - e le ginocchia mi facevano male da morire. Sicché pensavo cose come: "Perché non la finisci di parlare? Pensavo che il Dhamma fosse semplice, perché deve metterci due ore per spiegare un concetto?". Ero ipercritico nei confronti di tutti, ma poi cominciai a contemplare questo e ad ascoltarmi, la mia rabbia, le mie critiche, le mie cattiverie, il mio risentimento: "questo non mi va, quell'altro non mi va, non capisco perché devo sedermi qui, non voglio occuparmi di sciocchezze del genere, non so proprio"... e così via all'infinito. Mi ripetevo: "Ti pare simpatico uno che dice cose del genere? E' questo che hai deciso di essere, questa cosa che sta sempre a lamentarsi a criticare e trovare difetti, è così che vuoi essere?". "No - mi rispondevo - non voglio essere così".
Ma prima ho dovuto far venire a galla tutto per vederlo davvero, piuttosto che crederci in teoria. Sentivo di aver ragione da vendere, e quando uno sente di avere ragione, e si indigna, e pensa che gli altri abbiano torto, è portato a dare credito a pensieri come: "In fin dei conti non vedo che motivo ci sia ... il Buddha ha detto... il Buddha, lui, non lo avrebbe mai permesso, io lo conosco il Buddhismo!". Fatelo emergere in forma cosciente, dove potete vederlo, portarlo all'assurdo, così potrete guardarlo in prospettiva e alla fine vi sembrerà comico. Capite che è tutta una commedia! Ci prendiamo terribilmente sul serio: "Sono una persona veramente importante, la mia vita è così tremendamente importante che devo prenderla estremamente sul serio sempre e comunque. I miei problemi sono veramente importanti, terribilmente importanti. Devo dedicare un sacco di tempo ai miei problemi perché sono davvero importanti". In un modo o nell'altro ci riteniamo importantissimi, perciò pensatelodeliberatamente: "Sono una Persona Molto Importante, i miei problemi sono molto importanti e seri". Quando fate così, il tutto prende un aspetto comico; appare sciocco, perché vi rendete conto che in definitiva non siete terribilmente importanti,nessuno di noi lo è. E i problemi che ci creiamo nella vita sono banalità. C'è gente che si rovina l'esistenza generando problemi a non finire, e prendendo tutto estremamente sul serio.
Se vi ritenete persone importanti e serie, le cose banali o futili vi sembreranno inaccettabili. Se aspirate a essere buoni, a essere santi, sarete portati a escluderedalla coscienza gli stati mentali negativi. Se desiderate essere persone amorevoli e generose, ogni forma di meschinità, di invidia o di avarizia dovrete reprimerla o estrometterla dalla vostra mente. Sicché, se c'è qualcosa che temete sopra ogni altra di poter diventare davvero nella vostra vita, pensatela, guardatela. Confessatelo apertamente: "Voglio essere un tiranno; voglio essere uno spacciatore di eroina;voglio essere un mafioso"; sia quel che sia. Non ci interessa più il contenuto specifico,ma la semplice caratteristica di essere una condizione impermanente, insoddisfacente,perché non ha nulla che potrà darvi una reale soddisfazione. Viene e va, ed è non-io.


Aachan Sumedho

Inviato da: rax il Venerdì, 07-Set-2012, 16:03
" Una volta durante un ritiro mi trovavo accanto ad una persona che aveva problemi a deglutire. Stavo seduto lì e questa persona continuava a deglutire, gulp, gulp. Non che fosse una cosa rumorosa ma.....mi irritai moltissimo e mi venne voglia di buttare quella persona fuori dalla sala di meditazione" (Sumedho) PSICO-green.gif

"Vivendo dieci mesi in solitudine, mi ero totalmente acquietato interiormente che a quel punto pensai di essere una persona totalmente illuminata....scoprii più tardi che mi sbagliavo". (Sumedho) laugh.gif

"Ricordo, della mia esperienza che ho sempre avuto l'idea di essere una persona per qualche verso speciale. Pensavo: devo essere un tipo speciale. Fin da bambino sono stato affascinato dall'Asia e non appena ho potuto ho studiato cinese: sicuramente sono la reincarnazione di quaolcuno che ha avuto a che fare con l'Oriente" PSICO-green.gif
( Sumedho)
da " Così com'è"

E' troppo simpatico!!! wub.gif

Inviato da: miki_70 il Sabato, 08-Set-2012, 11:27
QUOTE (rax @ Venerdì, 07-Set-2012, 15:03)
" Una volta durante un ritiro mi trovavo accanto ad una persona che aveva problemi a deglutire.  Stavo seduto lì e questa persona continuava a deglutire, gulp, gulp. Non che fosse una cosa rumorosa ma.....mi irritai moltissimo e mi venne voglia di buttare quella persona fuori dalla sala di meditazione"  (Sumedho)  PSICO-green.gif

"Vivendo dieci mesi in solitudine, mi ero totalmente acquietato interiormente che a quel punto pensai di essere una persona totalmente illuminata....scoprii più tardi che mi sbagliavo". (Sumedho)  laugh.gif

"Ricordo, della mia esperienza che ho sempre avuto l'idea di essere una persona per qualche verso speciale. Pensavo: devo essere un tipo speciale. Fin da bambino sono stato affascinato dall'Asia e non appena ho potuto ho studiato cinese: sicuramente sono la reincarnazione di quaolcuno che ha avuto a che fare con l'Oriente"  PSICO-green.gif
( Sumedho)
da " Così com'è"

E' troppo simpatico!!!  wub.gif

E' vero, mi piace tanto come scrive e quello che scrive. Appena torno in città voglio ordinare qualche altro testo. Tra l'altro vorrei leggere qualcosa sul suo maestro tailandese.
A proposito, sai che noi due apparteniamo alla "Scuola della Foresta"? laugh.gif
PSICO smile.gif

Inviato da: rax il Sabato, 08-Set-2012, 18:40
Già!!! Achaan Chah è anche nella mia lista (non della spesa laugh.gif ).
La prima volta che ho letto il suo nome, è stato nel tuo testo "Mindfulness,... una terapia per tutti". Lì è citato più volte, e in quell'occasione me lo segnai.
Comunque a differenza dell'allievo, lui è facilmente reperibile anche nelle librerie della Coop.

Vediamo.... "foresta" perchè il termine rimanda all'idea di qualcosa di primitivo, non civilizzato o meglio riferito alla tradizione theravada? Cioè più vicina alle prime formulazioni del Buddha?
O perchè abitiamo nelle campagne del paese? PSICO-green.gif





Inviato da: miki_70 il Venerdì, 14-Set-2012, 11:51
Da State of Mind: il giornale delle scienza psicologiche


.....Dopo la sottile promozione della mindfulness operata da Segal, arriva il discorso più ecumenico di Tom Borkovec nella sua keynote: “What will CBT look like in thirty years?”.

Come sarà la terapia cognitiva e comportamentale tra trent’anni? Tre sono gli elementi nuovi che si svilupperanno cambiando l’aspetto del paradigma del cognitivismo clinico: l’attenzione ai processi cognitivi, il legame con le neuroscienze e la componente interpersonale. Tuttavia, e Borkovec ci tiene a dirlo, rimarrà anche l’elemento più tipicamente cognitivo dei contenuti distorti.

Il tema dei processi cognitivi è ormai dominante da circa un decennio. Probabilmente è il tipo di svolta più naturale per riuscire a rimanere nell’ortodossia cognitiva quando si iniziò a capire che l’esplorazione dei contenuti di pensiero distorti si stava esaurendo.

L’ultima pepita trovata in quella vena fu l’intolleranza dell’incertezza di Dugas. Dopo la quale non sono più saltate fuori nuove credenze cognitive distorte. E allora si è pensato, giustamente, si dare più attenzione ai processi: l’attenzione, la memoria e i processi interpretativi. Non che si trattasse di una totale novità. Già Beck, accanto alla triade cognitiva, aveva individuato una serie di processi disfunzionali: labeling, fortune-telling, overgeneralization, jumping to conclusion, e così via.

La vera novità della maggiore attenzione ai processi piuttosto che ai contenuti è stata un cambiamento di tecnica. Beck conosceva i processi, ma li trattava in terapia come le credenze distorte: accertandoli, un po’ disputandoli e poi ristrutturandoli.

Invece i nuovi teorici dell’importanza dei processi cognitivi hanno perfezionato nuovi protocolli terapeutici in cui il trattamento consisteva in esercizi di addestramento che direttamente andavano a modificare le abitudini mentali dei pazienti: il modo di dirigere l’attenzione sugli stimoli negativi o di trattare i propri ricordi.

E sopra questo nuovo piano terapeutico è andata a piazzarsi la mindfulness, che si propone come l’operazione clinica regina delle nuove tecniche addestrative, la corona che finisce per caratterizzare le nuove terapie.

Congresso EABCT, Ginevra 2012

Inviato da: ale78 il Giovedì, 27-Set-2012, 10:04
Ma no... miki non c'è più PSICO sad.gif PSICO cry.gif PSICO sad.gif

Inviato da: Mela il Sabato, 06-Lug-2013, 17:00
up

Inviato da: giovannalapazza il Sabato, 06-Lug-2013, 17:13
sai cosa dovremmo fare mela? un riassunto, copiare pezzi salienti di questo 3d e creare un altro 3d più breve e facile da leggere

lasciando anche questo

secondo me avremmo più "attenzione"

Inviato da: Mela il Sabato, 06-Lug-2013, 17:58
Ci penso io, con calma.
Non per pigrizia, ma perché sto boccheggiando. PSICO smile.gif

Miki mi manca.

E vorrei ribadire che è stato davvero mutuoaiutante
a lasciare questo thread nonostante si sia cancellato.
Prendere esempio non sarebbe male, invece di riempirsi la bocca di belle parole.

Inviato da: giovannalapazza il Sabato, 06-Lug-2013, 19:03
'mutuoaiutante? laugh.gif

Inviato da: ante89 il Martedì, 17-Mar-2015, 02:13
salve a tutti, qualcuno mi può aiutare a trovare questo ebook? sono disperato voglio guarire, aiutatemi vi prego

Inviato da: Mac17 il Martedì, 03-Nov-2015, 17:46
Ciao Miki,ho letto attentamente ciò che hai messo a disposizione di tutti in questo spazio. Mi ritrovo in tante delle cose che hai scritto,mi autoanalizzo fino a sentire la mente stanca,so che tutto ciò che mi succede è reale ma al tempo stesso irreale...solo che non riesco ad essere forte abbastanza..e la tristezza e la stanchezza hanno la meglio su di me perché non riesco ad uscirne..

Inviato da: Eliaarules il Domenica, 01-Gen-2017, 19:51
Confermo da quando pratico meditazione vipassana (mindfulness) mi sento molto meglio, è molto utile per superare questi problemi, ve la consiglio vivamente, se praticate ogni giorno la vostra vita cambierà. Vedrete i primi cambiamenti dopo qualche mese, non abbiate fretta, parola si uno che vedeva le stelle da quanto stava male

Inviato da: Peppe19 il Martedì, 07-Mar-2017, 17:10
Faccio mindfulness da 3 mesi, ma risultati non ne vedo!
Come sempre questi approcci sono molto soggettivi! unsure.gif

Inviato da: Bond85 il Martedì, 07-Mar-2017, 19:05
come mai miki_70 si è cancellato dal forum?
Era davvero un utente importante.

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